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Contagio Covid-19, responsabilità penale del datore di lavoro

Napoli, 19 Maggio – Il Decreto Legislativo n°81 del 2008, concernente il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, disciplina tutte le norme in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro, stabilendo una serie di interventi da osservare per il miglioramento e la salvaguardia della salute degli operatori. Con l’insorgenza della pandemia da Covid-19, che ha causato ad oggi, nella sola Italia più di 32000 vittime, il Governo ha provveduto a inquadrare, con il Decreto Legge n°18 del 17.03.2020 il virus suddetto quale malattia infettiva in ambiente di lavoro. Infatti nel succitato “Decreto Cura Italia”, all’articolo 42, comma 2, ed avallato dalla circolare INAIL n°13 del 03.04.2020, è riportata questa condizione come rientrante nelle malattie coperte appunto dall’Istituto Nazionale degli Infortuni sul Lavoro.

Da ciò scaturisce inevitabilmente ulteriore responsabilità sia civile che penale del datore di lavoro, nel caso in cui non osservi o faccia osservare le norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3 del C.P.) e tutto ciò prescritto per la tutela dei lavoratori in riferimento al contagio da coronavirus. Nello specifico, chi riveste una posizione di garanzia e di responsabilità all’interno di un ambiente di lavoro, può rispondere del reato di lesioni ai sensi dell’articolo 590 del codice penale, tranne il caso di malattia lieve guaribile in meno di quaranta giorni, e di omicidio colposo ai sensi dell’articolo 589 del codice penale, nel caso in cui malauguratamente il lavoratore giunga alla morte dopo il contagio. Per quanto riguarda l’onere della prova, la circolare Inail precisa che: “…nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus.

A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano i lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari. Per tutti gli altri lavoratori, la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che la malattia sia stata contratta durante l’attività lavorativa stabilendo l’onere della prova a carico dell’assicurato”. Non è facile però dimostrare, per il lavoratore contagiato, la colpevolezza del datore di lavoro tenendo presente la possibilità che il contagio possa avvenire anche al di fuori dell’ambito lavorativo.

Tuttavia, secondo l’articolo 2045 del codice civile, il datore di lavoro non è esentato dal risarcimento da contagio del suo lavoratore avvenuto nell’ambito lavorativo, ma il lavoratore dovrà provare di essersi contagiato in quell’ambiente nonché dimostrare l’omissione del proprio datore di lavoro nella non applicazione della normativa di riferimento a tutela dei suoi operatori.    

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