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Scuola, nessun aumento per gli insegnanti

Napoli, 2 ottobre – I dipendenti pubblici, ormai, percepiscono stipendi non adeguati nemmeno all’aumento del costo della vita degli ultimi anni; buste paga che al netto valgono dai 1.350 ai 1.500 euro mensili e che comporterebbero una pensione sui 700-800 euro, la cifra che, con il reddito di cittadinanza, si vuole destinare a chi non lavora. Se andiamo a studiare in dettaglio la situazione degli insegnanti, gli arretrati concessi al personale scolastico per il 2016 e il 2017, il rinnovo contrattuale dello scorso aprile e gli 80 euro dati per il 2018 a titolo perequativo dimostrano come gli stipendi attuali sono ben lontani dal dovuto recupero dell’inflazione.

La manovra di bilancio trascura o meglio ignora completamente i dipendenti pubblici, che non sono minimamente calcolati nel DEF e che rischiano di vedersi togliere gli aumenti arrivati nel 2018 dopo un decennio di blocco contrattuale. Un terzo di questi contratti pubblici sono relativi agli insegnanti e, in generale, al personale scolastico. Nello specifico sono necessari circa 4 miliardi di euro, il minimo affinché, a partire dal nuovo anno, l’aumento degli stipendi degli insegnanti che percepiscono meno di 26mila euro non venga revocato. Il problema riguarda coloro che hanno cominciato a lavorare nell’anno 2000 e che oggi percepiscono un compenso mensile che senza interventi dal 1° gennaio verrà persino ridotto, per via della mancata copertura da parte dell’attuale Governo in carica della perequazione garantita da quello Gentiloni solo fino al 31 dicembre 2018.

Questa situazione è inammissibile, considerando poi che già ad oggi, con tutto l’aumento, comunque gli stipendi dei dipendenti pubblici rimangono sotto almeno del 5% rispetto al costo della vita. La situazione che si sta delineando vede delle riforme previdenziali approvate negli ultimi anni che procurano a chi è disoccupato la stessa cifra che percepiscono le persone che, dopo 42 anni di lavoro, vanno in pensione. Per quanto umanamente e socialmente giusto e condivisibile, non ci si può preoccupare soltanto di chi non lavora o di chi accede alla pensione sociale, ma occorre anche approvare delle norme eque, che non arrivino a mortificare chi un lavoro c’è l’ha e presta ogni giorno un servizio professionale per lo Stato.

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