Napoli, 22 Aprile – Quando si studia un Ambiente lo si deve intendere come un insieme di Cultura e Natura, con il primato della prima sulla seconda e non viceversa come si faceva qualche secolo fa. Ribadire ciò non è superfluo per chi scrive, almeno. La quarantena imposta dalle Autorità, in primis le dichiarazione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) per prevenire il contagio da covid-19 ci sta facendo sperimentare alcune condizioni ambientali di un nuovo possibile ordine ambientale mondiale. In parte, la previsione era stata già anticipata da un intervista del 2009 ad un collaboratore dell’ex presidente della repubblica presidenziale francese (riportata da Le Exspess del 3 maggio 2009) nonché per l’arrivo di una mini pandemia dalla dichiarazione dell’ex presidente degli Usa, B. Obama. Secondo alcuni esperti di norme sanitarie la pandemia si dichiara quando il 12% della popolazione viene colpita dal vettore biologico. Questa è dunque un epidemia, ma non una pandemia? E se così fosse perché l’OMS l’ha dichiarata pandemia? Forse per favorire colossi farmaceutici che preparano farmaci da vendere a caro prezzo o solo per stimolare i già 55 vaccini sperimentali di fase 1 e 2 già in corso? Tutto è possibile se anche il presidente degli Usa, D.Trump, ha minacciato di non volere più finanziare l’OMS! Il cittadino napoletano, campano ed italiano sta in quarantena prolungata fino ai primi di aprile poi, gradualmente, pochi esperti, del nostro premier G. Conte, ci diranno, come e quando, poter uscire dal necessario ambiente “carcerario” al quale tutti sono stati costretti dal Dpcm, dunque un uomo solo. Si va verso la privazione di molte “libertà” individuali in nome di interessi nazionali e mondiali. Ci avviamo dunque verso un nuovo ordine mondiale? Un nuovo singolo stato dai 196 attuali? Perché no? La nostra specie biologica Homo sapiens, che conta 7,5 miliardi di persone, è forse destinata in tale direzione di Stato planetario, per evoluzione culturale che influenza anche quella biologica. La tecnologia, il digitale in special modo fanno sempre più passi da giganti perché il progresso e le innivazioni scientifiche galoppano sempre più. Ad esempio sono i nuovi sistemi di telecomunicazioni 5G , in procinto di essere installati anche sul territorio, che generano molti dubbi per la salute dei cittadini anche se opporsi al nuovo che avanza in linea di massima è errato altrimenti si fa la fine degli indiani d’America che si opponevano al treno che chiamavano cavallo d’acciaio fumante. L’Alumno dell’Università di Padova, il fisico Federico Faggin, noto ed affermato scienziato in Usa, dove ha inventato il microcip, ha presentato, lo scorso anno, il suo recente libro “Silicio”, che ha per sottotitolo Consapevolezza. Ma leggiamo cosa dice a margine di Silicio: “Scrivere la mia autobiografia mi ha fatto rivivere le esperienze più significative della mia vita e riflettere sulle molte persone che hanno avuto un impatto importante nel mio percorso (ascoltandolo chi scrive si è immedesimato) mi sono reso conto che ho imparato non solo da coloro che mi hanno voluto bene, ma anche dalle persone che mi hanno osteggiato.”
F. Faggin è lo Steve Jobs italiano, un idolo, un eroe, per tutti gli scienziati e appassionati di tecnologia. Nato a Vicenza nel 1941, laureato in Fisica all’Università di Padova, dal 1968 risiede negli Stati Uniti. E’ stato capo progetto e designer dell’Intel 4004, il primo microprocessore al mondo, e lo sviluppatore della tecnologia Mos con porta di silicio, che ha permesso la fabbricazione dei primi microprocessori, delle memorie Eprom e Ram dinamich e dei sensori Cdd, gli elementi essenziali per la digitalizzazione dell’informazione. Nel 1974 ha fondato la Zilog, con cui ha dato vita al famoso microprocessore Z80, tutt’ora in produzione. Nel 1986 ha co-fondato la Synaptics, ditta con cui ha sviluppato i primi Touchpad e Touchscreen. Il 19/10/2010 ha ricevuto la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione dal Presidente B. Obama, per l’invenzione del microprocessore.Trasferitosi nella Silicon Valley, con le sue invenzioni, dal microprocessore al touchscreen, ha contribuito a plasmare il presente che tutti conosciamo. In questa autobiografia racconta le sue quattro vite, dall’infanzia ai primi lavori, dalla controversia con Intel per l’attribuzione della paternità del microprocessore, fino al suo appassionato impegno nello studio scientifico della consapevolezza. Infatti nel 2011 ha fondato la Federico and Elvia Faggin Fondation, un’organizzazione no-profit dedicata allo studio scientifico della coscienza, con cui sponsorizza programmi di ricerca teorica e sperimentale presso università e istituti di ricerca statunitensi. Quattro vite densissime, di successi e battute d’arresto, di scoperte e cambiamenti, di amici e nemici, che Faggin ripercorre passo dopo passo e arricchisce di aneddoti riguardanti la sua vita privata e di approfondimenti sulle tecnologie inventate. “Sono nato a una nuova vita ogni volta che, osservando il mondo da insospettati punti di vista, la mia mente si è allargata a nuove comprensioni. Sono nato a nuove vite quando ho smesso di razionalizzare, ho ascoltato la mia intuizione e mi sono aperto al mistero.” Egli dice che la religiosità ed il sacro non va lasciata solo allo studio di domini culturali umanistici, ma anche a quelli scientifici. Indubbiamente il percorso scientifico del fisico Faggin è di alta qualità mondiale, ancora è meritoria anche la fede nella scienza che non debba considerare tabù il sacro e il religioso, la morte e oltre. Allora perché escludere l’indagine scientifica, si potrebbe pensare, anche sul paesaggio di Letino, che ha in sé il mito dell’acqua del fiume Lete ma anche vestigia dell’antico Sannio? Bojano-dove si rinnova il rito delle Primavere sacre o Ver Sacrum della fondazione di Bovianum Vetus- la capitale federata dei cinque popoli del Sannio (Pentri, Caudini, Caraceni, Frentani e Irpini) era vicina, a solo 12 ore di distanza a piedi via alto Matese.
Alle rievocazioni della fondazione di Bojano (CB) intorno al VIII-VII sec. a. C., vi ho partecipato due volte nel ruolo di sacerdote, come la foto riportata con l’agnello sacrificale tra le mani dalle visceri del quale avrei dovuto fare gli auspici divinatori, il mio collega sacrdoto maximo con il bambino affidato al dio Marte era l’Avv. Alessio Spina di Bojano. Non si sottovaluti che il paesaggio si aggettiva sempre con bello, struggente, suggestivo, paradisiaco, brutto, orrido, infernale. Esso rappresenta le fattezze sensibili di un territorio e di un ambiente ed esalta la memoria collettiva cioè i punti di riferimento per orientarsi e non disperdersi nel tempo e nello spazio. Il mito del fiume Lete e le vestigia labili e profonde della storia dei Sanniti devono alimentare la ricerca scientifica e non essere esclusiva area d’indagine dei saperi umanistici del passato.
Attualmente, grazie, si fa per dire, alla quarantena per il covid-19, sto scrivendo una sorta di romanzo ambientale che ha come baricentro il mito del fiume Lete e i ricordi infantili ed adolescenziali del Canale, località nell’alta valle del piccolo fiume Sava che è un immisario del recente, 1969, lago di Gallo Matese (CE) di cui si riportano due fotografie. Dopo il primo saggio dello scrivente, dedicato interamente a “Letino tra mito, storia e ricordi”, presentato al Museo del Territorio di quel paesetto natale, il 14/08/2009 (più la quasi riedizione in “Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio” presentata nel 2017) eccoci non ad una riedizione, ma a una parziale integrazione e a una vistosa generalizzazione, più universale e molto meno indigena del piccolo mondo antico, isolato tra le alte pieghe di corrugamento appenninico del Matese. La Storia e l’Ambiente planetario sono qualcosa di più della somma delle piccole storie ed ambienti dei 196 stati attuali, ma sono, pur sempre, da essi costituiti.
E’ come l’organismo composto di cellule, ma il pensiero è qualcosa di più che dirige il resto e proietta l’anima nel passato, nel presente e perchè no anche nel futuro. Fatti non fosti per vivere come bruti, ma per seguire virtù e conoscenza, direbbe pure l’Ecologo Umano che ha come cultore lo scrivente. In merito alla paura delle mamme di Venafro (IS) , che fanno parte della rete delle “Mamme da Nord a Sud”, impegnate per difendere i propri territori e soprattutto i propri figli dagli effetti sulla salute dell’inquinamento prodotto da insediamenti industriali, pesticidi, discariche, inceneritori, acciaierie, dichiarano in un media del Sannio Alifano: “Noi non siamo contro la tecnologia, ma l’implementazione della didattica a distanza nella scuola, in questo periodo d’emergenza per il Covid-19, sta traghettando l’Istruzione pubblica, verso una via pericolosa dove viene messo in discussione il giusto equilibrio tra innovazione tecnologica, salute e gestione delle risorse umane. In nome del mantenimento della continuità scolastica, del diritto all’istruzione, mai così sbandierato come in questo periodo, si sono investite grandi risorse economiche in piattaforme private, in strumentazione, date in comodato d’uso gratuito alle famiglie senza nemmeno fornire indicazione sull’uso corretto di questi dispositivi. L’assunto che i campi elettromagnetici inducano effetti biologici solo di tipo termico e non altri ben più pericolosi, è smentito da numerosi studi scientifici.
Di questi, il 70% evidenzia esiti negativi per la salute, se sono condotti da istituzioni indipendenti, e solo il 32% se condotti da aziende del settore. E’ necessario considerare studi scientifici non viziati da conflitti di interesse. Questo è stato ribadito anche nella recente storica Sentenza (14/01/2020, 721/2017) della Corte d’Appello di Torino che ha riconosciuto la relazione causale fra insorgenza di neurinoma ed esposizione professionale a Cem. I rischi sanitari per esposizione a radiofrequenze sono molteplici: aumento di insorgenza di tumori cerebrali (dal + 32% al + 44% secondo le più recenti metanalisi), per esposizione a cellulari per oltre 10 anni o superiore a 1640 ore d’uso, ma anche alterazioni del ritmo cardiaco, infertilità, disturbi metabolici con incremento di diabete e disturbi neuro-comportamentali e del neurosviluppo; per esposizione professionale a Cem a bassa frequenza, da recente metanalisi, è emerso un incremento di Sclerosi laterale amiotrofica e Alzheimer rispettivamente del 26% e del 33%”. Certo che dopo la sentenza citata c’è poco da sottovalutare, ma neanche da avere un eccesso di timori per le nuove tecnologie che hano il fine di migliorare l’ambiente dell’uomo, non di danneggiarlo anche se bisogna vigilare. La Storia e l’Ambiente planetario comunque sono qualcosa di più delle piccole storie ed ambienti, ma sono pur sempre da essi costituiti. E’ come l’organismo composto di cellule, ma il pensiero è qualcosa di più che dirige il resto e proietta l’anima nel passato, nel presente e perchè no anche nel futuro. Fatti non fosti per vivere come bruti, ma per seguire virtù e conoscenza, direbbe pure l’Ecologo Umano che ha come cultore lo scrivente. I due paesetti dell’altissimo Matese (Letino e Gallo Matese), sono mondi quasi chiusi e tanto diversi per vernacoli, tradizioni e territorio naturale. Ma sono nel contempo anche tanto simili per i 3 km distanti e per i circa 30 km che li separavano dal mondo meno isolato dei paesi del pedemontano matesino. Matrimoni letinesi-gallesi non erano frequenti, prima del 1950. Oggi, invece, sono molti di più anche se è prevalente ancora l’applicazione del proverbio locale ed universale: ”moglie e buoi dei paesi tuoi”. Anche in Transilvania, da cui le 2 fotografie che seguono, si recita il monito suddetto. In Italia, decenni fa, le scuole materne avevano le maestre “giardiniere” e alle elementari anche i maestri insegnavano (come a Letino 1956 alla I Elementare), attualmente scomparsi e sostituiti da più maestre. Le maestre giardiniere, così definite dal filosofo Friedrich Fröbel, vivono in quel giardino dell’infanzia dove con la cura dell’amore svezzano i bambini, quei che per cinque lunghi anni è stata il loro unico punto di riferimento per la metà delle indimenticabili giornate scolastiche, quelle giornate bellissime e spensierate che un bambino deve poter vivere. Insegnare significa “lasciare il segno” che può essere superficiale e profondo, bello e brutto, utile ed inutile oppure insignificante, come non per pochi oggi nella scuola italiana secolarizzata e spesso indifferente alla trasmissione di cultura aggiornata ed anche spendibile. Non pochi docenti sono impiegati. Tale definizione la espresse lo scrivente in un giornalino dell’ultima scuola di servizio padovana prima di andare in pensione nel 2009. Uno studioso di Genetica Umana ebbe a riferire, a Padova, ad un corso di aggiornamento di docenti, che ancora oggi oltre l’85% de matrimoni avviene in un raggio di nascita-residenza non superiore ai 35 km. Ciò denota che la tradizione incombe, ancora nel XXI sec., come una sorta di cappa metallica sulle nostre decisioni? Forse negli USA, crogiolo di civiltà mondiali, sono altri i dati dell’evoluzione della specie Homo sapiens, che ha un areale non solo planetario e con le navicelle spaziali tenta di esplorare nuovi habitat possibili. Lo scrivente è stato due volte a New York per esaminare gli studenti italoamericani del locale Liceo scientifico “G. Marconi” e ha potuto sperimentare il cosiddetto calderone di popoli o crogiolo di civiltà, anche se un giovane supplente toscano, già separato dalla moglie statunitense doc e con un figlio affidatogli dal giudice americano, forniva una sua verità: ”qua non sono più tolleranti che da noi in Italia perché vivono in gruppi di nazionalità e di parentado. Appena uno li tocca, dicono subito scusami perché hanno paura che l’altro lo denunci o chiami la polizia che commina multe salate subito”. Ma leggiamo, le “verità” dette al meeting: “IL CALDERONE DEI POPOLI” i relatori: T. C. Buezas (spagnolo, docente d’antropologia all’Università Complutense di Madrid); Henry Raymont (statunitense, originario della Prussia, giornalista e scrittore, già corrispondente del “Times” e presidente della Mundus Novus Foundation); A. Methol-Ferrè (uruguayano e consulente della Conferenza episcopale dell’America Latina). Lo scrivente seglie la “verità” di Henry Raymont perché anche giornalista e dunque presume che sia più immerso nella società degli altri, che potrebbero forse essere più isolati nelle torri d’avorio delle loro professioni e fedi religiose. Raymont ha ritenuto di dichiarare: ”Al progresso senza precedenti nei campi della scienza e della tecnologia non ha certamente fatto riscontro un analogo progresso nella comprensione, nella capacità di comprendere come sentono, come pensano, che cosa progettano gli uomini che vivono in situazioni culturali diverse dalla nostra. Imparare a conoscerci ed a capirci meglio: questa è la grande sfida che ora ci sta di fronte. Alla vigilia della celebrazione del quinto centenario dell’incontro fra il Vecchio ed il Nuovo Mondo, com’eredi dell’epopea del 12 ottobre 1492, dobbiamo porci tali obiettivi non soltanto nelle sue dimensioni Est-Ovest (Europa-America) ma anche nelle sue dimensioni Nord-Sud (America anglosassone-America Latina). Vorrei nel mio intervento soffermarmi in particolare sul “melting pot” sul “crogiuolo” nordamericano. Non credo che il melting pot nordamericano sia soltanto un calderone, e non credo nemmeno che abbia smesso di ribollire e quindi di fondere insieme con positivi risultati le etnie degli Stati Uniti…Oggi a Washington, la cui popolazione è negra per il 70%, il sindaco è negro, l’assessore all’Istruzione è negro, la segregazione non esiste più, e tra gli amici delle mie figlie ci sono sia bianchi che negri. Ai negri poi si è aggiunto in questi ultimi anni un altro grosso gruppo di non bianchi: circa 40 mila rifugiati dall’Etiopia e il calderone ribolle. Inoltre è molto importante, quando si parla di Stati Uniti, mettere nella sua giusta luce un grande valore della società USA: la capacità di autocritica, che per me, che non sono nato nel Paese, appare davvero impressionante. All’estero si danno spesso sugli Stati Uniti giudizi poco documentati mentre si parla poco di aspetti come quello cui ho appena accennato. Un altro aspetto comunemente trascurato è la grande mobilità interna della società statunitense, un fenomeno che ha precise conseguenze in campo sia culturale che politico…Ammaestrato dallo spettacolo dei crimini che sono stati commessi nel Vecchio Mondo in nome della Verità con la V maiuscola, credo che il popolo americano sia in genere più incline ad impegnarsi per l’attuazione di verità con la v minuscola, verso le quali procedere a forza di sperimentazioni, di aggiustamenti, di autocritica e di piccole riforme. E un metodo che non può piacere alle personalità autocratiche; non per questo però mi sembra lo si debba ritenere un metodo di scarsa validità. E’ in fondo la democrazia, della quale Winston Churchill diceva: “E’ il peggior sistema di governo, ma non ce n’è un altro che sia migliore. Grazie”. Il giornalista relatore ha affermato la sua verità. Sul crogiolo di civiltà statunitense, posso dire la “mia verità”, anche perché il Ministero degli esteri mi ha nominato, due volte, esaminatore al Liceo scientifico “G. Marconi” di New York, prima a Buenos Aires e dunque conosce un po’ anche quell’altra realtà americana non anglosassone ma latina, nonché è stato esaminatore pure a Colonia, Istanbul, Cairo, e- docente per 5 anni- al Liceo Tecnologico “Transilvania” di Deva, in Romania. In quest’ultima scuola, ha ascoltato la relazione sulla “Democrazia” del Console degli USA a Cluj Napoca, invitato dalla sezione inglese del liceo suddetto. Il Console parlò in inglese e disse che anche se Democrazia significa governo del popolo, negli USA esiste una Democrazia guidata da personalità del mondo finanziario e sociale, non dal popolo grezzo ed incolto. Alla fine della lezione, seduto in prima fila per invito della presidenza, lo scrivente ebbe l’ardire di dirgli: “Mr. Consul I would prefer Plato’s Democracy” (“Signor Console io preferirei la Democrazia di Platone”). Answer: “No Plato, it was not a good Democracy”. Risposta: “No Platone, non era una Democrazia buona”. Per l’attuale Democrazia e per gli Usa, in particolare, lo scrivente, riassume così la sua verità o opinione: Là, la competizione è più spinta che da noi in Europa e ciò fa toccare con mano più la meritocrazia, senza il nepotismo più diffuso nelle istituzioni europee ad iniziare dalle Università, dove l’OCSE registrata, ogni anno, quelle inglesi ai primi posti mondiali insieme a quelle statunitensi, canadesi e australiane, dopo tutte le altre e dopo il 300esimo-rilevazione di qualche anno fa non l’ultimo- posto anche alcune italiane: Milano, Padova, Pisa, Roma e Napoli.
La competizione planetaria delle superpotenze mondiali (Usa e Russia in primis) apporta più credito all’ipotesi dell’origine della vita e dell’uomo anche fuori del Sistema Solare. Non solo dunque l’ipotesi evoluzionistica neodarwinista, quella dominante, che fa più luce sui fossili Archibatteri o meglio Cianoficee (alghe azzurre) di oltre 3,5 miliardi di anni. Questi li fa derivare dall’evoluzione geochimica precedente e li fa evolvere, attraverso 5 ere geologiche, fino ai primati e all’Australopitecus afarensis, “Nonna Lucy” di 3,2 milioni di anni. Poi fino a noi della specie Homo sapiens, vivente in città (dal neolitico, in Mesopotamia ed aree limitrofe) con diritto civile, da 10-15 mila anni. Attualmente la Terra è abitata da 7,5 miliardi di individui della specie Homo sapiens che vivono in quasi 200 Stati che tendono a ridurre le sovranità per unirsi in sturtture sovranazionali come l’Unione Europea (27 stati), ecc.. Il futuro è un unico stato con una lingua veicolare e la funzione dell’ONU è di redimere controversie religiose soprattutto. Con H. Weinrich si ribadisce che «di fronte alla memoria tecnica ed elettronica artificiale è necessaria un’arte dell’oblio», anche nell’intervista da lui rilasciata a U. M. Olivieri, Arte della memoria, arte dell’oblio, in «Moderna. Semestrale di teoria e critica della letteratura», 1/2001. Oggi, noi dobbiamo non solo «archiviare informazioni di cui non si conosce bene l’uso», ma anche imparare ad apprendere «l’arte di rifiutare e di scegliere cosa conservare»: «un’operazione necessaria per ritrovare la tranquillità della nostra anima nell’epoca moderna e postmoderna». Con la quarantena per il covid-19 e in pochi mesi, coralmente tutto il mondo ha pianto, prendendo parte a un rituale corale. Molti in Italia si sono emozionati con quanti lottavano per salvare vite, ha condiviso il dolore della perdita e del lutto, ha provato sulla pelle la sofferenza psicologica e il senso di impotenza del personale medico, ha manifestato cordoglio, ha sentito sulla pelle la solitudine dei malati e dei morti. Sono esperienze profonde che rimarranno impresse nell’immaginario collettivo e lasceranno nei sopravvissuti lacerazioni e emozioni inconfessate. Sono ferite interiori con cui, quando la pandemia sarà finita, ci troveremo a dover fare i conti. Forse vinceremo non solo con l’affievolirsi del virus, ma rileggendo i rapporti sociali con gli occhi dei sentimenti più intimi riemersi in questo tragico momento e a tradurli in un attaccamento per le cose vere della vita. Con H. Weinrich si ribadisce che «di fronte alla memoria tecnica ed elettronica artificiale è necessaria un’arte dell’oblio», anche nell’intervista da lui rilasciata a U. M. Olivieri, Arte della memoria, arte dell’oblio, in «Moderna. Semestrale di teoria e critica della letteratura», 1/2001. Oggi, noi dobbiamo non solo «archiviare informazioni di cui non si conosce bene l’uso», ma anche imparare ad apprendere «l’arte di rifiutare e di scegliere cosa conservare»: «un’operazione necessaria per ritrovare la tranquillità della nostra anima nell’epoca moderna e postmoderna». In questo tempo di quarantena un’informazione è circolata in sordina che oltre 20 mila soldati della Nato, ma preponderante quelli Usa, si esercitavano per preparare la guerra, mentre il ministro della difesa russo si appresta a chiedere al collega statunitense di discutere di disarmo e di pace. Ma allora è vero che chi parla di guerra vuole la pace e viceversa? Idem fu tra Corea del Nord e Usa qualche anno fa. In questo periodo di corona-virus hanno più valore le parole di Jaques Attali, collaboratore di Francois Mitterand, in un intervista, riportata da L’Exspress,”una buona piccola pandemia potrebbe costringere i nostri dirigenti ad accettare la realizzazione di un governo mondiale. La storia ci insegna che l’umanità evolve significativamente soltanto quando ha paura. Poi, una volta passata la crisi, trasforma questi meccanismi per renderli compatibili con la libertà individuale e di iscriverli in una politica di salute democratica”. Per Attali “la pandemia che sta iniziando potrebbe far scatenare una di queste paure strutturanti”. E continua: ”Si mettano in atto meccanismi di prevenzione e di controllo come anche processi logistici di un’equa distribuzione di medicine e di vaccini. Si dovrà per questo, organizzare: una polizia mondiale, un sistema mondiale di stoccaggio (delle risorse) e quindi una fiscalità mondiale. Si arriverebbe allora, molto più rapidamente di quanto avrebbe permesso la sola ragione economica, a mettere le basi di un vero governo mondiale”. Chissà in che direzione l’Homo sapiens procederà per un nuovo ambiente: speriamo che sia comunque meno povero del passato e con il cittadino, non suddito di sua maestà la burocrazia. La burocrazia e il non vigile controllo di uno Stato, rende la nostra società secolarizzata o indifferente anche nei servizi sanitari ed assistenziali come pare sia avvenuto in non poche case di riposo per anziani che hanno causato decine di inchieste della Magistratura. Era nesassario per capirne le cause e le responsabilità della moria di molti anziani. Questi erano rappresentanti della migliore generazione del nostro tempo, quella che con sacrifici ha fatto studiare i figli senza essere andata a scuola!
Giuseppe Pace dr. in Scienze Naturali e sp. internazionale di Ecologia Umana dell’Università di Padova.
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