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Scuola regionale e libera in base al merito, sia in Veneto che in Campania

Napoli, 24 Gennaio – Il Partito Pensionati non si interessa solo di pensioni sperequate e farraginosità dell’Inps nonché del cuneo fiscale che esclude i pensionati, sempre utili a fare cassa. Uno dei motti del nostro Segretario Generale, On. C. Fatuzzo, è” pensiamo ad un futuro dove ogni cittadino possa scegliere quando andare in pensione”. Questa è la Democrazia che noi pensionati vorremmo e non l’obbligo dello Stato padrone, che ti tratta da suddito dopo avere versato fino all’ultimo euro i contributi pensionistici. Il partito pensionati si interessa anche di scuola, e mi piace pensare ad un futuro prossimo in cui il genitore possa scegliere sia la scuola libera/regionale o statale ed anche il docente disciplinare. Attualmente la scuola soffre di burocrazia con lo scaricabarile di responsabilità e statalismo che impiega i docenti e li paga meno di altri laureati in servizio pubblico: la paga di un docente è equivalente a quella di un diplomato di scuola media di II grado. La colpa è anche dei Sindacati, che hanno sempre fatto politica e non tutelato i propri iscritti, a cominciare dal non restituire agli iscritti a fine anno gli avanzi di bilancio sindacale come si fa in USA. Su “Tecnica della Scuola”, dello scorso anno, scrissi, in merito all’autonomia scolastica:”Scrivo sul sistema dell’istruzione nel quale ho insegnato 4 decenni in Italia e all’estero. Con la rinnovata vittoria in Veneto della Lega, l’autonomia anche scolastica sembra più attuabile. Oltre 600 mila studenti, con più di 60 mila “impiegati statali” di cui 46mila docenti, varcano ogni mattina i portoni delle sedi scolastiche di 563 comuni veneti abitati da quasi 5 milioni di persone amministrate da 7 province. La riforma Brocca non pare abbia sortito gli effetti sperati: permettere una continuità maggiore con la scuola media di primo grado e favorire l’accesso ai licei a tutti gli studenti italiani, senza più censo con licei ai figli dei ricchi e tecnici e professionali ai figli dei poveri. Si assista, per l’anno prossimo ad un primato del Veneto nell’iscrizione ai Tecnici. Eppure era padovano Beniamino Brocca, il sottosegretario alla Pubblica Istruzione, che ideò la liceizzazione della scuola. Brocca era un illuminato Direttore Didattico della D. C., che dominava l’elettorato veneto, mentre oggi lo domina la Lega. La riforma Brocca non è riuscita bene poiché è di questi giorni che molti professori delle Università italiane registrano che i loro studenti scrivono come in terza elementare. Forse le facoltà scientifiche e tecniche hanno di più tali somari linguistici. Gli specialisti delle discipline linguistiche ed umanistiche sostengono che una non padronanza della lingua materna, denota squilibri vitali e disordini comportamentali oltre a non incidere più efficacemente nel lavoro. Le iscrizioni online alle classi prime medie superiori per il prossimo anno si sono chiuse da poco tempo. I primi dati elaborati confermano il trend di crescita degli indirizzi liceali, scelti dal 54,6%, 30,3% ha optato per un Istituto tecnico e 15,1% ha scelto un Istituto professionale. Nel Veneto sono aumentate le iscrizioni ai tecnici, primato nazionale, nonostante il padovano Direttore Didattico, Beniamino Brocca, Sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione, che propose di abolire i tecnici e professionali a vantaggio di 4 tipi di liceo. Egli voleva elevare la qualità dell’istruzione, ma non c’è riuscito poiché i mass media ci informano che gran parte dei professori universitari registrano, negli universitari, un uso pessimo della padronanza della lingua italiana, da terza elementare e non media, addirittura dicono loro! Da qualche anno gli studenti veneti sono in fortissimo calo-scesi a circa il 9% come per le altre 19 regioni- nelle scuole non statali, che prima attiravano oltre il 16% d’iscrizioni: la percentuale più alta in Italia. Già da un lustro le scuole del territorio regionale veneto stanno perdendo iscritti, ma quest’anno l’emorragia si è fatta più consistente. Sono 6.616 i bambini persi, cioè gli alunni in meno che si avranno a settembre 2019 nelle classi. Tanti, davvero tanti specie se confrontati con il dato nazionale che registra un calo di 21.000 studenti. Significa che poco meno di un terzo delle contrazioni di tutta Italia si sono avute in Veneto. A questo si somma che la maggior parte delle defezioni si registra tra i piccolini, quindi nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie. Ma vediamo cos’è l’autonomia differenziata? Per il governatore del Veneto, L. Zaia: «è già stato tolto tutto quello che è dibattito politico, perché i cittadini si sono già espressi con il referendum, e hanno detto che pretendono l’autonomia. La storia del Paese di serie e A e di serie B sta diventando ormai una scusa, è chiaro, che non serve a nulla nel negoziato giuridico e costituzionale sull’autonomia. Ci sono già tutti i correttivi, tutte le garanzie, nell’intesa. Ma è anche vero che non possiamo accettare che si continui a dire che questa è la secessione dei ricchi o un atto di egoismo. Il percorso é avviato e nessuno lo fermerà più». Il sistema d’istruzione italiano necessita di modifiche sostanziali. Utile alla società, non solo del Veneto, è una riforma che garantisca una libera scelta per il sistema statale e non statale di scuola sia ai docenti che ai discenti. Il docente, con il suo veritiero curriculum, deve essere valutato dall’utenza nella scelta della scuola e del docente disciplinare (dopo i 16 anni, e, obbligatoriamente, dopo i 18 anni e nelle scuole per adulti dei corsi serali e delle università). Alle scuole libere la Regione deve pagare almeno metà della retta mensile, mentre deve decuplicare la tassa d’iscrizione e non restare ai circa 100 euro d’iscrizione delle scuole medie superiori, ridurre infine, non meno della metà, le tasse universitarie, oggi esose. La sola regionalizzazione dei docenti chiesta dal Veneto è sbagliata. Essa fa contenti solo i circa 46mila docenti e gli oltre15 mila Ata (Assistenti, tecnici ed amministrativi), che avrebbero un cospicuo aumento di stipendio come dipendenti regionali. Dunque un’altra mossa populista per aumentare il consenso partitico? Oggi, non possiamo “non dirci federalisti”: perché ci viene naturale associare il federalismo alle più alte espressioni della democrazia politica, ai principi di autogoverno e di responsabilità diffusa nella gestione della “cosa” pubblica. Il diritto all’istruzione-educazione è uno dei diritti fondamentali di cittadinanza, una delle condizioni per una effettiva partecipazione delle nuove generazioni alla vita sociale, civile e culturale del proprio Paese. Secondo il nostro piccolo, ma significante Partito Pensionati, il federalismo in campo scolastico è in grado di realizzare più alti livelli possibili democratici. Gli esempi ci provengono da alcuni sistemi scolastici ad alto tasso di federalismo, pensiamo a quello statunitense ed inglese che produce università eccellenti. Le ricerche internazionali sulla qualità dell’istruzione mettono in evidenza come sia decisivo il tipo di investimento pubblico (emotivo, psicologico, culturale, finanziario) che un Paese intende dedicare al proprio sistema formativo. “La progressiva riduzione del numero di scuole cattoliche in attività deve preoccupare non solo la comunità cristiana ma tutta la società civile e i responsabili dell’amministrazione scolastica nazionale, perché il pluralismo educativo è un valore irrinunciabile per tutti e ogni volta che chiude una scuola cattolica è tutta l’Italia a rimetterci”, così scrive il card. G. Bassetti: Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Gli articoli 33 e 34 della Costituzione, delinearono l’impianto culturale del sistema scolastico pubblico (“la scuola è aperta a tutti”), e con una forte insistenza sulla scolarizzazione e definizione delle regole per tutto il sistema formativo. L’Italia dei padri costituenti è cambiata molto durante e dopo il boom economico del 1953/73, in Veneto fino al 1979. La scuola di massa ha terminato il suo ciclo, adesso è inadeguata all’evoluzione sociale non più prevalentemente analfabeta e contadina. Per il Partito Pensionati il sistema istruttivo soffre di scaricabarile di responsabilità e solo l’utenza del servizio scolastico, discenti adulti e genitori dei minorenni, può migliorarlo. Se i giovani, da alcuni anni, fanno più i bulli e picchiano i loro docenti ci sarà pure qualche sofferenza insita nel sistema formativo inadeguato alla crescita del Discente, che forse vede nel Docente non un vincente, ma un pessimista perdente che ha troppo poco da dare sia d’esempi vissuti che di speranza vitale”. Per parlare del servizio culturale scuola, bisogna conoscere alcuni dati basilari: Gli studenti in Italia, che frequentano le scuole di ogni ordine e grado sono oltre otto milioni, esattamente:7.599.259 la popolazione scolastica della scuola statale, mentre sono circa 870mila gli alunni delle paritarie. Per le statali, la regione con il maggior numero di iscritti è la Lombardia (1.183.493 studenti). Nelle scuole statali gli stranieri, sono 789.066 circa il 10% del totale e quasi 260mila sono gli alunni con disabilità. Le scuole paritarie nel 2017/2018 erano 12.662 e gli studenti pari a 879.158. La scuola dell’infanzia si conferma il settore educativo che accoglie maggiormente gli studenti delle scuole paritarie: 541.447 bambini distribuiti in 9.066 scuole. Gli insegnanti in cattedra nel 2019/2020 sono 835.489, di cui 150.609 per il sostegno. Gli istituti scolastici statali sono complessivamente 8.094 a cui si aggiungono i 129 Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, per un totale di 8.223. Quasi 41.000 le sedi scolastiche (ogni istituto può avere più plessi): 13.286 per l’Infanzia, 14.896 per la Primaria, 7.228 per le Secondarie di I grado e 5.339 per quelle di II grado. Sedi scolastiche statali per regione e livello scolastico, Anno Sc. 2018/2019. Regione Infanzia Primaria I grado II grado Totale sedi scolastiche. Italia 13.326 14.960 7.229 5.364 40.879.Veneto 605 1.369 578 356 2.908 Campania 1.550 1.485 741 625 4.401. Secondo il Sole 24 Ore dall’asilo al diploma ogni studente costa allo Stato 110mila euro, con un contributo della famiglia che si aggira sul 10%. Stato, enti locali e famiglie spendono in media 110mila e 797 euro per il percorso formativo di ogni ragazzo, dall’asilo all’ex esame di maturità. In cima alla classifica troviamo il Trentino Alto Adige dove il conto arriva a 176mila euro con il 7,9% del contributo delle famiglie, a seguire il Piemonte e la Valle d’Aosta con 131mila euro e 18,5 per cento di spese a carico dei nuclei familiari. L’ultimo posto se lo aggiudica la Puglia con 94mila euro di spese e con un costo per le famiglie di 9,1%. I numeri emergono da un’analisi condotta dal Mipa, il consorzio per lo sviluppo delle metodologie e delle innovazioni nella Pubblica amministrazione, pubblicata dal ”Sole 24 Ore del lunedi”’. Il Nord, dunque, occupa i primi posto della graduatoria; infatti troviamo in terza linea il Veneto che spende per uno studente fino all’esame conclusivo della scuola media superiore 124mila euro, con l’11% di contributo da parte delle famiglie. Per far conseguire il diploma agli studenti della Campania e della Liguria servono rispettivamente 95 e 94 mila euro con 8,7 e 11,4 di contributi familiari. Nella Regione Veneto (circa 4.750.000 ab.) i discenti sono 594.915 in 28.165 classi e con 16.962 discenti con disabilità. In Regione Campania (circa 5.800.000 ab.) i discenti sono 879.561 in 44.301 classi e con 27.581 discenti con disabilità. Il personale scolastico non docente o Ata in Veneto è di circa 70mila persone, che la proposta Lega in Regione vorrebbe da subito regionalizzare con notevole aumento di stipendio, mentre i presidi li farebbe restare statali e i docenti a libera scelta, che sicuramente opterebbero tutti essere regionalizzati per avere lo stipendio notevolmente aumentato dalla Regione. In questi giorni, l’ennesima polemica scolastica si accentra sul no alla scuola di censo per i fatti scoperti in una scuola romana, senza mai dare la parola ai genitori di quella scuola né ai docenti e presidenza che l’hanno caratterizzata con la divisione degli iscritti in base a classe di reddito, pare. Da tempo vado ribadendo che la scuola va regionalizzata e resa migliore come servizio sociale di quando non lo sia attualmente. Il Veneto è capolista delle Regioni per l’autonomia scolastica, ma anche al Sud, con La Campania, c’è disponibilità alla regionalizzazione scolastica sia pure in modo diverso dal Veneto e più simile all’Emilia Romagna pure guidata, come la Campania, da un Governatore del Pd. In Veneto il servizio sanitario, ma anche quello scolastico funzionano meglio di altre parti d’Italia, ma la proposta statalista del Pd e quella regionalista della Lega non sono proposte che migliorino il sevizio scuola qualitativo.

Per migliore il servizio scuola anche a Padova ed in tutto il Veneto bisogna renderlo più libero dallo Stato, ma anche dalla Regione. Va reso più libero per la scelta della scuola e per il diritto di scelta del docente disciplinare da parte del fruitore del servizio. Anche i nuovi concorsi per il reclutamento di decine di migliaia di docenti, sembra più un servizio assistenziale ed impiegatizio che di selezione di professionisti. Basta dire che la sola sede associativa di Reggio Calabria sia abilitata ad accreditare i 24 CFU necessari per partecipare ai concorsi. Non regionalizzare significa ribadire lo stato quo, regionalizzare il personale scolastico, aumentandogli lo stipendio, ma facendo restare il tutto o quasi com’è oggi nemmeno è una scelta corretta. In questo periodo sta facendo scalpore la notizia che in alcune scuole italiane si sia deciso di costituire plessi e classi in base alla situazione economica dei familiari degli iscritti. Chi si è scandalizzato del fatto scolastico romano, pare non sia stato il singolo utente del servizio scuola, ma l’esterno, ed i partiti populisti in primis. E’ risaputo, da una maggioranza silenziosa, che in molte scuole, da sempre, si è cercato di pilotare gli iscritti verso corsi e classi migliori se figli di gente che conta. Questi ovviamente hanno il potere d’acquisto e dunque il reddito più elevati. Certo la legge e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo stabiliscono che siamo tutti uguali di fronte alla legge, ammettendo implicitamente che le diversità esistono e sussistono. Ma vediamo come pensava don Lorenzo Milani sul problema di censo:” Possedere la parola. E’ la lingua che fa eguali. La lingua, il possesso della lingua è un elemento fondamentale per arrivare all’eguaglianza degli uomini. Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli. La cultura vera, quella che ancora non ha posseduta nessun uomo, è fatta di due cose: appartenere alla massa e possedere la parola.” (L. P. 105). G. Crainz in Autobiografia di una repubblica scrive che la Lettera ad una professoressa è il più importante testo di culto della contestazione studentesca del 1968. Certo è difficile trovare operazioni culturali così rigorose e incisive come quella di Barbiana che fa della lingua e del suo possesso l’elemento fondamentale dell’uguaglianza umana. Non si tratta solo di denunciare la dispersione scolastica di cui è colpevole un processo educativo che prescinde da quelle che sono le condizioni di partenza degli alunni. L’uomo è immerso in una rivoluzione culturale senza precedenti storici con la globalizzazione e l’evoluzione culturale che è più coinvolgente della, molto più lenta, evoluzione solo biologica. Ne consegue che sapere insegnare richiede una professionalità certa. Siamo figli dell’evoluzione biologica, ma anche una specie capace di scrivere la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il cui contenuto è profondamente accettato in tutte le legislazioni degli oltre 200 Stati planetari. Questo significa una cosa sola, che noi siamo capaci di creare innovazione, di produrre comportamenti inediti rispetto all’evoluzione passata? Siamo anche capaci di condizionare l’evoluzione biologica con la genetica e medicina moderna. L’evoluzione biologica fornisce delle potenzialità, fa sì che siano possibili certi comportamenti. Secondo una certa cultura “comunisteggiante” deve prevalere “la logica del gruppo”, che spinge l’individuo a rendersi conto che, rinunciando momentaneamente al proprio interesse, può ricavare un vantaggio per il futuro. Poi la specie umana, quando ha interiorizzato un comportamento, tende a generalizzarlo. È quindi possibile che la nostra mente sia capace di pensare a gruppi sempre più grandi. In questi anni siamo stati capaci di concepire la specie umana intera come un soggetto di solidarietà e quindi di dire che siamo tutti esseri umani, titolari di pari diritti e pari dignità. L’attitudine dell’egualitarismo è qualcosa di profondamente radicato in questa logica di gruppo”. In realtà il singolo è capace di comportamento altruista indipendentemente dall’imposizione del gruppo, cha nasce per necessità familiari e di difesa. In tutto il mondo occidentale il 2009 è l’anno del bicentenario della nascita di Charles R. Darwin, che nacque il 12 febbraio 1809 e dei 150 anni della prima edizione dell’Origine delle specie, il suo libro più noto e rivoluzionario. L’evoluzionismo neodarwinano è stato accettato dal papato di G.Paolo II, ma non mancano ancora contrari nel mondo accademico ed ecclesiastico. Ciò che conta di più è conoscere l’evoluzione culturale dell’Homo sapiens, capace di rendere l’uomo artefice del proprio ambiente e non subirlo. Anche la scuola può migliorarla, non subirla.

La tesi di Barbiana è molto più profonda: è guidata da due convinzioni di fondo: la forza della parola e la fiducia nell’uomo, di ogni uomo che ha in sé ricchezze infinite e deve esser messo in condizione di esprimerle. La parola alla quale fa riferimento la Lettera ad una professoressa è prima di tutto quella che Dio stesso ha pronunciato nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, e che non può esser ridotta al silenzio. Non valorizzare al meglio il fattore umano è spreco della risorsa più importante. A Barbiana è anche esaltata la conoscenza delle lingue straniere come estensione evidente della conoscenza della parola. Si approfittava di ogni occasione per confrontarsi con persone di madrelingua ed era cercata in ogni modo l’opportunità di andare all’estero non solo per imparare le lingue ma per conoscere ed avvicinare una cultura diversa. Si può obbiettare che certe espressioni della scuola di Barbiana, pur importanti e sorprendenti, risalgono agli anni Sessanta, ma il mutamento che è intervenuto con la diffusione dei media, dei social network e con la omologazione della lingua ha solo in apparenza ridimensionato il problema. Già oggi emerge il problema del divario digitale cioè la distinzione fra quella parte di mondo che conosce ed è in grado di utilizzare gli strumenti della comunicazione ed elaborazione informatica e quella parte di umanità che alla rivoluzione digitale non è in grado di accedere. Per questo il richiamo al riscatto degli ultimi come diritto affermato dalla Costituzione a tutela e promozione di una dignità umana altrimenti negata, è divenuto, con il processo di globalizzazione e la competizione fra territori, un elemento essenziale per un paese che se non riesce a valorizzare al massimo il proprio fattore umano incorre nello spreco della risorsa più preziosa e rischia di farne pagare il prezzo alle generazioni successive. Bisogna che ognuno si senta l’unico responsabile di tutto.

La vera cultura non è solo possedere la parola, esser messi in condizione di potersi esprimere, di poter mettere a disposizione di tutti quello che noi abbiamo ricevuto: è anche appartenere alla massa ed essere consapevoli di questa appartenenza. E appartenenza significa anche farsi carico di tutti. Scrive don Lorenzo in una lettera a Francuccio: “La cultura è una cosa meravigliosa come il mangiare ma chi mangia da solo è una bestia, bisogna mangiare insieme alle persone che amiamo e così bisogna coltivarsi insieme alle persone che amiamo.” Quindi mai una cultura elitaria: nella scuola di Barbiana tutti vanno a scuola e tutti fanno scuola: educazione partecipata a tutti e partecipata da tutti. Già la vita di relazione è luogo educativo fondamentale. Ma essa deve diventare partecipazione attiva alla vita di tutti: nella scuola, nella vita pubblica, nella politica, nel sindacato. LI care è il motto di Barbiana. La risposta polemica ai cappellani militari della regione toscana sull’obbiezione di coscienza e la successiva lettera ai giudici in occasione del processo intentato contro di lui (e contro P. Balducci) per apologia di reato sono due parti di un unico messaggio che va sotto il titolo: L’obbedienza non è più una virtù.: I nostri nomi – scrive P. Balducci sul suo diario al 26 giugno 1967, quello stesso della data di morte di don Milani – erano intrecciati nell’esecrazione o nel plauso, imputati ambedue per l’apologia dell’obiezione di coscienza. Era toccato a lui condurre la causa comune fino ai vertici della lucidità e della passione morale, con la Lettera ai giudici, straordinario capolavoro di realismo cristiano”. Allora perché scandalizzarsi tanto di classi e plessi che tentano di rendere meno eterogeneo il clima interno con studenti di estrazione sociale troppo diversa? Roma, la scuola che divide gli studenti: “In una sede i ragazzi dell’alta borghesia, in un’altra quelli di estrazione sociale medio bassa”. Ma leggiamo cosa dicono i partiti populisti che sono sempre dalla parte del più povero e si scagliano contro il ricco da cui prendono tutto per farlo diventare povero fino a che tutti diventino poveri: ”L’Istituto Comprensivo Via Trionfale spiega la distinzione nella sua presentazione online, poi rimossa nel pomeriggio. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina è intervenuta sulla questione chiedendo “ragioni motivate di questa scelta, che comunque non condivido” (la Ministra è stata alla ribalta della cronaca per aver copiato spudoratamente la tesi d’abilitazione ad insegnare, bell’esempio pedagogico). Il Consiglio di Istituto si difende: “Nessun classismo, mera descrizione socio-economica del territorio”.“La sede di via Trionfale e il plesso di via Taverna accolgono alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto, mentre il plesso di via Assarotti accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa”. Così l’Istituto Comprensivo “Via Trionfale” a Roma si presenta sul suo sito web: alunni divisi in base al reddito delle famiglie, e sistemati in due edifici separati. Non solo: divisi anche per nazionalità. Quello di via Assarotti, nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario, precisa l’Istituto , “conta tra gli iscritti il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana” al contrario dell’altro complesso, in via Cortina d’Ampezzo, che“accoglie prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell’alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)”. La ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha chiesto alla scuola di fornire “ragioni motivate della scelta” che, precisa, “comunque non condivido”. Sulla questione è intervenuta anche la ministra dell’Istruzione: “La scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione. Descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso. Mi auguro che l’istituto romano di cui si racconta oggi su possa dare motivate ragioni di questa scelta. Che comunque non condivido“. L’Istituto romano in questione, nato nel 2012 dalla fusione di due istituti preesistenti, è composto da 4 plessi che accolgono attualmente 5 sezioni di Scuola dell’Infanzia, 39 classi di scuola primaria e 8 classi di scuola secondaria di I grado. Il caso è montato dopo una denuncia di Leggo, che ha raccontato la descrizione del sito web. Il Consiglio di Istituto dell’Istituto si difende, dicendo che i dati presenti nella presentazione del sito sono da leggere come una “mera descrizione socio economica del territorio“. Sottolinea comunque di avere proceduto a eliminare le definizioni “interpretate in maniera discriminatoria”: la pagina del sito risulta ora modificata.”L’istituto scolastico non ha mai posto in essere condotte discriminatorie nella ripartizione degli alunni nei diversi plessi o nelle diverse classi”, spiegano in una nota.”È importante chiarire che al momento dell’iscrizione dei propri figli sono i genitori a scegliere uno dei 4 plessi scolastici sulla base dei criteri della residenza e/o del luogo di lavoro“. Il Consiglio di Istituto conclude il comunicato spiegando che la scuola “attua costantemente e quotidianamente, attraverso l’istituzione scolastica, il lavoro dei docenti e la collaborazione delle famiglie, le migliori e più opportune pratiche per l’inclusione e la rimozione di qualunque discriminazione“. “Non devono esistere scuole di serie A e scuole di serie B, ma scuole inclusive, serie e qualificate, che riattivino la mobilità sociale e abbattano la convinzione che esistano cittadini di serie A e di serie B”.“Un invito ai ragazzi e ai loro genitori che, in questi giorni, sono alle prese con l’iscrizione alle scuole secondarie di secondo grado. Senza infingimenti e senza ipocrisie, scegliete nella maniera giusta e libera tenendo conto soprattutto delle inclinazioni dei vostri figli”. A rivolgerlo C. Sgambato, responsabile nazionale Scuola del Partito Democratico.“Gli alunni purtroppo scelgono il percorso di studi non in base alle loro attitudini, ma in base al rendimento scolastico o, peggio, a seconda dell’ambiente e delle famiglie di provenienza. Questo comporta che la selezione in ingresso tra licei e istituti tecnici e professionali avviene sulla base di un giudizio tra “alunni bravi e studiosi e alunni che non hanno mostrato impegno”, senza soffermarsi, invece, sulle inclinazioni, sui desideri degli studenti. Dobbiamo esserne consapevoli, come genitori e come docenti. Gli istituti tecnici e professionali sono scuole di alto profilo, non “rifugium peccatorum” di chi non vuol studiare. Solo con questo approccio, libero da pregiudizi, soprattutto in considerazione dell’importanza dell’innovazione digitale e del sistema economico 4.0., restituiremo alla formazione tecnica e professionale la qualità, la serietà, il rigore didattico che meritano”, continua la componente della segreteria di Zingaretti con delega alla Scuola. “Far leva sulle inclinazioni, le capacità e le attitudini di ogni singolo ragazzo è, inoltre, un potentissimo mezzo per combattere la dispersione scolastica, perché un alunno che studia ciò che desidera e gli piace, non si annoia, raggiunge i risultati prefissati e non abbandona gli studi. Ed è ciò che deve realizzarsi in un Paese autenticamente democratico, nel quale non devono esistere scuole di serie A e scuole di serie B, ma scuole inclusive, serie e qualificate, che riattivino la mobilità sociale e abbattano la convinzione che esistano cittadini di serie A e di serie B”, conclude Sgambato (Pd). Sempre il Pd in primis a difendere il povero? E la chiesa si lascia scavalcare? Non credo che le cose stiano nei termini e modalità volute, pensate e propagandate dal Pd e partiti similari. Oggi gli studenti soffrono in una scuola burocratica, statalista e composta di impiegati e non più da professionisti dei vari saperi: umanistici e scientifico-tecnologici. Ma leggiamo cosa dicono sul fronte non Pd da un articolo di I. Paoletti: I poveracci non imparano molto”. “Vi sono istituti frequentati dalla borghesia e altri, scrive Vittorio Feltri://www.liberoquotidiano.it. Questa è la verità ed è da fessi contestarla” scrive il giornalista bergamasco. Va da sé che nei primi il livello qualitativo dell’istruzione è elevato (non esageriamo, forse è solo accettabile), mentre nei secondi è un casino infernale poiché gli studenti, essendo poveracci, non riescono a imparare molto”.“La società non è omogenea”. “Giusto dire che l’educazione dovrebbe essere uguale per tutti e a tutti ha l’ obbligo di impartire lezioni idonee” continua Feltri. “Tuttavia questa è solo una aspirazione e non un dato di fatto. La verità è che se la società non è omogenea, neppure la formazione può esserlo per scontati motivi. Se in una classe di venticinque alunni, quindici sono immigrati o sfigati di periferia, il grado culturale complessivo della medesima non sarà eccelso. Ovvio. Lo capisce chiunque”. Ma non “prepariamo” i radical chic. Resta il fatto che per valutare le varie scuole tutti gli istituti si sottopongono a degli open day e, di pari passo a ciò, c’è il fatto che alla scelta della scuola spesso è vincolata l’appartenenza a un dato municipio: ergo, i genitori sapranno già che ambiente faranno trovare ai figli. Il quartiere fa la scuola; molte famiglie non hanno scelta, altre, invece, come quelle dei radical chic che decidono di mettere su casa in quartieri squisitamente “multiculturali”  si ritroveranno davanti una realtà diversa e che magari non si aspettavano. Meglio così, perché “prepararli”? A scuola qualche volta (non sempre) s’impara pure la verità. Il sottosegretario P. De Cristofaro si è detto “sconcertato che la scuola si presenti sul proprio sito internet “distinguendo i propri plessi in base al rango socio-economico dei propri alunni andando contro ogni valore espresso dalla nostra Costituzione. Intanto appare la notizia che l’uomo non domina più la tecnologia che usa, soprattutto se digitale? L’uomo non sempre sa dominare la sua tecnologia e, spesso, ne è dominato, purtroppo. L’attuale tecnologia è più sofisticata e potente della precedente e continuerà così nell’evoluzione culturale della specie Homo sapiens che si è sganciata quasi dall’essere tangente e secante del pianeta Terra.

L’attuale tecnologia è, in sintesi, quella digitale: moltissimo si può fare con essa e ultimamente con il telefonino ultra sofisticato da cui molti giovani dipendono per le troppe ore che lo usano, ma se si limitano a selezionare tempo e modalità è un bene. Ma vediamo cosa dicono gli esperti sulla nuova dipendenza tecnologica dell’uomo del 2020 d.C.. Milano, 8 gen. (Adnkronos Salute) – L’abuso di Internet riduce le capacità di apprendimento degli studenti universitari: a causa della tecnodipendenza risultano meno motivati e più ansiosi, con un effetto aggravato dal senso di solitudine prodotto dall’isolamento in una ‘bolla digitale’. E’ la conclusione di una ricerca dell’università Statale di Milano e della Swansea University (Gb), pubblicata sul ‘Journal of Computer Assisted Learning’. Al lavoro hanno partecipato 285 studenti di corsi di laurea di ambito sanitario, valutati sotto diversi aspetti: uso delle tecnologie digitali, capacità di apprendimento, motivazione, ansia e solitudine. Il 25% del campione ha dichiarato di trascorrere online più di 4 ore al giorno, mentre la quota restante da un’ora al giorno a 3. Gli studenti usano Internet soprattutto per i social network (40%) e per cercare informazioni (30%). Secondo gli autori, emerge “una relazione negativa tra dipendenza da Internet e motivazione: i soggetti fortemente dipendenti da Internet hanno ammesso di avere maggiori difficoltà a organizzare lo studio in modo produttivo e di essere più preoccupati per gli esami”. La dipendenza dal web sarebbe inoltre associata a “un senso di solitudine che renderebbe ancora più difficile studiare”, perché “incide sulla percezione della vita universitaria. La minore interazione sociale legata alla dipendenza da Internet – avvertono gli studiosi – acuisce il senso di solitudine e di conseguenza riduce la motivazione a impegnarsi in un ambiente caratterizzato da un forte coinvolgimento sociale come quello accademico”. “I risultati suggeriscono che gli studenti con una forte dipendenza da Internet potrebbero essere a rischio di demotivazione e quindi di prestazioni inferiori”, afferma P. Reed dell’ateneo gallese. Secondo quanto affermato dall’ex ministro del Miur, «ogni volta che un laureato se ne va dall’Italia, è un assegno di 250.000 euro che noi andiamo a versare sul conto di un Paese che poi ci farà la competizione sui mercati internazionali, spesso con le idee sviluppate da italiani che abbiamo formato con i nostri soldi». Secondo i dati sull’istruzione riferiti al 2016, lo Stato italiano spende circa 5.700 euro ogni anno per studente nell’ambito dell’istruzione primaria, cioè le elementari. Moltiplicando questa cifra per i cinque anni di durata delle scuole elementari, si ottiene un totale di 28.500 euro. Per quanto riguarda invece l’istruzione secondaria, cioè scuole medie e superiori, l’Italia investe circa 6.600 euro all’anno per studente. Moltiplicando la cifra per gli otto anni necessari a completare il ciclo dell’istruzione secondaria, si ottiene un totale di 52.500 euro. Infine, è di 8.300 euro il costo annuo dello Stato per fornire l’istruzione ad uno studente universitario. Se a scegliere il servizio scuola e il docente è l’utenza, facciamo un’opera meritevole di sviluppo culturale di cui la scuola è espressione, non certo di uno Stato padronale che vuole ancora suddito il cittadino, residente in Veneto e nelle altre 19 regioni italiane. In conclusione la rivoluzione epocale in atto vede la scuola italiana in posizione di retroguardia nell’innovazione come ribadisce spesso l’Ocse che valuta gli studenti italiani non bene e con solo il 15% che sa intendere ciò che legge. Nel 2016, la percentuale di laureati tra le persone tra i 30 e i 34 anni è cresciuta in tutti i paesi membri dell’Unione Europea rispetto al 2002 ma l’Italia è tra gli Stati con la percentuale più bassa (26,2%). Lo rivela il nuovo compendio statistico diffuso dall’agenzia europea Eurostat. Nonostante l’autogratificazione di molti addetti della scuola continui con spensierata baldanza, le stime svolte dagli Organismi internazionali dicono che siamo messi male poichè la nostra scuola è agli ultimissimi posti di graduatoria e non solo in Europa. L’Ocse, ha presentato al Mef il rapporto ‘Skills Strategy Diagnostic Report – Italy 2017’. Il divario della performance in PISA (Program for International Student Assessment, un sistema per accertare le competenze dei 15enni scolarizzati, ndr) tra gli studenti della Provincia Autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico. L’Ocse sottolinea “la variazione significativa nella performance degli studenti all’interno del Paese, con le regioni del sud che restano molto indietro rispetto alle altre”. Il padovano Beniamino Brocca ha anticipato la scuola romana che scrive gli studenti per censo. Brocca aveva ragione quando voleva che i figli dei poveri non siano costretti a scegliere i professionali e tecnici e ai licei solo i figli dei ricchi. Ma una riforma proposta da noi pensionati in Veneto potrebbe essere migliorativa del servizio e più equa socialmente.

Giuseppe Pace (già prof. in Italia ed estero, delegato regionale scuola del Partito Pensionati)

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