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LET’S SAY TOGETHER YES TO HUMANITY!: osservazioni sull’incontro con gli alunni dell’Istituto “Benedetto Croce” di Casavatore, celebrativo delle vittime della Shoah

Casavatore, 5 Febbraio – Non è un periodo facile, purtroppo: oltre alla ben nota terribile pandemia di Sars-CoV-2, è in atto un’emergenza sanitaria “occulta” – anzi, pericolosamente sottovalutata dalle Istituzioni, eccezion fatta per pochi Comuni, tra cui Pozzuoli e Casavatore -, la quale ha colpito lo stato d’animo di ciascuno di noi, specialmente di fanciulli, adolescenti e giovani.

Nonostante il palese turbamento della mia psyché, del quale la Redazione di questa testata – che ringrazio per il supporto e la stima – è pienamente a conoscenza, vi sono momenti che riescono a toccare il profondo del mio cuore: in tale novero vanno indubbiamente iscritti gli incontri, seppur virtuali, con i frequentanti le scuole di Casavatore, frutto di una lodevole iniziativa promossa dall’Assessore alla Pubblica Istruzione, Imma Calvano, in collaborazione con l’Associazione “Clarae Musae“, guidata con entusiasmo da Vittoria Caso.

È da alcuni versi di quest’ultima – tratti dalla poesia “Pagine Strappate” – che vorrei partire, prima di procedere alla messa a punto delle mie considerazioni circa il webinar tenutosi ieri pomeriggio con docenti e discenti dell’Istituto Comprensivo “Benedetto Croce”, nel corso del quale i secondi hanno esternato, mediante la condivisione di video e presentazioni multimediali, le proprie considerazioni riguardo alle condotte discriminatoria:

Volti segnati dall’ansia,

spalle ricurve,

sandali impolverati,

vesti consunte (…)

Queste parole si riferiscono a quelli che la gente suole definire “extracomunitari”, “migranti”, “nir“, apostrofandoli talvolta con aggettivi per nulla lusinghieri: contrariamente a quanto s’ode dalla bocca di qualche imbecille, costoro sono esseri umani che affrontano un viaggio in condizioni pietose per sfuggire ai molteplici episodi barbari che si consumano nelle loro terre.

L’ansia, i capi logori, le scarpe abbondanti di polvere: così ha inizio – perdonate il giuoco di parole – l’avventura per trovar ventura nel nostro Paese, oltre ad un affetto di cui non han quasi mai goduto se non (talvolta) in seno alle loro famiglie.

Tra i quesiti rivoltimi dagli allievi – con cui desidero nuovamente congratularmi – ve n’è stato uno che mi ha spinto a riflettere parecchio, il cui tenore è “Al giorno d’oggi gli extracomunitari sono spesso vittime di emarginazione. Quali sono le strategie migliori per l’accoglienza?“: neanche gli studenti superiori ed universitari che mi capita di seguire nei rispettivi percorsi mi han mai posto un simile quesito, perciò ho provato a dare una risposta comprensibile, ma dettagliata.

Innanzitutto, ho chiarito che il termine “extracomunitario” – che si impiega nel linguaggio comune tanto come aggettivo quanto come sostantivo stricto sensu – mi è sempre stato inviso, giacché costituisce di per sé uno stereotipo indegno, completamente contrario a quel senso di humanitas che questo ciclo di incontri si prefigge di infondere. Il solo pronunziare, nel quotidiano, questa parola è una forma di emarginazione: difatti, apostrofando l’altro come membro di un’ipotetica “comunità diversa” ci si dimentica l’appartenenza ad un’unica specie, quella umana. Ciò prescinde dal colore della pelle, dal culto, dalla confessione, dalla cultura, dalla lingua, et cetera

Come precisato dal Sindaco, dott. Vito Marino, nel discorso introduttivo dell’incontro virtuale dello scorso 27 gennaio (che ha visto protagonisti gli alunni del “Romeo”), “molte strade hanno le caratteristiche di un campo di concentramento“, volendo con ciò evidenziare l’attualità di quanto stiamo commemorando: oggigiorno, nonostante la vigenza di costituzioni democratiche e norme di diritto comunitario ed internazionale, vi sono, nel Vecchio Continente, diversi governi che – vuoi per ingraziarsi gli elettori, vuoi perché composti da gente fanatica e pazzoide – promuovono od han promosso politiche tendenti all’esclusione dell’ “altro” in quanto tale.

Inoltre, anche i social network sono frequentemente teatro di frasi denigratorie, pronunziate a vanvera da beoti con la scatola cranica completamente vuota, oppure di video dal contenuto inqualificabile, ove colui che è considerato “diverso” viene esposto alla berlina.

Carissimi Lettori, non mi stancherò mai di ribadire che siamo tutti homines in carne, ossa e pelle: la distinzione tra “giudeo”, “ariano”, “marrucchine“, “indian“, e quant’altro è soltanto il prodotto di quanto elaborato dai cervelli per nulla massicci di qualche stupido che, forse, non s’è mai guardato per bene allo specchio.

Come sottolineato da un noto giornalista della Guinea Bissau, tale Filomeno Lopes (in arte “Fifito”), il nostro compito è quello di unirci per dire “…sì all’umanità“: il Comune, unitamente alla Scuola, alla Famiglia ed alle associazioni culturali, ha la missione di far capire che certi atteggiamenti, dettati da mentalità perverse e retrograde, possono essere d’ostacolo alla formazione ed alla crescita della civitas.

Impegniamoci tutti per far sentire a casa coloro che vengono da noi per cercare quel pizzico di umanità che, purtroppo, manca nei rispettivi paesi d’origine, favorendone – anche mediante l’insegnamento gratuito del nostro idioma, come l’Assessore Calvano ha evidenziato – una celere ed autentica integrazione.

Let’s say together yes to humanity!”, ci ammonisce severamente Fifito!

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