Cultura

Nel futuro ambientale globale in che direzione navigare:”l’America è Occidente, l’America siamo noi”?

Napoli, 24 Novembre – Dopo il secondo conflitto mondiale il globo terracqueo ha ospitato in pace quasi 8 miliardi di individui della pecie Homo sapiens. Li ha solo fatto assistere da spettatori, spesso passivi, alle varie e frequenti guerre locali causate dalla tensione tra le grandi potenze espansioniste: Cina, Russia e Usa, tralasciando la più povera India, per ora. Dalla rivoluzione d’ottobre del 1917 l’Urss non mutò molto la politica espansionista dei precedenti conduttori della res publica, gli zar di tutte le Russie. Continuò in modo meno timido e limitato, propagandando l’internazionalismo proletario già seminato a piene mani da alcuni filosofi ottocenteschi come il tedesco C. Marx. Stalin, con la forza più che con la cultura che non possedeva come Trockij (che guidò l’armata rossa nella guerra civile contro l’armata bianca fino al 1922), si fece spazio a gomitate e prese il timone della grande nave russa applicando il comunismo prima nella sua patria per esportarlo poi fuori. Con la morte di Lenin che metteva in guardia il suo cerchio magico di tenere lontano il grezzo Stalin si afferma il georgiano poco colto, ma con carisma popolare senza pari e più di Trockij, figlio d’ebrei benestanti e più colto di altri leader bolscevichi. Il concetto principale della teoria trotskista era l’idea dell’espansione del fenomeno politico e culturale del bolscevismo in tutto il mondo, sull’esempio della rivoluzione d’ottobre del 1917 in Russia. Trockij sosteneva che la teoria del socialismo solo in Russia formulata da Stalin fosse una rottura con l’idea dell’internazionalismo proletario. Poi dopo il 1938 con la IV Internazionale voluta da Trockij, nel 1940, Stalin lo fece uccidere in Messico da un sicario armato di picozza da alpinista, dopo aver fatto assassinare due dei figli uno avvelenato? e l’altro ucciso in carcere. La politica espansionista del colosso euroasiatico Russia è ancora presente negli equilibri europei, asiatici e mondiali. In questi giorni si assiste alla tensione tra Bielorussia e Polonia, ma molti ipotizzano il suggerimento dietro le quinte del timoniere russo. Una voce fuori del coro anche con il libro “La Rabbia e l’Orgoglio”, Oriana Fallaci ruppe il silenzio pluriennale nel 2001. Lo ruppe prendendo spunto dall’apocalisse che la mattina dell’11 settembre 2001, non molto lontano dalla sua casa di Manhattan, disintegra le due Torri di New York e uccide migliaia di persone. Accolto con simpatia in Italia e all’estero, il libro si trasformò subito in un caso mondiale, diventando il fulcro del dibattito internazionale sul terrorismo islamico e sul crollo delle Torri. Forse ancora oggi costituisce un testo non trascurabile per comprendere l’evento che più di ogni altro ha determinato il corso degli anni futuri. Con la sua sincerità, Oriana parla degli Stati Uniti, dell’Europa, dell’Islam, del nostro Paese: riflette sulla grandezza e la vulnerabilità americana ricordando che “l’America è Occidente, l’America siamo noi”, lancia furibonde invettive contro i terroristi e “gli avvoltoi che se la godono a veder le immagini delle macerie”, denuncia la viltà delle “cicale di lusso, politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti intellettuali”. Ciò che nella prefazione la Fallaci definisce “piccolo libro” è in realtà un grande libro. Un libro che non può lasciare indifferenti, e scuote le coscienze di tutti noi. Già altre volte ho usato l’analogia della navicella, con bandiera e lingua araba, navigare nel Mediterraneo? Tutti la osservano, da lontano, per capire dov’è diretta: il porto è affidabile oppure rischia di andare a sbattere su scogli che la danneggerebbero non poco? Studiare l’ambiente come insieme di natura e cultura deve non sottovalutare anche il crescente sistema digitale e i relativi flussi relazionali che entrano ed escono dal territorio esaminato. Ma studiare l’ambiente come sistema di natura e cultura come suggerisce la Matematica che non è un’opinione. Cosa suggerisce? Ecco la sua risposta: se A= N+C (Ambiente = Natura + Cultura) C= N-C (Cultura=Natura – Cultura). Allora la cultura con la natura non ha relazioni principali? Potrebbe essere perché l’uomo è universale non solo planetario della Terra. Non a caso la coscienza o consapevolezza la sta esaminando nei fotoni il fisico vicentino pluridecorato in USA per meriti e scoperte tecnologiche: inventore di componenti del sistema hard del digitale. Nel mio piccolo la ricerco nella memoria ancestrale della nostra specie ed in quella dell’acqua, del fiume Lete, tra Molise e Campania, in modo speciale. Ciò premesso rimando all’ambiente dell’Unione Europea con la Polonia e della Bielorussia con il potente vicino russo, che ha un territorio molto più esteso di qualunque stato mondiale. I 27 stati che aderiscono all’idea sovranazionale, denominata Unione Europea, sono messi a dura prova mediante la porta nord della Polonia in materia di migranti, che nessuno vorrebbe a casa propria come una sorta di rifiuto del rifiuto terminologia usata per lo smaltimento dei vari tipi di rifiuti (inerti, organici, speciali, ecc.). Alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, da giorni ci sono migliaia di migranti ammassati e che cercano di entrare in Europa; per l’Occidente è il regime di Lukashenko che li sta spingendo a sfondare i varchi e Varsavia ha accusato esplicitamente il presidente russo V. Putin di aver orchestrato la crisi. Tra i circa 200 stati mondiali non pochi, purtroppo, sono ancora con governo della res publica da democrazia in fasce. Siua Polonia che Bielorussia lo sono? Perché no, entrambe hanno meno decenni alle spalle di dittatura russa o cortina di ferro con l’Urss prima di Corbaciov. L’espressione di democrazia in fasce, fu un’analogia che utilizzò un mio collega del Liceo Tecnologico “Transilvania” di Deva in Romania (Grigor Hasa), che insegnava storia e aveva scritto vari libri dell’ambiente politico del suo Paese. Il citato collega mi riferì che la loro democrazia romena, uscita dalla dittatura comunista di N. Ceausesco nel 1989, rispetto a quella italiana era “ancora in fasce”. Me lo disse nel 2004 quando sui media si scriveva di possibili brogli elettorali nel rinnovo della presidenza della Repubblica di Romania, dove lo slogan elettorale più diffuso e di tutti i partiti era la ”lotta alla corruzione”, che è alta e diffusa, ma da noi non è assente con 60 miliardi annui in Italia e 250 in Germania (e all’elezioni nessuno ne parla, purtroppo). Ecco perché, sempre per analogia, scrivo che anche la democrazia in alcuni Paesi ad economia più attardata, come molti di quelli dell’ex Urss e ancora di più di ambienti arabi, la democrazia pare sia ancora in fasce e la lotta politica si manifesta con omicidi ed avvelenamenti dell’avversario, non solo con calunnie come da noi, spesso infondate. Con la manifestazione al Campidoglio degli Usa dei sostenitori dell’ex Presidente Trump, anche in Usa c’è stato un ritorno, per brevissimo tempo, dell’ambiente da democrazia in fasce, poi risoltosi con la maturità democratica dei vinti e dei vincitori della competizione elettorale.

Non è che in Usa tutto va bene ma i poteri parlamentari e presidenziali funzionano da molto tempo e il “calderone d’etnie”, a parte frequenti episodi d’intolleranza razziale, non trova altre aree mondiali di confronto e gli esperti d’ambiente statunitense dicono che l’integrazione funziona più di qualunque altro Paese mondiale. Ad esempio la bandiera a stelle e strisce appiana qualunque differenza sociale, economica e religiosa. Tutti gli statunitensi sono orgogliosi di esserlo e circa metà degli elettori lo manifesta più ancora dell’altra metà. Io stesso ho parlato con neri, taxisti di New York, che erano contenti di lavorare là, più dell’Italia e di altri Paesi dell’U. E. in cui erano stati per molti anni immigrati. Ma vediamo cosa succede tra Polonia e Bielorussia. I media riportano che “Due gruppi di migranti sono riusciti a sfondare il recinto della frontiera fra Bielorussia e Polonia attraversando il confine. Lo sfondamento è avvenuto nei due villaggi di Krynki e Bialowieza. Il governo polacco ha reso noto che una cinquantina di migranti sono stati arrestati. Intanto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, apre all’ipotesi di finanziare barriere ai confini europei. E lo fa in un discorso «sullo stato dell’Europa» pronunciato a Berlino in un evento organizzato dalla Konrad Adenauer Foundation. «Abbiamo aperto il dibattito sul finanziamento da parte dell’Ue dell’infrastruttura fisica delle frontiere. Questo deve essere risolto rapidamente perché i confini polacchi e baltici sono confini dell’Ue. Uno per tutti e tutti per uno», ha detto Michel nella capitale tedesca, nel giorno in cui si celebrava la caduta del Muro di Berlino. «Stiamo affrontando un attacco brutale e ibrido ai nostri confini dell’Ue. La Bielorussia sta armando il disagio dei migranti in modo cinico e scioccante. Al nostro ultimo Consiglio europeo abbiamo condannato e deciso di rispondere a questi attacchi. Abbiamo chiesto alla Commissione di proporre tutte le misure necessarie in linea con il diritto dell’Ue e gli obblighi internazionali», ha aggiunto.

Scrive il Corriere della Sera: ”La tentata «invasione» notturna da parte di gente intirizzita dal freddo, dal sonno e dalla fame è culminata con il fermo di circa 50 migranti sui 200 che avevano scavalcato la recinzione. Il diritto internazionale, la superiorità morale che l’Europa vanta nei confronti di qualsiasi interlocutore è ancora una volta messa a rischio come per i barconi alla deriva nel Mediterraneo. I 50 fermati erano in Polonia? Avevano diritto a chiedere asilo e protezione? O erano nella terra di nessuno, l’equivalente delle acque internazionali tra due Paesi sovrani, in cui la legalità (e l’etica) dell’uno o dell’altro non valgono? Dunque si ripresenta l’espansionismo russo alle porte dell’Europa occidentale? Non proprio se non si cerca da parte dell’U.E. di aprire le porte all’adesione della Russia, che non è asiatica come la Cina né ha più il monopartito dittatoriale anche se a volte molti non vedono pluripartitismo che fa parte del gioco democratico occidentale. Nel mio libro “Canale di Pace. Evoluzione del suddito a cittadino per uno stato globale, federato e liberale” in corso di stampa, scrivo che con lo stato unico terminerà la guerra fredda e l’espansionismo di Usa, Russia e Cina perché non c’è più ragione di farlo. Terminerà anche la crescita agli armamenti tra le parti della guerra fredda e le risorse terrestri e marine saranno meglio distribuite con riduzione di affamati, assetati e analfabeti nel sud del mondo dove l’economie sono più attardate con tutti i caratteri ambientali tipici: diffusa misera, bassa scolarizzazione, sudditi molti e cittadini pochi, corruzione evidente, servizi pubblici scadenti o inesistenti e il dominio dello statalismo di facciata. Altra cosa è l’ambiente dei paesi arabi dove la religiosità è più presente e spesso prevalente nel governo della res publica. Sotto gli occhi di molti appare oggi ancora la Tunisia. In quel Paese arabo, già accennato in altri articoli,  la nuova premier incaricata, Najla Bouden, durante la cerimonia di giuramento si è presentata  con 24 ministri, tra cui 8 donne. La nomina dei ministri è avvenuta con decreto presidenziale. Secondo le misure eccezionali non è infatti previsto passaggio in aula per la fiducia, poiché il Parlamento è sospeso. Si tratta a tutti gli effetti di un governo del Presidente. Secondo il decreto 117 del 22 settembre, infatti, “il potere esecutivo è esercitato dal Presidente della Repubblica assistito da un Governo guidato da un Capo di Governo”. La Tunisia ha una recente storia politica, dopo l’indipendenza dall’ex protettorato francese, di democrazia in fasce perché tende ad accentrare in uno solo al comando tutti i poteri come successe con Bourghiba, presidente tunisino dal 1957 al 1987. Gli Usa con una telefonata di un’ora con il presidente tunisino Saied, il consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente americano Joe Biden, Jake Sullivan, ha espresso il suo sostegno alla “democrazia tunisina basata sui diritti fondamentali, su istituzioni forti e sull’impegno per lo Stato di diritto”. Il 25 luglio Saied ha congelato il Parlamento e ha licenziato il primo ministro e ordinato un giro di vite sulla corruzione contro 460 uomini d’affari e un’indagine su presunti finanziamenti illegali ai partiti politici. Saprà la nuova squadra di governo tunisino condurre la navicella Tunisia verso porti non angusti e dove non si parli solo arabo sognando l’impossibile realtà di un ristabilito impero ottomano? Sono trascorsi troppi anni da allora e la realtà è ben diversa dell’Europa, non più con nobili e servi della gleba, ma cittadini che frequentano le scuole dell’obbligo (al 100%  in Unione Europea) e non con analfabetismo arabo che supera ancora le due cifre percentuali e con ancora molto popolo credulone verso sogni tra il fantastico e il mistico, che già tanto terrore hanno seminato nel mondo. Studiare l’ambiente di territori arabi non è facile perché si è trascurata molta le lettura anche scientifica per quella linguistica, artistica e d’epica storica. Poco conosciamo, a mio giudizio, della storia naturale e della composizione dell’ambiente sociale e del Pil dei ceti di territori arabi con una diversa sensibilità religiosa rispetto a quelli europei e d’altrove. Un mio ex studente, arabo e islamico d’origine, da decenni in Italia e padre di 4 figli, mi ha inviato dei saluti in lingua araba simboleggiati da una colorata nave che riporto nel titolo di quest’altro contributo mediatico per capire l’ambiente globale sempre nel preambolo tra democrazia e dittatura. Prima del covid19 conobbi a Tunisi un anziano artista, che non ho più rivisto vivo. Sul buon amico tunisino, Bey Bashir, ho già scritto in questo media, ormai storico per il tempo d’esistenza e per lo stile d’informare la realtà di un così vasto e popolato territorio, spesso trascurato.  Ma c’è da dire che i media non sono più solo locali, il digitale li porta sotto gli occhi di chiunque  fino all’estremo nord.

Bashir fu il mio Genius loci tunisino e dunque un punto di riferimento e voce narrante tunisina con saggezza, tolleranza e simpatia per l’Italia, idem è stato Mohamed, commerciante tunisino e l’emigrato a Milano e poi rientrato a vendere pesce a Tunisi. Nell’ambiente (insieme di natura e cultura) è prevalente quello politico perché interessa il governo della res publica. Essa già dai tempi del Senato di Roma, caput mundi, era governata da senatori di due tipi d’estrazione reale e ideale: populares e optimates o conservatori. In molte parti del mondo, attuale, chi governa in Parlamento: i populares o gli optimates? Bisognerebbe essere polacco, bielorusso, ecc. da decenni per saperlo bene, ma da ciò che ho potuto vedere ed appurare sul campo della ricerca ambientale, in ambiente politico di più Paesi c’è una moderna competizione nei novelli feudi elettorali anche tra optimates (non solo tra loro e i populares) che parlano in nome del popolo. Si ricorda che anche Giulio Cesare era un senatore populares pur discendente di una famiglia nobile, Julia, dunque un optimates di diritto, ma non di scelta politica. Nell’ambiente tunisino degli ultimi decenni (dopo il leader storico H. Bourguiba, che ha governato la Tunisia fino a formare un suo partito unico nel panorama democratico tunisino, perciò fu sostituito da un militare) l’instabilità politica in crescendo causò le primavere arabe o dei gelsomini (in Tunisia abbondano i gelsomini nell’ambiente naturale) con scioperi e tumulti popolari per il carovita principalmente. Poi un presidente della Repubblica che invoca l’art. 80 della Costituzione e scioglie il Parlamento privando i suoi membri delle garanzie dell’immunità di parlamentari. Lo ha fatto per pochi mesi, come decretava il Senato di Roma quando era necessario un dittatore temporaneo per sedere gli animi e le rivolte interne. Da una recente vacanza in Tunisia ho potuto vedere ed ascoltare non poco dall’ambiente sociale e culturale tunisino. Qualcuno della ceto commerciale vorrebbe un uomo solo al comando, altri delle arti liberali vorrebbero una democrazia più matura con minore potere religioso e politico di periferia, altri rappresentano il popolo al quale si lascia dire ciò che si vuole da parete di piccoli gruppi di politici populares soprattutto. Vox populi vox dei, dicevano due millenni fa i Latini. Si sussurra e vocifera in ambiente sociale tunisino che l’attuale Presidente abbia subito pure un tentativo di avvelenamento. Nulla di nuovo nelle democrazie in fasce e nei palazzi del potere, nell’antico ambiente di congiure. In quel tipo d’ambiente la lotta politica di successione anticipata è sempre presente storicamente. Molti, troppi, degli imperatori romani sono morti prematuramente dentro e fuori del Palazzo del potere imperiale. Tanti altri prima e dopo di Roma caput mundi sono morti analogamente. Ciò sia in ambiente di governo della res publica in modo monarchico (compreso il presunto veleno pronto anche per il papa che poi si è dimesso oltre a Giovanni Paolo I) che repubblicano soprattutto se è in fasce. In ambiente arabo in generale, l’economia meno avanzata e dunque una società più tradizionale, non permette ancora una sufficiente istruzione popolare, che lo rende più composto di sudditi che di cittadini. Ne consegue che quelle democrazie potrebbero essere ancora in fasce, analogamente a ciò che intendeva lo storico e colto mio collega transilvano prima citato. Lo studio dell’ambiente comprende anche quello sacrale e artistico visto che nel passato medievale l’arte sacrale era dominante. Nell’ambiente del territorio della Tunisia abbondano monumenti, dipinti e reperti di colonne, mura, ponti, case, chiese e moschee. Nel Museo del Bardo di Tunisi vi è un concentrato di memoria storica-artistica imponente ed interessante da vedere anche per capire meglio il substrato culturale tunisino e degli altri Paesi arabi nordafricani in particolare. A sentire alcuni tunisini c’è una corsa tra presidenza della repubblica e parlamentari verso il popolo al quale fanno dire: “vogliamo più islamizzazione del paese”! E’ cosi? Non c’è da meravigliarsi perché il popolo è in genere poco colto, informe, anonimo, ingenuo e gli si fa dire quello che pochi agitatori desiderano che dica. E’ sempre stato così, purtroppo. In ” Canale di Pace…” delineo che il suddito non è solo il servo della gleba medievale o lo schiavo romano oppure arabo, ma può essere il cittadino asservito al feudo elettorale moderno dove i politici fanno favori in cambio di voti. Se è così ancora in Europa, purtroppo, figuriamoci in un ambiente ad economia meno avanzata. Nelle città c’è il voto d’opinione, mentre nelle campagne quello tribale? Fino a ieri si, oggi con il sistema digitale qualcosa sta cambiando ed è motivo di studio della Sociologia più che dell’Ecologia Umana, che rappresento. Nel cortile del 1500 dell’Università di Padova sono appesi gli stemmi araldici delle famiglie dei nobili di mezza Europa che la frequentavano. Segno evidente che nel passato solo i nobili frequentavano le università, non altri strati sociali. Dalla rivoluzione francese in poi si può dire che anche i figli dei borghesi, viventi nel borgo del feudatario nobile, hanno formato, in prevalenza le arti liberali: notai, medici, avvocati, ingegneri, commercianti.

Oggi molti lo dimenticano, ma all’Università non tutti possono permettersi di andare anche se l’ambiente sociale è molto cambiato in Europa dopo il boom economico, ma in ambiente arabo come sta il fenomeno d’accesso alle università? In Tunisia a soffrire maggiormente è il ceto medio perché più cosciente ed istruito il valore sul valore della Democrazia e dei diritti e doveri del cittadino. Nell’ambiente tunisino si rilevano caratteri basilari di modernità europea intrisi di venature tradizionaliste che spingono verso la provincia islamizzante. E si sa che quando subentra la religione nel governo della res publica le cose si complicano. Nell’ambiente tunisino sono presenti, in sottofondo culturale, circa 7 secoli di Cartagine, 6 secoli di Roma, poi un periodo d’ambiente politico instabile tra la presenza dei vandali di Genserico e i bizantini di Costantinopoli e infine il lungo dominio arabo e dell’Islam, nato più di mezzo millennio dopo l’altro messia venerato in modo emblematico a Roma capitale di due stati: italiano e vaticano. Si ricorda che nella religione monoteista maomettana, il potere religioso spesso è associato inscindibilmente con quello politico (sembra quasi un conservatorismo storico quando l’Imperatore, di Roma caput mundi, rappresentava anche il divino o Dio, ma anche i precedenti Faraoni lo facevano). Anche il monoteismo cattolico rappresentato dal Vescovo di Roma non brilla per innovazione e la tradizione è il suo punto di riferimento storico-politico. Ad esempio eclatante: si ostina a tenere il celibato dei ministri di culto pur in presenza di una grave penuria di preti. La storia sembra ripetersi nella lotta tra innovatori e conservatori e tra populares e optimates politici? In ambiente tunisino la lunga presenza araba ha impresso nella memoria superficiale locale del popolo la lingua, che gran parte del ceto medio pare preferisca sostituire con il francese derivato da quasi un secolo di protettorato francese fino alla liberazione del 1956, prima ancora dell’Algeria e senza sparimento di sangue grazie a H. Borguiba. Come evolverà l’ambiente tunisino? Se la classe media tunisina, che non appare ingenua come il popolo meno istruito, prenderà l’iniziativa c’è da sperare in un’innovazione dell’ambiente socioeconomico tunisino, viceversa la fuga esasperata verso un passato misero non lascerà sperare oltre la tradizione.

E’ nel ceto medio che ci sono i cittadini capaci di pensare democraticamente e che non invocano l’uomo solo al comando, che il popolo osanna sempre? Dovrebbe essere così, ma la collocazione nordafricana araba induce ad essere cauti. Perché? Perché la guerra fredda tutt’ora in essere, come sempre nella storia dell’Homo sapiens soprattutto dopo il neolitico con il sorgere dello Stato confederale e tribale, porterebbe il mito panarabo fondamentalista. Esso era presente in alcuni dei Paesi arabi, e, Gheddafi ed altri dittatori propagandavano, poi alcuni neo-califfi, in sordina, armavano gruppi di giovani non solo arabi di nascita ma anche proseliti non arabi perché pagati bene. Nell’ambiente arabo in generale sono pochi gli stati che superano i 100 milioni di residenti e ancora meno sono quelli ad economia avanzata. La Tunisia è dunque in bilico tra democrazia avanzata o ritorno al passato più islamizzato! Sembra, secondo alcuni cittadini tunisini, che anche questo Presidente non sia esente dal mito suddetto come, invece, fa apparire di più il primo ministro deposto. Potrebbe essere una mossa politica per conquistare più consensi nel ceto medio? Così il nuovo governo è più vicino al pensiero presidenziale? E se poi il nuovo premier lo sorpassasse? In molte democrazie occidentali è quasi normale che i due rami del parlamento abbiano maggioranze diverse, e la democrazia, in quel caso, funziona con una buona opposizione che gratifica il cittadino. Ma in Tunisia come in tutti i paesi arabi la democrazia è in fasce (usando l’espressione del colto collega citato prima) siamo ai tempi di Bourghiba che poi fece un partito unico prima di essere allontanato perché non più in odore democratico? Il congresso internazionale sul decennio 2010-2020 tenutosi all’Università di Tunisi: “Il decennio delle mutazioni sociali in Tunisi 2010-2020: pensieri di dinamica sociale”, mi ha permesso di dedurre ed osservare in qualche università periferica tunisina, che l’ambiente soffre di secolarizzazione o indifferenza al servizio pubblico da erogare qualitativamente e in modo obiettivo, la burocrazia nasconde (più ancora delle nostrane italiane che pure hanno ancora nepotismi per cattedre e sprechi), non poco di inefficienze. La cultura è vincente sempre ovunque, ma in ambiente tunisino dovrebbe essere più libera dalla tradizione che affossa tutto con l’omertà e la religione, che oltre 6 volte al giorno obbliga a sentire le preghiere dai numerosi minareti. Tra Democrazia e Dittatura corre un filo sottile di separazione, che solo il cittadino può rendere spesso e invalicabile con la partecipazione democratica alla res publica. Non siamo più nel medioevo con crociate e infedeli, bisogna che ci attrezziamo come cittadini, e non popolani, per essere fedeli alla Democrazia partecipata. Nel mio saggio, citato, ne parlo ampiamente per un futuro stato globale, liberale e federato degli attuali circa 200 esistenti. In merito al termine popolo, che anche in Italia i padri costituzionalisti 73 anni fa, a maggioranza, scelsero di scrivere e non il termine cittadino pur proposto da altri. Già Platone ammoniva nella sua Repubblica:” Quando un popolo divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei cocchieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni”. Secondo Piero Messina in ”Tunisia, democrazia e Primavera araba”: ”Non occorreva una sfera di cristallo per indovinare che qualcuno avrebbe presto rotto lo stallo istituzionale a Tunisi. Il presidente Saied conta sulla Francia, gli islamisti di Ennahda sulla Turchia. L’Italia non può restare a guardare. La Tunisia è a un passo dal default economico, sociale e politico. Per concludere direi che nelle “democrazie in fasce” il popolo ha sete! Nelle democrazie svezzate, come quella italiana, i politici da troppi decenni rincorrono il popolo per dargli o meglio promettergli tutto, ma non dargli niente e a soffrirne è il ceto medio quasi distrutto per la pesante scure fiscale su chi ha beni immobili, e, il cittadino, costretto quasi a zittire anche per i media consenzienti e filogovernativi a partire da quelli televisivi coordinati da persone di parte populista? In Italia con la caduta della governante D.C. (Democrazia Cristiana) l’instabilità politica è aumentata e sempre più un partito con il solo 20% di consensi ha il timone della nave Italia, pur non avendo più una sola ideologia programmatica, ma solo quella della tecnologia di conquista del potere per esercitarlo in modo abile e con bizantinismo statalisteggiante.

L’U.E. è sull’uscio di un portone storico, scegliere se entrare di più dentro la casa comune con una sola voce nella politica difensiva, estera, economica e soprattutto scolastico-universitaria. Se l’islamizzazione estremista dei uno o più Paesi arabi sono da prevenire l’U.E. deve potenziare la sua vocazione occidentale e liberista come non pochi cittadini vorrebbero, a parte il popolo che si lascia istigare spesso nel modo del sommo poeta italiano, Dante Alighieri, (Paradiso, nella Divina Commedia) “poca favilla gran fiamma asseconda”! La frase, utilizzata come proverbio, vuole esprimere l’invito a valutare tutto lo spettro delle conseguenze delle proprie azioni perché anche un piccolo gesto può provocare immensi danni. “La crisi in atto nel Paese nordafricano, che rischia la guerra civile, dovrebbe farci aprire gli occhi: abbiamo un serio problema di sicurezza ma sembriamo non rendercene conto”, scrive A. Panebianco su Il Corriere della Sera ed aggiunge: ”Che cosa dovrebbe suggerirci la crisi in atto in Tunisia, un Paese che, da un momento all’altro, potrebbe precipitare nel caos della guerra civile? La crisi tunisina dovrebbe costringerci ad aprire gli occhi. L’Europa ha un serio problema di sicurezza ma non sembra rendersene conto. Lo sanno i professionisti che nei Paesi europei, a vario titolo, se ne occupano ma non lo hanno ancora capito le opinioni pubbliche. Il problema di sicurezza dell’Europa può essere così riassunto: Mamma America sembra intenzionata ad abbandonare i cuccioli al loro destino, non sembra più disposta a proteggerli dalle minacce incombenti. È cambiata l’America e sono cambiate le minacce. Consideriamo l’Italia, il Paese europeo più esposto rispetto a quanto accade nel fianco Sud del Vecchio continente. La visita in Libia del ministro degli Esteri, che segue quella del premier di qualche tempo fa, mostra l’attenzione e la preoccupazione del governo italiano. Siamo alla mercé di possibili ondate migratorie imponenti  se il Mediterraneo è sempre più un mare controllato da potenze ostili: Bielorussia, Turchia, ecc.? Saranno loro nei prossimi anni a sorvegliare/amministrare il traffico di esseri umani fra Africa ed Europa se non lo faranno altri. Se in U.E. c’è il rischio di troppi galli nell’unico pollaio non è da sottovalutare anche il rischio terrorismo di nuovi califfi che bramano potere e visibilità anche se per ora sono in penombra: nel Maghreb, Tunisia e Libia in testa, come in altre parti dell’Africa, non si contano i jihadisti che aspettano un’occasione per menar le mani. Prepara la guerra se vuoi la pace e viceversa, è l’antico monito dei saggi Latini di oltre 2 millenni fa! Monito da me ripreso nel saggio in c. di s. “Canale di Pace…”.

 

 

 

 

Giuseppe Pace (già prof. in Italia ed estero, esperto di Ecologia Umana, Università di Padova)

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