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I Social network attaccano e vengono attaccati, da Tik tok a Instagram e Facebook: i nuovi protagonisti della cronaca

I grandi colossi non solo pervadono ogni aspetto della nostra realtà, dagli ultimi eventi risulta evidente il loro potere di concedere o privare della parola, di accelerare fenomeni che colpiscono i tessuti sociali più deboli come quello degli adolescenti.

 

Napoli 28 Gennaio- Che i Social Network influenzano e sono una parte sempre più importante della nostra vita è risaputo, che poche sono le persone che sfuggono al loro fascino è storia vecchia ma il loro impatto reale sulla realtà circostante e su eventi di portata nazionale e storica, è tutto un altro paio di maniche. Il primo mese di un nuovo anno si apre con eventi che hanno come protagonisti di cronaca giornalistica le suddette piattaforme online e i grandi colossi che sono alle loro spalle.

Dall’assalto al Campidoglio USA a Twitter che condanna Trump seguito da Facebook, Instagram e YouTube;

da una ragazzina che muore soffocata in Italia a TiktTok che viene bloccato per gli utenti di cui non è accertata l’età.

Procediamo per gradi.

Il 6 gennaio scorso i sostenitori di Trump assaltano il Campidoglio di Washington mentre era in corso la seduta in cui il Congresso avrebbe dovuto ratificare formalmente la vittoria del presidente eletto Joe Biden. Nell’aula dove era in corso la discussione hanno fatto irruzione le forze speciali e gli agenti dell’FBI, intervenuti per proteggere i parlamentari. Tutto si è risolto per il meglio.

“La nostra democrazia è sotto una minaccia senza precedenti, una minaccia che non abbiamo mai visto nella storia moderna”. Così il presidente eletto Joe Biden annuncia in un discorso alla nazione. Biden ha chiesto a Trump di rispettare il giuramento fatto da presidente e di difendere la Costituzione andando in televisione e lanciando un appello alla calma. Pochi minuti dopo la Casa Bianca ha diffuso un video in cui chiedeva ai suoi supporter di andare a casa ma ribadiva che il risultato elettorale era stato rubato: “Capisco il vostro dolore, so che state male, abbiamo avuto un’elezione che ci è stata rubata. Tutti lo sanno, soprattutto l’altra parte, ma ora dovete andare a casa. Serve pace. Serve legge e ordine”. Facebook, Youtube e Twitter hanno rimosso i video di Trump: “Istiga alla violenza”. E Twitter blocca l’account per 12 ore. Lo comunica la società in un tweet spiegando:

Come risultato della violenta situazione senza precedenti a Washington, DC, abbiamo richiesto la rimozione di tre @realDonaldTrump Tweet che sono stati pubblicati oggi per violazioni gravi e ripetute della nostra politica di integrità civica.

E ancora la società fa sapere:

Le future violazioni delle Regole di Twitter, comprese le nostre politiche di integrità civica o minacce violente, comporteranno la sospensione permanente del @realDonaldTrump account.

In seguito, anche Facebook ha bloccato il presidente uscente per 24 ore e poi a tempo indefinito. Mark Zuckerberg ha spiegato in un lungo post che l’account sarà inutilizzabile “indefinitamente e per almeno le prossime due settimane fino a quando una pacifica transizione di potere non sarà completata”. Il fondatore di Facebook ha spiegato che la rimozione dei post del presidente Usa è avvenuta perché “il loro effetto, e forse il loro intento, era provocare ancora più violenza”. Il blocco a tempo indeterminato è stato deciso anche per Instagram, prosegue poi Zuckerberg.

La società californiana che per prima è intervenuta contro l’oramai ex-presidente, nella politica di utilizzo della piattaforma dichiara apertamente:

“Oggi vogliamo chiarire che gli account dei leader mondiali non sono del tutto al di sopra delle nostre politiche. Le seguenti aree si tradurranno in azione per qualsiasi account sul nostro servizio:

  1. Promozione del terrorismo;
  2. Minacce chiare e dirette di violenza contro un individuo (qui il contesto ha la sua importanza: le interazioni dirette con altre figure pubbliche e/o commenti su questioni di politica interna ed estera probabilmente non si tradurrebbero in un’applicazione);
  3. Pubblicazione di informazioni private, ad esempio un indirizzo di casa o un numero di telefono personale non pubblico;
  4. Pubblicazione o condivisione di foto o video intimi di qualcuno che sono stati prodotti o distribuiti senza il loro consenso;
  5. Impegnarsi in comportamenti relativi allo sfruttamento sessuale dei minori; e
  6. Incoraggiare o promuovere l’autolesionismo.

In altri casi che coinvolgono leader mondiali, lasceremo i contenuti in evidenza qualora sia evidente l’interesse pubblico nell’agire in questo modo.

Ecco che i grandi colossi della comunicazione si sono arrogati il diritto di zittire primo fra tutti il Presidente degli Stati Uniti d’America, per il semplice motivo di aver violato i termini di utilizzo del proprio account. È come se avessero acquisito una responsabilità editoriale, fossero diventate delle redazioni che devono rispettare e seguire una linea editoriale, attenersi ad essa. Tutto ciò stabilisce un precedente “pericoloso” nell’ambito del potere che un individuo o un’azienda ha su parte della conversazione pubblica globale. Il fondatore di Twitter, Jack Dorsey sottolinea che l’equilibrio del potere è stato rispettato fintanto che “le persone potevano semplicemente rivolgersi a un altro servizio se le nostre regole e la nostra applicazione delle regole non le soddisfacevano”. Ma “questo concetto è stato messo in discussione la scorsa settimana quando anche diversi altri fornitori di strumenti internet essenziali hanno deciso di non ospitare ciò che ritenevano pericoloso”, ammette.

Anzi con il bando di Donald Trump, le piattaforme sono entrate a far parte del gioco della politica. Ma ne saranno consapevoli?

E soprattutto è censura impedire a Trump di comunicare sui social media o è libera facoltà di un’azienda privata di far rispettare regole da lei imposte?

La loro scelta molto probabilmente è conseguenza dell’indignazione pubblica seguita agli eventi; ovvero di fronte alle reazioni di dissenso e lamentela degli stessi utenti non si poteva restare fermi a guardare senza intervenire. Anche perché fino a questo momento i social si sono dimostrati alquanto restii ad assumersi la responsabilità di intervenire contro una figura istituzionale, probabilmente anche per scongiurare qualsiasi tipo di problema. Non è un caso che la decisione di intervenire sia stata presa proprio adesso che il leader forte sia stato vinto e costretto a lasciare la sua postazione.

Il dibattito a tal proposito si è concentrato sulla libertà di espressione e di conseguenza sui termini e condizioni di utilizzo delle piattaforme nella divulgazione del proprio messaggio. In un’inchiesta del Sole 24 Ore si sottolinea come molto probabilmente sia l’impostazione stessa del dibattito ad essere sbagliata: ovvero considerare i social come un contenitore e la comunicazione politica come il contenuto. Nella celebre tesi del sociologo Marshall McLuhan è evidenziato come il medium è il messaggio: ovvero il mezzo stesso di comunicazione è in sé la comunicazione, assumendo maggiore importanza del messaggio che si vuole trasmettere. Il mezzo di comunicazione è fondamentale perché permette la connessione sorvolando quindi – se usato in modo superficiale – il messaggio che si vuole trasmettere.

Il messaggio di Donald Trump circa le elezioni “rubate” non necessita quindi, secondo questa logica di alcuna prova. A bastare è l’autorità di chi fa circolare il messaggio e il seguito di chi è disposto a crederci.

La comunicazione politica si serve delle piattaforme social per raggiungere l’obiettivo della conquista del consenso che passa dall’analisi dell’audience alla costruzione di una narrazione che fa leva sulle aspettative del pubblico, posizionandosi come interlocutore autorevole nei confronti dei follower/elettori. Non si sarebbe dovuto condannare il messaggio rilasciato dal presidente più di quanto non si condannano i messaggi che vengono postati tutti i giorni sui canali social dai negazionisti del virus o, rimanendo negli Stati Uniti d’America, dai complottisti del QAnon che incitano a una rivalsa e una sovversione dell’ordine attuale delle cose, tra l’altro sostenendo l’ex presidente Trump in una lotta contro un mondo corrotto e perverso.

E qui passiamo al secondo social a finire sotto i riflettori questo mese, per cause ugualmente infauste ma di tutt’altra natura. Parliamo di TikTok, social network cinese che ha acquisito grande seguito tra i giovanissimi.

È di pochi giorni fa la notizia della morte di una bambina di 10 anni a Palermo. Secondo una prima ricostruzione la ragazzina si è chiusa in bagno e ha partecipato a una “sfida di soffocamento”, legandosi la cintura di un accappatoio al collo. Il garante per la protezione dei dati ha subito disposto in Italia, a seguito dell’accaduto, nei confronti di Tik Tok il blocco immediato dell’uso dei dati degli utenti per i quali non sia stata accertata con sicurezza l’età anagrafica.

La Blackout Challenge è solo l’ultima sfida estrema in voga tra i giovani che si sfidano a una pericolosa gara d’apnea che implica misurare la resistenza al soffocamento e alla mancanza d’ossigeno, per poi condividere il proprio risultato su TikTok o Instagram e sfidare altri utenti.

Ottenere successo sulla piattaforma è semplicissimo: TikTok è un social dove le persone creano un proprio account e postano video della durata di qualche secondo. Per diventare uno degli account più seguiti sul social, è necessario seguire tutto quello che l’app mette in tendenza dalla scelta musicale dei propri contenuti agli effetti utilizzati. Ciò permetterà all’utente di essere indicizzato e ai suoi video di ottenere visualizzazioni.

Se il trend è popolare insomma, tutti vogliono imitarlo e partecipare: è la regola base di TikTok che permette di accumulare facilmente like e follower imitando la tendenza del momento.

La vicenda in questione ha avviato una serie di provvedimenti: a partire dal 13 gennaio tutti gli account TikTok intestati a utenti di età compresa tra i 13 e i 15 anni sono diventati privati di default.

Come diretta conseguenza, soltanto i follower approvati avranno la possibilità di vedere i contenuti degli utenti minori di 16 anni. Ulteriori modifiche per promuovere un’esperienza più sicura riguardano ancora: limitazioni a chi può commentare i video creati da utenti dai 13 ai 15 anni. Questi ultimi possono ora scegliere tra ‘Amici’ o ‘Nessuno’, mentre è stata rimossa l’opzione ‘Tutti’. Possibilità di scaricare soltanto i video creati da utenti con più di 16 anni. Gli altri utenti possono decidere se consentire il download dei loro video; mentre, per coloro tra i 16 e i 17 anni, l’impostazione è di disattivata di default, ma possono decidere di attivarla.

Impostazione di default su “Off” dell’opzione “Suggerisci il tuo account agli altri” per gli utenti di età compresa tra i 13 e i 15 anni. Altre modifiche in materia di sicurezza e privacy riguardano la limitazione ai maggiori di 16 anni dei messaggi diretti e della possibilità di ospitare dirette streaming; la limitazione all’acquisto, invio e ricezione di regali virtuali agli utenti maggiori di 18 anni; la possibilità per genitori e tutori di stabilire limiti precauzionali all’esperienza TikTok degli adolescenti di cui sono responsabili, tramite le funzioni di ‘Collegamento famigliare’.

Sembra proprio che questa vicenda costituirà un trampolino di lancio per dare del filo da torcere ai social media. Al momento, nessuna piattaforma di social networking riesce ad accertare in modo efficace l’età della maggior parte dei suoi utenti. E anche se oggi, secondo il regolamento europeo, l’età minima per iscriversi a un social network dovrebbe essere di 16 anni (ma esistono deroghe decise da alcuni Stati membri che arrivano fino ai 13), l’iscrizione avviene con pochissimi passaggi e spunte, senza alcun controllo effettivo.

A quanto pare tra le sue linee guida per l’utilizzo della piattaforma, l’azienda si mantiene sulla posizione di non consentire minacce di violenza o incitazione alla violenza che potrebbero comportare danni fisici gravi. Anzi:

Non postare, caricare, fare streaming o condividere:

Affermazioni sull’intenzione di causare lesioni a una persona o a un gruppo di persone

Affermazioni o figure retoriche che incoraggino a commettere violenza fisica o che comunque la sostengano

Affermazioni ipotetiche o che incitino altre persone a commettere atti violenti

Richieste di portare armi in un luogo con l’intento di intimidire o minacciare di violenza soggetti o gruppi

Istruzioni su come produrre o utilizzare armi con l’intento di incitare alla violenza.

E ancora:

“Abbiamo a cuore la salute e il benessere delle persone che costituiscono la nostra comunità. Non consentiamo contenuti che rappresentino, promuovano, considerino normali o esaltino attività che potrebbero indurre al suicidio, all’autolesionismo o a disturbi alimentari. Non permettiamo agli utenti di condividere contenuti che li rappresentino mentre partecipano o incoraggiano altri a partecipare ad attività pericolose che potrebbero causare lesioni gravi o morte”.

“Rimuoviamo tutti i contenuti che rappresentino suicidi, ideazioni suicidarie o contenuti che potrebbero incoraggiare altri comportamenti autolesionistici. Rimuoviamo inoltre i contenuti che mostrano tentativi di suicidio o persone che si comportino o stiano per comportarsi in modi che potrebbero condurre al suicidio. Proibiamo qualsivoglia contenuto che promuova, consideri normale o esalti il suicidio, che fornisca istruzioni per il suicidio o che rappresenti il suicidio come un atto d’onore o eroico”.

“Per evitare che l’autolesionismo venga incoraggiato, provocato o considerato normale, non consentiamo la pubblicazione di immagini che rappresentino un tale comportamento, indipendentemente dalle intenzioni dell’utente. Rimuoviamo i contenuti che potrebbero incoraggiare o considerare normali atti che potrebbero condurre all’autolesionismo fisico”.

C’è da chiedersi se una sfida come la Blackout Challenge non rientri proprio in uno dei punti descritti prima e di cui l’azienda si guarda bene dal condannare. E qualora lo facesse perché l’azienda cinese prontamente non si è attivata per proteggere e tutelare i suoi utenti? È chiaro che non è la piattaforma di TikTok a proporre sfide come la Blackout challenge o Skullbreaker Challenge o la Benadryl Challenge, non avrebbe senso, sarebbe controproducente per l’azienda e quindi non di interesse. Ma l’attenzione deve essere riposta proprio nei profili dove queste sfide vengono lanciate e come una sentinella l’applicazione ha il dovere di tutelare i suoi utenti.

Tutto questo non basta se l’iniziativa più importante non parte dalle persone che per prime hanno il dovere di tutelare i minori, ovvero i genitori. La Polizia Postale a tal proposito consiglia in primo luogo di rimanere sempre informati sulle novità del web e dei social e quindi di parlare ai ragazzi delle nuove sfide che girano in rete in modo che non ne subiscano il fascino se ne vengono al corrente dai coetanei o dai social network; assicurarsi che i ragazzi abbiano chiari i rischi che si corrono a partecipare alle sfide online: alcune challenge espongono a rischi medici (assunzione di saponi, medicinali, sostanze di uso comune come cannella, sale, bicarbonato etc), altre inducono a compiere azioni che possono produrre gravi ferimenti a sé o agli altri (selfie estremi, soffocamento autoindotto, sgambetti, salti su auto in corsa, distendersi sui binari stc); monitorate la navigazione e l’uso delle app social, anche stabilendo un tempo massimo da trascorrere connessi.

Siamo di fronte a una nuova era nell’utilizzo delle tecnologie di comunicazione, un’era in cui si stanno scrivendo leggi e regole da rispettare per accedervi. La vicenda riguardante l’ex presidente Trump o storie di cronaca legate all’utilizzo dei social segnano un antecedente importante, un punto di svolta nell’utilizzo di qualsiasi strumento di comunicazione. Un monito importante in cui nessuno è escluso e tutti possono essere condannati, anche una delle figure più importanti del mondo.

 

 

 

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