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STALKING: uno spunto di riflessione

Napoli, 2 Giugno – Oggigiorno si parla e si stra-parla, anche, spesso, senza alcuna cognizione di causa del reato di atti persecutori (ʺstalkingʺ), contenuto nell’articolo 612-bis c.p., riducendo questo turpe fenomeno criminoso quasi ad una moda da tirare fuori all’occorrenza, ma va evidenziato, con molta cautela, che circola ancora molta poca informazione socio-giuridica veritiera in merito, perché tante volte la conoscenza in merito viene, esplicitamente od implicitamente, ʺmass-mediatizzataʺ.

Ciò premesso occorre riportare le seguenti riflessioni affinchè tutti possano avere la possibilità di formarsi una cultura solida sull’argomento.

Va, dunque, osservato che la perpetrazione, ad opera del soggetto attivo, del reato previsto e sanzionato all’articolo 612-bis c.p. , rappresenta sempre un evento criminoso di connotazione altamente drammatica e dalla conseguenze esistenziali devastanti per la vittima.

 Lo/a stalker può certamente determinarsi ad agire in quanto mosso/a da un ʺsuper-ioʺ alquanto smisurato e pervasivo della propria personalità che lo/a porta a non accettare la fine di un rapporto  sociale, amicale o sentimentale (si legga con estrema attenzione in proposito il secondo comma dell’articolo suindicato), ma, ciononostante non si può e non si deve non riflettere circa la possibile esistenza di situazioni-limite che possono, concretamente, fare venir meno la rilevanza penale dell’azione presuntivamente persecutoria posta in essere dal soggetto agente.

Una di queste situazioni-limite  viene in essere, a titolo esemplificativo e non esaustivo, qualora la ʺpresunta vittimaʺ del reato in analisi, in assenza di qualsiasi situazione di aperta o celata conflittualità e senza avere mai subito, né verbalmente né fisicamente,  alcuna azioni di coartazione della propria sfera di libertà, si eclissi divenendo, per medio o lungo termine, irreperibile e non fornendo, di fatto, alcuna spiegazione a colui o colei che viene, di fatto, piantato/o in asso.

In casi simili, il problema risiede, esclusivamente, nella mancanza di educazione e di senso civico e non riposa, neanche potenzialmente, sulla sfera penale e processuale-penale, salvo che la richiesta di una ragionevole spiegazione rispetto a quanto accaduto, non venga attuata, ad opera della persona abbandonata, con modalità aggressive ed offensive per un lasso di tempo medio o lungo.

Esemplificando: qualora la persona abbandonata senza alcuna spiegazione ricerchi, con tatto e senza alcuna manifestazione diretta od indiretta di aggressività (ossia senza inviare messaggi o fare o far fare  telefonate minacciose od appostamenti con modalità inquietanti) non andrà ritenuta penalmente responsabile ai sensi dell’articolo 612-bis c.p., pure qualora l’azione si protragga per un considerevole lasso di tempo.

Ne deriva che l’assenza della concreta volontà di sopraffazione non fa configurare il reato previsto e sanzionato all’articolo 612-bis c.p. malgrado le insistenze ʺnon violenteʺ perpetrate dal soggetto agente, per un periodo considerevole di tempo (non infinito) tese ad un chiarimento in senso positivo (riconciliazione) o negativo (chiusura definitiva del rapporto sociale, amicale oppure sentimentale, etc.).

Stente tutto quanto sin qui osservato ed al di là degli orientamenti giurisprudenziali di supporto (anche parziale) o di segno talmente opposto rispetto a quanto ivi scritto, non può sfuggire che il leitmotiv di questa breve riflessione è il seguente: la chiarezza nei rapporti (sociali, amicali, affettivi, etc.) va sempre attuata, con le dovute cautele per ogni singolo caso e fatta salva la necessità di ricorrere, in casi di contesti patologici,  alle vie giudiziarie-forensi, perché il crearsi di zone d’ombra genera solo incomprensioni e potenziali violenze anche solo morali. 

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