Cultura

Ambiente globale e variazioni climatiche tra storia naturale e storia di fake news

Napoli, 15 Giugno – Nel mio saggio Canale di Pace, uso in copertina il globo terracqueo sorretto da 4 mani umane protettive e identitarie. Ciò per indicare l’attenzione dell’Homo sapiens verso la sua unica casa o ambiente planetario che vorrebbe tutelare e non sporcare. Un vulcano che erutta emette anche moltissima anidride carbonica, che può favorire l’effetto serra, riscaldare l’idrosfera e desertificare non poco territorio verde.

Anche le variazioni climatiche sono naturali, non culturali con pseudoinformazioni, ma è bene comunque prevedere possibili danni riducendo o eliminando la plastica nella biosfera, ad iniziare dall’idrosfera e puntando sull’uso di energia pulita.

La nostra specie deve avere sempre più nel singolo cittadino, più che nell’indistinto popolo, la responsabilità di specie. Con la rivoluzione digitale in corso che spinge quella dei mass media quasi tradizionali come la televisioni qualunque falsa notizia acquista, con il passare di bocca in bocca, media in media, face book in face book, ecc., sembra il crisma dell’attendibilità. Un esempio. Le variazioni climatiche? Certo, da che esiste l’atmosfera e l’idrosfera (entrambe formatesi per de gassificazione magmatica della Terra inizialmente) in particolare le stagioni si rincorrono con periodi piovosi ed altri secchi. Poi vi sono stati secoli e migliaia di anni di glaciazioni, interglaciazioni e ritiro dei ghiacciai. L’ultima glaciazione si è verificata poco più di 10mila anni fa. Adesso con un semplice ritiro dei ghiacciai tutto il mondo popolar-culturale va in agitazione. In più occasioni il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi ha dichiarato che uno degli obiettivi principali del nuovo Governo sarà la tutela ambientale e la riconversione energetica dell’Italia, tant’è che a questo scopo è stato istituito un dicastero ad-hoc: il Ministero della transizione ecologica. Con l’uso del carbone fossile in grande quantità molta anidride solforosa e nitrosa (emessa dalle ciminiere industriali inglese e tedesche secoli fa e cinesi, soprattutto, attualmente) hanno prodotto, reagendo con il vapore acqueo atmosferico, rispettivamente acido solforoso e nitroso. L’acido solforoso è stata la causa principale della moria di boschi europei con ingiallimento delle foglie iniziali. Insomma le precipitazioni acide di cui si parla sempre meno. Qualche decennio fa in Europa era un continuo parlare di piogge acide anche se si formavano  anche sia la neve che il ghiaccio acidi. Le false informazioni o meglio l’approssimazione eccessiva per carenza di cultura scientifica nell’ambiente sociale e soprattutto in quello mediatico e politico, stanno causando “precipitazioni di Fache News o pseudonotizie”!

Uno degli esempi più famosi di fake news risale al 1814 quando un uomo vestito da ufficiale si presentò in una locanda a Dover e dichiarò la sconfitta e la conseguente morte di Napoleone. La notizia arrivò velocemente a Londra, sebbene priva di certezze. All’apertura della Borsa molti azionisti si precipitarono a investire convinti del fatto che Napoleone fosse ormai defunto, lasciando così il trono ai Borbone. Molto presto, però, si scoprì che era stato tutto frutto di una menzogna, elaborata per ragioni politiche. Nel frattempo sei persone avevano già venduto i propri titoli governativi per più di un milione di sterline, e i ritenuti colpevoli furono condannati. Sebbene si tratti di una fonte storica di molti anni fa, è possibile capire come una semplice notizia falsa, diffusa tramite una lettera, abbia causato una confusione tale da mandare in arresto la borsa valori inglese più importante. Un altro esempio storico di fake news è stato il caso della trasmissione radiofonica La guerra dei mondi di Orson Welles del 1938. La trasmissione, messa in onda dalla CBS all’interno del programma radiofonico Mercur Theatre on the Air dello stesso Welles, fu uno degli esempi ancora oggi usati per descrivere il fenomeno della psicologia del panico. In futuro ci furono altri esempi eclatanti. Lo storico francese Marc Bloch specificò nel suo libro La guerra e le false notizie che «Una falsa notizia è solo apparentemente fortuita, o meglio, tutto ciò che vi è di fortuito è l’incidente iniziale che fa scattare l’immaginazione; ma questo procedimento ha luogo solo perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento». L’espressione è stata utilizzata per indicare fenomeni molto diversi tra loro: errori di stampa, bufale, teorie complottistiche, concetti satirici utilizzati impropriamente come fonti giornalistiche, la diffusione di notizie non verificate, la propaganda politica, le informazioni false lanciate da siti messi on-line per generare profitti da clik-baiting. Recentemente il termine è stato oggetto di dibattito, ed è stato proposto l’abbandono del suo uso, soprattutto alla luce di dichiarazioni di importanti figure politiche che hanno impiegato il termine al fine di attaccare la stampa associata, giudicata come avversa e parziale nei confronti degli stessi. Le fake news possono essere considerate oggi come un “virus”che si diffonde tra tutti coloro i quali vengono sottoposti alla pseudo informazione online e non solo. Infatti, spesso le soluzioni a tale problematica sono simili ai programmi “antivirus”, aventi l’obiettivo di identificare la fonte primaria della notizia falsa e bloccarla in tempo affinché quest’ultima non possa “infettare” ulteriori utenti. A tal proposito, all’interno del blog tecnologico “Venture Beat”, si è considerato di inserire un’intelligenza artificiale come “guardia dei media”, che abbia l’incarico di proteggere i vari utenti da contenuti ritenuti pericolosi e soprattutto falsi. La trasmissione, mandata in onda in modo da sembrare una serie di comunicati da parte di autorità statunitensi (tra i quali scienziati, professori, e ufficiali), non aveva lo scopo di diffondere una fake news, tanto che, sia all’inizio che alla fine della trasmissione, fu messo in chiaro che si trattasse di un adattamento del citato fantastico  romanzo”la guerra dei mondi”. Con la pandemia in corso d’opera, anche se alla fine sembra, le pseudo notizie sono state spesso la regola. Anche i politici che devono rispondere al popolo elettore vanno in agitazione e i mass media per aumentare gli indici di ascolto e letture. Sul pianeta in affanno si è espresso da tempo anche la cattedra di San Pietro a Roma con gli ultimi papi. Papa Francesco preferisce richiamare il Cantico delle creature di Francesco d’Assisi e i pastori che ”puzzano di pecore”!

L’Homo sapiens del nostro tempo ha nel suo “quasi” codice genetico culturale la religiosità, la ricerca del sacro, dell’assoluto. Ciò è il frutto dell’evoluzione culturale da almeno 36 mila anni. Il culto dei morti ad esempio era già di suo “cugino” l’Homo sapiens neanderthalensis che esisteva da oltre 100mila anni prima in Europa. Tale ricerca non è stata promossa, anzi redarguita dal mito del comunismo marxista. Oggi in quelle società che lo hanno fatto proprio c’è l’indifferenza al sacro come la Russia dove meno del 20% frequenta le chiese ortodosse. Gli altri sono atei o indifferenti al sacro? Sono anche smarriti più di prima con i Romanov che erano molto religiosi come tutti i regnati europei ed extra. Nell’ambiente sociale oltre alla famiglia e alla scuola, vi era, non molti decenni fa, anche l’Azione cattolica, che formava la personalità dei giovanissimi. Poi col tempo, e dopo il ‘68 in particolare, si sono sviluppati anche altri ambienti formativi, altre Agenzie formative. E dalla cattedra di Galileo dell’Università di Padova, che nel 2022 festeggia 800 anni dall’inizio, o da altre cattedre di astrofisici e geofisici, geochimici e vulcanologi, cosa si dice sulle variazioni climatiche ”strane” di cui tutti parlano anche a sproposito? Intanto giovani donne manifestano davanti alle due Istituzioni patavine, Università e Municipio, anche salendo, platealmente, su cubi di ghiaccio.

Il problema della divulgazione scientifica è sempre causato spesso dalle cosiddette “torre d’avorio”, che non comunicano con il volgo, in genere ignorante di cose dette in università? Vox populi vox dei ricordano anche i teologi! E allora a parlare di variazioni climatiche sono in tanti e i vari consessi internazionali lo sintetizzano con programmi avveniristici di riduzione di inquinanti specifici. Si iniziò, in merito, da Stoccolma del 1972. Solo che allora non si parlò di glaciazioni, ma solo d’ambiente, che ribadisco è un insieme di Natura (n) e Cultura (A), non solo natura: A=N+C; C=A-N. Si spera nella crescita del cittadino, non più suddito in modo che la Cultura, anche scientifica, ritenuta a torto o a ragione più ostica di quella umanistica, possa esprimersi, non solo ai livelli elitari dei pochi iniziati, non condizionati dal fare indici d’ascolto o di lettura dei moderni media. Già avere chiara la distinzione tra natura e cultura non è poca cosa poiché molti continuano a pensare che l’uomo è solo natura terrestre. Bisogna scomodare scienziati del calibro di L. Montagner, scopritore del virus HIV, per precisare che la scienza media non procede secondo natura ma secondo cultura specialistica: un individuo che si rompe il femore va operato con la tecnologia ortopedica più recente e non con sistemi da sciamano o stregone e neanche da pastore transumante o meno. Anni fa il mio prof. di vulcanologia dell’Università “Federico II”, Lorenzo Casertano, curava benissimo la pagina scientifica del Corriera della Sera. Sono quelle poche finestre aperte sul mondo vario dei lettori che rivestono ancora la loro importanza. Bisogna che sul tema parlino anche specialiste del gentil sesso, che forse hanno più sensibilità verso il vero e non il falso! Da loro vogliamo essere informati non dal papa né da altri tutti cultore di scienze politiche, né da umanisti e filosofi europei, cinesi, giapponesi, americani, australiani e tibetani, che sono sensibili più alle culture locali tradizionali. Almeno in tema di variazioni climatiche non di altro s’intende. La Giornata Mondiale della Terra, Istituita come giornata internazionale delle Nazioni Unite con la risoluzione A/RES/63/278 del 2009, ha origine da una protesta del 22 aprile 1970. In quella occasione 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una manifestazione a difesa della Terra organizzata a seguito dello sversamento di petrolio greggio da una piattaforma al largo di Santa Barbara verificatosi nel gennaio del 1969. Le ragioni della protesta riguardavano il degrado ambientale dovuto all’inquinamento, alla desertificazione e all’estinzione della fauna selvatica. Protestare per disinquinare e prevenire altri inquinamenti è un diritto del cittadino moderno perché non sempre chi amministra la res publica è responsabile ed attento su tale problema, non secondario ambientale. Bisogna premettere che nella storia naturale del pianeta Terra le epoche di glaciazioni più lunghe furono almeno sei. La prima, probabilmente più intensa, andò dagli 800 fino ai 600 milioni di anni fa, durante il tardo Proterozoico. Alcuni scienziati hanno ipotizzato che l’intera Terra fosse ricoperta completamente da una coltre di ghiaccio, trasformandosi quindi in una sorta di gigantesca palla di neve. La fine di quest’epoca o era glaciale fu all’incirca contemporanea alla cosiddetta “esplosione cambriana “, un’epoca di grandissima produzione di vita multicellulare all’inizio del periodo Cambriano. Tra i 460 e i 430 milioni di anni fa (nell’Ordoviciano superiore) ci furono una serie minore di glaciazioni, seguite da altre più intense tra i 350 e i 250 milioni di anni fa (Carbonifero-Permiano).  I periodi glaciali più recenti risalgono al Pleistocene, con intervalli freddi variabili tra i 40 000 e i 100 000 anni. L’ultimo periodo glaciale terminò 12 mila anni fa. In passato i cicli glaciali erano denominati sulla base delle loro caratteristiche morfologiche e geografiche. Oggi si utilizza una numerazione derivata dagli studi isotopici dei sedimenti marini e dalla dendrologia vegetale (gli anelli più distanziati e meno significano più caldo e più freddo). Nel Pleistocene le fasi glaciali e interglaciali sono chiamate, dalla più recente alla più antica, come segue da 1 a 6: Wurm (circa 110mila anni fa) fino a Gunz. Molte informazioni dettagliate si trovano in “Geologic Time Scale 2004 Cambridge University Press, Cambridge”.  Domenica scorsa, notavo, in centro di Padova, una piccola ma significativa manifestazione d’appello delle donne della “Ruta Pacifica in nome della sorellanza”, nella costruzione della pace. Nei loro cartelli alzati verso il pubblico tenevano ben in rilievo:” Noi donne, oggi più che mai, ripetiamo: non mettiamo al mondo figli e figlie per la guerra né la violenza”. La loro accorata ricerca di solidarietà era rivolta a contrastare il governo columbiano, che non rispetta i diritti umani e la Costituzione e di garantire l’investigazione sui reati commessi in merito. Alle donne dovremmo lasciare più spazio nell’assunzione di responsabilità pubbliche. All’Università di Padova il numero di neoiscritti è più femminile che maschile, ma i rettori e i dirigenti universitari e delle professioni liberali sono ancora in prevalenza maschili. Esistono le quote rosa anche per le liste elettorali, invece il sesso non dovrebbe costituire discriminazione. C’è ancora tanta strada da fare! Quando si taglia la torta nuziale in Europa ma anche fuori, i due sposi sanno che stanno ripetendo un rituale romano? E’ identico a quello che comporta lo spezzare il pane in due parti: ”la moglie è mezzo pane”! Si dice ancora tra gli anziani, che preferivano la moglie casalinga o angelo del focolare, come la preferiscono ancora alcuni vescovi di diocesi provinciali e tradizionali. Nel mondo arabo poi la donna fa ancora il pane oltre a non svolgere ruoli sociali pubblici, tranne minoranze e in alcuni paesi soltanto dove risentono del liberismo del paese vicino o dell’Europa nella quale molti arabi sono immigrati. A Colonia, ad esempio, notai la presenza anche di poliziotti turchi per vigilare sui molti loro connazionali là immigrati nelle industrie del circondario di Dusseldorf. Si potrebbe citare una serie di rituali romani per non dire anche dell’ambiente religioso che abbiamo ereditato, dimenticando quello politeista che ne caratterizzò la maggiore età monarchica, repubblicana e imperiale. L’ambiente naturale venne descritto bene sia da Plinio il Vecchio, dal nipote Plinio il Giovane (descrizione dell’eruzione vesuviana del 79 d.C., la prima descrizione naturalistica storica) che da Giulio Cesare, che descrisse le estese foreste e la numerosa selvaggina in Pianura Padana mentre le sue legioni passavano per la conquista delle Gallie. Orazio, invece, descrisse molti paesaggi e ricette culinarie mentre si recava e tornava da Melfi in Basilicata a Roma, descrisse persino i vigneti di Solopaca (BN) e l’olio di Venafro (IS). Anche Lucrezio nel De rerum natura non fu parco nel tramandarci la natura de suo tempo. Il reatino Marco Terenzio Varrone, parteggiò per gli optimates e fu uno dei più grandi eruditi della romanità e dell’Antichità in generale. Petrarca nei Trionfi, l’avrebbe definito il «terzo gran lume romano», ritenendo che Varrone (sommo erudito) fosse preceduto solo da Cicerone (sommo oratore) e Virgilio (sommo poeta). La vasta produzione di Varrone comprende, in totale, 74 opere, suddivise in 620 volumi, sebbene Varrone stesso, a 77 anni, abbia riferito di aver scritto 490 libri. Le opere varroniane, secondo l’argomento, possono essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di di questa enorme produzione è pervenuta (quasi integra) solo un’opera, il De re rustica, mentre del De lingua Latina sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del quasi completo naufragio dell’immane bibliografia varroniana è che, avendo compulsato tanta parte della cultura grecoromana precedente, divenne la fonte indispensabile per gli autori successivi. Diviso in tre libri, il De re rustica ci è giunto quasi totalmente. Il primo libro (De agricultura) tratta dell’amministrazione delle proprietà terriere, dai piccoli campi alle grandi villae. Il secondo libro (De re pecuaria) tratta dell’allevamento degli armenti e della pastorizia. Infine il terzo libro (De villatica pastione o De villaticis pastionibus) tratta degli altri animali allevabili nelle grandi villae.  L’opera si colloca nella crisi agricola della Roma post guerra civile, intorno al 50 a. C..; a tal scopo intende fornire consigli che possano ottimizzare la resa dei terreni, allora coltivati con metodi estensivi e in verità poco fruttuosi. Varrone elogia l’agricoltura  nelle sue varie forme, da un punto di vista economico, ma anche per il piacere ricavabile da essa; con sguardo nostalgico, ripensa ai tempi antichi come a un passato caratterizzato da benessere e serenità da contrapporre a quelli moderni privi di veri meriti.

Dell’ambiente culturale romano sappiamo molto, un po’ meno di quello naturale che fu usato per disboscare in pianura, fare strade consolari a partire dall’Appia che univa Roma a Brindisi, laghi, ponti, palazzi, anfiteatri, città con terme, ecc.. Furono edificati anche molti templi per gli dei: Giove, Giunone Minerva, o triade capitolina, ecc.. Solo con Costantino del IV sec. d. C. il mondo religioso politeista greco-romano cede il passo a quello monoteista della religione le cui legioni combatterono contro Massenzio e per Costantino sotto il segno della croce ardente che brillò negli auspici celesti per vincere la guerra civile con Massenzio, grazie ai cristiani. Solo da metà del VII sec. iniziò la penetrazione degli arabi e dell’Islam. Furono necessarie sei spedizioni, la prima nel 647, la seconda nel 661, la terza nel 670, la quarta nel 688, la quinta nel 695 e la sesta nel 698-702, per strappare il paese ai Bizantini e insediativisi stabilmente, spezzando anche la resistenza dei Berberi, molto cristianizzati. L’influenza della cultura di Roma portò anche con sé l’influenza della nuova religione, il Cristianesimo; non è possibile stabilire la data di inizio della diffusione ma ai tempi di Tertulliano e Cipriano, la Chiesa nell’area dell’odierna Tunisia appare già organizzata; Agostino d’Ippona afferma che il cristianesimo si diffuse dapprima nelle comunità ebraiche di Susa, Cartagine ed Utica. Cartagine, centro principale, subì varie persecuzioni da parte dell’impero romano: i martiri scillitani (180),Perpetua e Felicita  e compagni (203), Cipriano (258), i martiri di Abitina (304). Il cristianesimo si diffuse fra la popolazione romanizzata, poco e tardivamente presso le popolazioni berbere. Nel corso del III sec. a Cartagine si indissero concili: nel 220 con 70 vescovi; tra 236 e 240 con più di 80 e con oltre 100 nel 256. La maggior parte di questi proveniva da territori della Tunisia odierna. La chiesa tunisina fornì grandi personalità alle culture teologiche in lingua latina come Tertulliano, Cipriano ed Agostino. Grande il contributo degli”africani dei primi sec. quali Vittore Vitense, Quodvultdeus di Cartagine e Fulgenzio di Ruspe. La Chiesa cartaginese annoverò tre papi: Vittore I (189-199), Miliziade (311-314) e Gelasio I (492-496). Dall’ambiente di Roma antica ai nostri giorni sono trascorsi meno di 2 millenni e non pochi aspetti ambientali di allora li ritroviamo dentro e fuori delle nostre tradizioni, usi e costumi sociali in gran parte del globo terracqueo. Marco Aurelio fu un politico e filosofo di grande spessore, non altrettanto lo fu Costantino ed altri dell’antica Roma.

Per due volte ho svolto il ruolo di sacerdote Sannita a Bovianum vetus, attuale Bojano. La prima volta per fare gli auspici alla fondazione della capitale dei Sanniti Pentri, guardando i visceri di un agnello sacrificale. La seconda come sacerdote che celebra il matrimonio tra 20 giovani guerrieri Sanniti. Conosco dunque l’arte religiosa che la liturgia esalta e alla quale vengono, nei seminari soprattutto, formati i ministri di culto cattolici apostolici romani, ma anche ortodossi, che però si ammogliano ed hanno figli regolarmente. Quanto diciamo ortodosso a qualcuno intendiamo solo dirgli che noi non lo siamo più, abbiamo cambiato come fece il Papa nel 1050 d.C. obbligando i preti al celibato. Questo papa, ipotizzo dei consoli populares romani, non si decide ancora a ripristinare il matrimonio dei preti ed apre ai collaboratori in parrocchia con notevole nomina di vicari. Eppure un prete con famiglia sarebbe meno teorico, più tollerante ed equilibrato anche nelle utili omelie domenicali soprattutto. Conosco il risveglio d’interesse dei Daci attuali, dei Sanniti di oggi, dei Veneti di ieri, dei Liguri, dei Cimbri, ecc.. Quando però il risveglio degli ambienti dei popoli preromani raggiunge ed oltrepassa il limite della decenza storica è bene che qualcuno lo deve dire anche perché sono potenziali sovranisti, che frenano l’evoluzione sociale verso unità nazionali e sovranazionali come l’Unione Europea in atto e uno stato unico globale nel futuro prossimo. Il risveglio di interesse storico e gli eccessi campanilistici sono con i Catalani, i Veneti, i Longobardi, i Sanniti, i Normanni, i Goti, gli Unni, ecc.. Essi dimenticano, purtroppo, che poco è noto di tali popoli perché non avevano ancora un sistema di trasmissione culturale che andasse oltre la tradizione orale e qualche tavola bronzea qua e là rinvenute nel loro territorio. Mentre Roma ha avuto fin dall’inizio la scrittura che ha tramandato con gli Annuari pubblici a cui faceva riferimento il più prolifico degli Storici di Roma, Tito Livio, la cui statua è nel Liviano di Padova con sopra la sala dei giganti tra cui molti imperatori  di Roma, caput mundi.

Egli con la colossale opera di suoi scritti, Ab urbe  condita, ha descritto non poco dell’ambiente e della storia plurisecolare del periodo della Repubblica, che tanto amava, pur essendo un provinciale patavino. Tito Livio, nasce a Padova nel 59 a. C.  e vi muore nel17 d.C. Padova, storico romano, scrisse 142 libri Ab urbe condita (“Libri dalla fondazione di Roma”). Non sappiamo molto sulla sua vita, ma é considerato il più grande storico della letteratura latina. La data di nascita é attestata nel Chronicon di Gerolamo, che per l’anno 59 a.C. scrive “nasce l’oratore Messalla Corvino, e lo storico Tito Livio Padovano (Patavinus)”. La sincronizzazione di Livio con Messalla Corvino, che sappiamo con certezza essere nato 5 anni prima, consiglia forse di retrodatare anche la nascita e la morte di Livio di cinque anni prima: 64 a.C. e 12 d. C.

 

Nel XV sec. nel castello gotico-rinascimentale di Hunedoara in Romania vi era il principe, Magiaro d’origine  dunque cattolico, Mattia Corvino con il simbolo araldico di un corvo con un anello. La dirigenza del Liceo Tecnologico “Transilvania” di Deva, a 19 km dal castello suddetto, rispose alla mia domanda sul significato del simbolo araldico, così:”il principe- poi divenuto re d’Ungheria e ammogliatosi in seconde nozze con Beatrice d’Aragona, figlia del re di Napoli- gli fu rapito un figlio che un corvo ritrovò”. Ebbene quella leggenda potrebbe avere un fondo di verità storica e di cronaca rosa. Stanislao, si chiamava un figlio, nato fuori dai matrimoni, di Mattia Corvino. Tale figlio divenuto giovane, cadde nella tentazione, tipica d’ambienti di potere di un uomo solo al comando, di una congiura per spodestare il padre, ciò ne causò l’esilio dagli aragonesi di Napoli, che gli assegnarono un Casale nel basso Volturno, dove oggi c’è Casal di Principe (CE) con poco meno di 22mila abitanti e molte unità produttive.

Nel castello del nobile Mattia Corvino a Hunedoara, in Transilvania occidentale, si svolgevano le assemblee di nobili dei tre principati romeni (Valacchia, Moldavia e Transilvania) note come Diete di Transilvania. Nel grande salone del castello, il più grande castello gotico della Romania, sembra di scorgere il giovane Stanislao che si nascondeva agli sguardi pettegoli delle cortigiane e cospirava per spodestare il padre, che non lo avrebbe potuto o voluto avere come successore ereditario, né veniva aiutato dalle due mogli che non ebbero figli. Il cognome Corvino in Italia è presente in più parti, ma è notevolmente diffuso in Campania e a Casal di Principe, nel territorio casertano, in modo più evidente e particolare. Questa informazione che sto trasmettendo è inusuale nel paesaggio informativo campano e tran silvano. Un approfondimento sul giovane che avrebbe dato il toponimo a Casal di Principe, andrebbe fatto. Roma, sorta nel VIII sec. e per quasi 2 secoli e mezzo, ha amministrato la res publica con la monarchia (753-509 a. C) di sette re, di cui 4 latini (Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio e Anco Marzio) e 3 etruschi (Tarquinio Prisco Servio Tullio e Tarqunio il Superbo) fino alla cacciata dell’ultimo Tarquinio il Superbo. Poi, a parte la parentesi di Giulio Cesare primo Console e quasi un dittatore, per ben 5 secoli Roma è stata una Repubblica, amministrata e governata dal Senato, composto da consoli optimates e populares. Dopo l’uccisione del console, populares, Giulio Cesare, da parte dei repubblicani inizierebbe, con Ottaviano Augusto, l’impero durato fino al 476 d. C., scarsi 4 secoli dunque. Ma intanto fino alla meta del 1500 durava la Roma d’Oriente o Costantinopoli, che governava la Magna Grecia fino a Venezia con la poderosa flotta di cui disponeva. Poi gli arabi al sud dell’Europa e vari regni al centro-nord. L’ambiente romano aveva stabilito la sicurezza garantita in tutto il suo vasto territorio, che si estendeva su tutta l’Europa, il medio oriente e il nord Africa compreso l’Egitto. Poi, con la caduta di Roma, la sicurezza venne a mancare con i regni barbarici e le città lasciarono il posto a turriti castelli nobiliari sui cucuzzoli di colline e monti con borghi esterni dove abitavano i borghesi e la plebe. Il cittadino romano era tutelato dalle leggi e nessuno poteva giudicarlo fuori della giurisdizione del diritto romano. I consoli, eletti tra i nobili e possidenti, avevano notevole influenza nell’amministrazione della res publica e, solo la città di Roma era una megalopoli, il resto piccole città tra i 5 e 20 mila abitanti. La distribuzione delle risorse alimentari faceva leva sulle fattorie agricole, in genere abitata da sontuose ville consolari, e l’agricoltura era largamente praticata nelle pianure, mentre le montagne e le cime dei monti erano abbandonate. I lavoratori dei capi erano a maggioranza prigionieri di guerra resi schiavi, sui quali il singolo console esercitava il potere di vita e di morte o di liberti, schiavi resi liberi. Nell’ambiente romano anche i soldati delle legioni non stavano male e a fine servizio ricevevano terreni gratis in graticolati pianeggianti come gran parte della pianura padano-veneta. A Borgoricco (Padova) esiste un interessante e ben tenuto Museo della Centuriazione delle terre del periodo romano. Anche nelle piccole pianure a sud di Roma la centuriazione si praticava come ad esempio nel medio corso del fiume Volturno ad Alife (Caserta) il cui museo racchiude segni di tale centuriazione anche attraverso i cognomi degli assegnatari terrieri. Se il periodo repubblicano di Roma è ritenuto il migliore per la res pubblica ben amministrata, non mancano periodo imperiali migliori di altri come quelli degli imperatori nominati dal Senato e non per via ereditaria. Traiano ad esempio è uno di loro, che portò l’impero alla massima espansione con la conquista della Dacia nel 106 d. C. e con il ricco bottino di monete d’oro Kosson, fece più bella Roma, che si fregiò poi della Colonna Traiana, capolavoro artistico ed ambientale notevole. Il CNDDU (Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani) intende ricordare la figura carismatica, complessa e pensosa di Marco Aurelio, imperatore romano, nato il 26 aprile 121 d. C. a Roma, intellettuale statista e filosofo.

Sebbene non appartenga a pieno titolo alla categoria dei defender, sicuramente propose una visione dell’esistenza, determinata dai propri studi, improntata a una certa tolleranza e solidarietà, principi che difficilmente avevano connotato l’operato degli altri cesari romani e anche di molti altri protagonisti politici successivi. “Come tu stesso sei parte integrante di un sistema sociale, così anche ogni tuo atto sia parte integrante della vita sociale. Quindi ogni tuo atto non volto, direttamente o indirettamente, al fine comune lacera la tua vita impedendone l’unità, ed è un atto di ribellione, come quello di chi, in uno stato democratico, pretende di far parte per sé stesso, separandosi dall’ accordo comune” (IX23- Pensieri). “Gioisci e sii soddisfatto di un‘unica cosa: passare da un’azione utile alla società ad un’altra dello stesso tipo, tenendo sempre a mente Dio” (VI ,7). Molte tendenze filosofiche alimentarono il pensiero di Marco Aurelio, ma la più influente fu la morale stoica, secondo cui tutti gli uomini sarebbero affratellati dal comune logos divino, comune denominatore che rende tutti cittadini del mondo: “In quanto Antonino, Roma è la mia città e mia patria; in quanto uomo il mondo. Unico bene per me è quindi soltanto ciò che giova a queste due città” (VI, 44) “Noi siamo infatti nati per darci aiuto reciproco, come i piedi, le mani, le palpebre, come le due file di denti, Ecco perché è cosa contro Natura agire l’uno contro l’altro; e irritarsi contro qualcuno e detestarlo è proprio di persone tra loro nemiche” (II;1-Pensieri). In un certo senso Marco Aurelio anticipa il concetto di cittadinanza responsabile e collaborazione con i propri simili; leggerne le riflessioni sorprende in quanto in esse riecheggiano millenni di saggezza presistente all’imperatore romano ma anche concetti che solo nell’epoca moderna hanno trovato concreta applicazione. Per chi è appassionato anche di Paleontologia come della Storia, se è democratico deve attualizzare il più possibile le due discipline o domini culturali, viceversa, lavora per uno sparuto gruppo di iniziati. Ad esempio le ammoniti fossili, da me rinvenute nel pavimento della Basilica di Sant’Antonio di Padova, sono state rese pubbliche oltre i canali delle riviste specialistiche, mentre non ancora mi riesce con i fossili Eunerinee rinvenuti nella valle del fiume Nandru sui monti Poiana Rusca delle Alpi Transilvaniche.  Recentemente scrivono su di un media a cui collaboro da oltre un decennio, il CNDDU, invita i colleghi delle materie umanistiche a realizzare con gli studenti percorsi didattici trasversali incentrati sulla lettura di alcuni testi e la conoscenza della condotta politica dell’imperatore, mediante i quali si possa coglierne la sorprendente attualità sulle tematiche dei diritti civili. Attraverso il gioco del silenzio “Un comando non avrebbe mai potuto produrre la meravigliosa conquista di volontà unite nell’inibire ogni atto, in quell’epoca della vita in cui il movimento sembra l’irresistibile, continuata caratteristica dell’età. È necessario insegnare ai bambini il silenzio” (Maria Montessori) o la tecnica della partecipazione condivisa, con cui stimolare e coordinare un processo di partecipazione attraverso il quale il gruppo classe assume un ruolo autentico e determinante nel decidere l’uso e la configurazione di azioni da proporre per il buon svolgimento della lezione, o le tecniche di discussione strutturata o semistrutturata, si potrebbero sperimentare percorsi di gestione e risoluzione di problematiche incentrate sulla leadership pacata e responsabile. “A leggere e a scrivere non sarai mai maestro se non sei stato prima allievo. E tanto meno a vivere” (XI;29). prof. Romano Pesavento presidente CNDDU. Io da tempo vado scrivendo che insegnare significa “lasciare il segno”, che può essere superficiale, profondo, insignificante, determinante, ecc.. Ciò mi viene dall’esperienza di alcuni decenni di docenza in Italia e all’estero. Spesso ho visto che anche la scuola è affetta ed afflitta dal secolarismo, cioè indifferenza verso la cultura e la sua trasmissione aggiornata e spendibile anche per la ricerca del proprio destino professionale e perché no anche il senso della vita. Ribadisco pure che l’ambiente è un insieme di natura e cultura che l’Ecologia Umana esamina con i caratteri propri della mult-inter-transdisciplinarità. L’ambiente di Marco Aurelio, più studiato nel licei classici, che scientifici, tecnici e professionali, è quello di Roma al culmine della sua potenza e magnificenza sia pure vista in due modi diversi dagli storici: potenza egemone che si espande ad armonizza tutti i popoli più barbari esistenti o meglio li incamera ad iniziare dagli Etruschi, i Sanniti fino ai Greci, Egizi, ecc.. L’Imperatore Marco Aurelio, 121-180 d.C., alla morte del padre fu adottato dall’avo paterno Marco Annio Vero. Studiò lettere latine e greche, scienze giuridiche, eloquenza (per la quale ebbe come maestro Frontone), filosofia e pittura. Attratto specialmente dagli studî filosofici, seguì le dottrine stoiche, e di queste volle praticare, nonostante la delicatezza della sua costituzione fisica, tutta l’austerità. Molto apprezzato da Adriano, fu, per volontà di questo imperatore, adottato dal suo successore Antonino Pio, insieme a Ludovico Vero. Nel 139 fu nominato Cesare; nel 140 e nel 145 fu console. Sposò Faustina (figlia di Antonino Pio), che amò sempre devotamente e dalla quale ebbe 13 figli. Nel 146 ebbe la potestà tribunizia e l’imperio proconsolare. Successe ad Antonino Pio nel 161, e  condivise l’impero col fratello di adozione Lucio Vero, si ebbero così due imperatori.  L’impero di M. Aurelio si svolse tra continue difficoltà come fu l’irruzione nei territori romani di tribù germaniche sulla linea danubiana, che riuscirono anche a valicare le Alpi, penetrarono nel Veneto e assediarono Aquileia. In Oriente la peste decimava le file dell’esercito, altri barbari irrompevano fino in Asia Minore. Nella politica interna si dimostrò deferente verso il senato e ne desiderò la collaborazione; alle difficoltà finanziarie (dovute specialmente alle spese militari) fece fronte con una oculata amministrazione e con la semplicità della corte imperiale; ispirò la sua opera legislativa a sentimenti di umanità, reprimendo gli abusi di autorità, curando la tutela dei minori, stabilendo norme più benevole verso gli schiavi. Nel suo spirito conservatore fu avverso ai cristiani, e durante il suo impero si ebbero persecuzioni, sebbene non a lui imputabili. Di grandi monumenti che ne celebrino le gesta ricordiamo, oltre la Colonna Antonina, i grandi rilievi poi inseriti nell’arco di Costantino, l’arco di Tripoli e un monumento a Efeso. Nel film “Il Gladiatore” si apre una visione diversa da quella di altri storici sulla trasmissione ereditaria di Marco Aurelio, che avrebbe designato il generale Massimo Meridio a suo successore imperiale, ma il figlio uccise, in segreto, il padre e alla fine del film con l’uccisione di Commodo a duello con Massimo nel Colosseo, il potere torna al Senato. In realtà Roma ha sempre avuto la testa e il cuore repubblicano né monarchico né imperiale poiché la successione al potere era regolata democraticamente in seno al Senato: SPQR. Dopo tredici anni di governo, Commodo aveva dilapidato le ricchezze dell’Impero per i suoi capricci, come la polvere d’oro che si metteva sui capelli affinché brillassero. Dell’ambiente imperiale romano, le epoche migliori sono state quelle con imperatori non ereditari, ma su nomina senatoriale come Traiano, che da generale ispanico, guidò Roma portandola alla massima espansione con la conquista della Dacia di re Decebalo e fu definito da tutti Ottimo Principe.  

Era il 106 d.C. quando Traiano sconfisse Decebalo dopo aver espugnato la capitale dei Daci di Sarmizegeusa Regia a 1200 metri sui monti di Orastie dei Carpazi Meridionali o Alpi Transilvaniche. Decebalo prima della battaglia finale fece nascondere il tesoro regio sotto il greto di un fiume che fece deviare per la circostanza e poi riprendere il suo corso. Tale tesoro non è stato più trovato e la leggenda aleggia con il suo alone di mistero sul fiume Strei, tributario del più grande fiume Mures e nella sua media valle, dove lambisce la città di Deva, sede del Liceo Tecnologico “Transilvania” capoluogo di regione Hunedoara. A sud della regione, vicino alla cittadina di Hatec, Traiano fece erigere una nuova capitale della Dacia come Provincia Romana, che avendo una sede in pianura, è più facilmente visitata da scolaresche e turisti. Interessante è sia lo stile architettonico romano (con mura, cardo, decumano, foro, teatro, fogne, basiliche) che un piccolo museo esterno alle mura dove si possono vedere tra le molte statue e reperti archeologici di epoca romana anche donne vestite in stile capuano. Oltre alla famosa e stupenda Colonna Traiana l’annessione della Dacia a Roma Caput Mundi, arricchì sia Roma di oro dei monti Apuseni che la Romania di amministrazione meno feudale dei Daci precedenti, con un’amministrazione più avanzata e con più diritti del cittadino. La Romania è l’unico Paese di lingua romanza orientale nell’Europa dell’Est, viene definita isola linguistica latina in un mare di lingue slave. Il parlare dei romeni richiama molto le lingue del centro-sud Italia, poco quelle del nord Italia che appartengono alle lingue romanze occidentali a nord di Senigallia Massa Carrara. Nell’inno nazionale romeno si cita il conductor Traiano e il sangue romano che scorre nel corpo. In Romania la Lupa di Roma è il monumento più diffuso nel centro delle piazze di città grandi e piccole. Quanta gratitudine, forse non meritata, si tributa a Roma dai cugini della Romania, circa 20 milioni con un milione e passa emigrati in Italia. A Roma città ve ne sono oltre 100 mila e a Padova, compresi i moldavi che parlano la stessa lingua neolatina e romanza orientale, circa 15 mila su 35 mila immigrati dei 2010 padovani o patavini. L’attuale ambiente globale in generale ed europeo in particolare spesso va incontro allo slogan Cancel culture? Cultura della cancellazione? O, piuttosto, cancellazione della cultura? Beninteso, unidirezionale. Sotto accusa è l’intera civiltà occidentale, con la sua cultura d’arte, di storia, di religione, di costumi, di architettura… Tutto compreso. Da Omero a Dante, da Colombo a Cook, da Giulio Cesare a Napoleone, da Darwin a Dulbecco. E non è sufficiente neppure questo. Occorre autoflagellarsi, autodistruggersi. Per essere sostituiti non solo da altre culture, ma, fisicamente, etnicamente, da altri popoli. Ora, ammettiamo pure per assurdo, che tutta – tutta – la cultura occidentale e le sue espressioni siano condannabili, esecrabili e violente. Ma questi fanatici si rendono conto che esiste la bellezza, che le opere dell’ingegno umano non si valutano per chi le ha scritte o per i contenuti “politici”, ma perché esteticamente sono straordinarie, struggenti, divine? Questa gente sa cogliere la poesia, l’armonia, la grandezza di un libro, di un dipinto, di una sinfonia? O il coraggio e l’eroismo di un’ardita impresa? Ancora. Le altre culture sono esenti da guerre, massacri, razzismo, schiavismo, ingiustizie? Assolutamente no.

L’unica, quanto sostanziale, tragica differenza, è che da sempre le menti più elevate dell’Occidente e, ormai da decenni, tutta la cultura di massa occidentale, hanno riconosciuto i propri orrori. Persino la Chiesa cattolica ha chiesto perdono per discriminazione delle donne, schiavismo, colonizzazione, guerre, ecc. Dalle culture “diverse” si è mai prodotto il riconoscimento di eventi storici terribili quanto indiscutibili quali il genocidio degli armeni? E la sottomissione violenta di tutta l’Africa mediterranea e subsahariana, parte dell’Europa mediterranea, mezza Asia fino all’Indonesia? E il razzismo tribale e la schiavitù nell’Africa araba e nera? E la completa discriminazione delle donne in qualunque cultura, ben peggiore che in quella occidentale? E l’infibulazione e la clitoridectomia? E la condanna a morte degli omosessuali? La questione centrale, forse, è che la stragrande maggioranza delle persone, ieri e oggi, non è laureata in Letteratura o Filosofia o Storia, è priva degli strumenti culturali e umanistici per essere tollerante e non violenta. Le masse di qualunque cultura tendono alla violenza, all’odio, all’intolleranza? Certo, i politici e i capi religiosi cavalcano l’aggressività e la brutalità insita negli uomini come un peccato originale o un marchio di Caino? Anzi, solo in Occidente, dopo un lungo travaglio, si sta assistendo a un addolcimento dei costumi, a una maggiore consapevolezza verso animali e ambiente, al riconoscimento della parità uomo-donna, all’accettazione di ogni “diversità”. Ma, per gli squadristi del Black lives matter e del Cancel culture, occorre distruggere proprio la civiltà più tollerante e aperta? Da secoli siamo abituati a vedere dei punti fermi e inossidabili nella cultura classica greco-romana, in quella umanistica, in Dante, nei grandi filosofi, artisti e musicisti, incontrati e amati a scuola (quando ancora si poteva chiamare tale). Pertanto, sottovalutiamo il rischio della Cancel culture. Sarebbe un errore imperdonabile. Seppure chi sostiene tale aberrante ideologia fosse solo una minoranza chiassosa, non dimentichiamoci che essa è sostenuta dai nuovi padroni del mondo: dal turbocapitalismo al circo mediatico di giornalisti-docenti-attori-cantanti-star-influencer vari, dai tycoon della Silicon Valley ai grandi gruppi finanziari, dalle multinazionali del food delivery alla gig economy. Le loro motivazioni sono certo strumentali e consumistiche. Ma oggi si abbatte una statua in una piazza e si proibisce la lettura dei classici in qualche università statunitense o inglese, domani. Nel mondo l’ambiente culturale cambia sempre più velocemente di quello naturale. In questi ultimi anni le preoccupazioni sulle variazioni climatiche sono aumentate. Secondo uno studio di Nature Communications, la produzione di biomasse a scopi energetici, una promettente fonte di energia rinnovabile, potrebbe avere un impatto idrico peggiore del cambiamento climatico. Dalla padella alla brace? Per rallentare questo fenomeno c’è una soluzione: la gestione sostenibile delle risorse idriche globali. La crescente preoccupazione da parte della comunità scientifica sui potenziali effetti del cambiamento climatico spinse le Nazioni Unite, nel 1992, a dotarsi di un quadro d’azione per combattere l’aumento delle temperature: l’UNFCCC, umerosissimi paesi (oggi 197) si unirono sin da subito al nuovo trattato internazionale, chiamato appunto UNFCCC, impegnandosi a trovare strategie per ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra, causa principale del surriscaldamento globale. Nel 1995, i paesi (o Parti) aderenti alla Convenzione diedero il via alle primissime negoziazioni sul clima, riunendosi a Berlino nella prima Conferenza delle Parti, la COP1. Fu Angela Merkel a presiedere la prima COP. La prima grande conquista della comunità internazionale sul clima fu la stesura del Protocollo di Kyoto, il primo trattato internazionale che prevede un impegno concreto e giuridicamente vincolante da parte dei paesi sviluppati a diminuire le proprie emissioni. Nello specifico, il Protocollo di Kyoto richiedeva una diminuzione del 5% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, da realizzarsi entro il il 2012. La ratificazione del Protocollo da parte dei paesi fu molto lenta, in quanto quello del cambiamento climatico era ancora un argomento molto controverso. Il Protocollo di Kyoto ottenne le firme necessarie per entrare in vigore solo nel 2005. COP15: L’Accordo di Copenaghen (2009) Per la prima volta si parla di cercare di contenere l’aumento della temperatura media mondiale al di sotto dei 2°C. L’Accordo di Copenaghen, tuttavia, è spesso etichettato come “un’occasione persa”. Gli impegni presi dai paesi in questa occasione, infatti, non sono vincolanti e decisamente non abbastanza ambiziosi. Inizia a delinearsi la necessità di produrre un accordo più dettagliato che vincoli legalmente l’intera comunità internazionale. COP21: L’Accordo di Parigi (2015). Lo storico accordo firmato nel 2015 prevede l’impegno, da parte di tutta la comunità internazionale, di mantenere l’aumento totale della temperatura ben al di sotto dei 2°C, e possibilmente entro 1.5°C. Per fare questo i paesi si impegnano a ridurre drasticamente le proprie emissioni nei prossimi anni per arrivare, nel 2050, a zero emissioni nette, una situazione in cui i (pochi) gas a effetto serra emessi vengono completamente riassorbiti da foreste, oceani e da tecnologie di cattura e sequestro del carbonio. Uno dei principali elementi introdotti dall’Accordo di Parigi è la produzione, da parte di ogni paese, di un Nationally Determined Contribution, un piano da ripresentare ogni 5 anni che delinei in modo chiaro e conciso la strategia che il paese intende adottare per mitigare (ridurre le emissioni) e adattarsi ai cambiamenti climatici.

La conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop 23) tenutasi a Bonn, in Germania, dal 6 al 17 novembre 2017 con la partecipazione di 194 paesi, registrò l’avvio del “Talanoa Dialogue”, che aveva ed ha lo scopo di valorizzare gli sforzi collettivi delle parti verso gli obiettivi di mitigazione indicati dall’Accordo di Parigi, e una ulteriore definizione del set di regole da usare per attuare l’Accordo di Parigi. La Conferenza ha anche consentito di continuare la discussione sull’attuazione degli accordi sul clima nel periodo precedente al 2020 (anno dal quale si farà riferimento all’Accordo di Parigi). Tra le varie decisioni, la Cop 23 ha stabilito di sostenere gli agricoltori nella promozione di azioni per il clima, l’adozione di un Gender Action Plan per favorire la piena partecipazione delle donne e un accordo su una “Piattaforma delle comunità locali e dei popoli indigeni” (istituita alla Cop 21). L’Adaptation Fund (creato nel quadro del Protocollo di Kyoto per aiutare i paesi in via di sviluppo nel loro impegno di adattamento ai cambiamenti climatici) verrà utilizzato anche per l’attuazione dell’Accordo di Parigi. Nel 2018, il 5 e 6 luglio a Roma, presso la sede legale dell’ENEA, si è svolto il workshop “Cambiamenti climatici e innalzamento del livello del Mar Mediterraneo. Recenti sviluppi della ricerca italiana e implicazioni per le politiche gestionali”. Il workshop intende promuovere un approccio trans-disciplinare allo studio dell’innalzamento del Mar Mediterraneo, connettendo i campi dell’oceanografia, della geologia, della geofisica e delle scienze costiere applicate. Sette nuove aree costiere italiane a rischio inondazione per l’innalzamento del Mar Mediterraneo sia a causa dei cambiamenti climatici che delle caratteristiche geologiche della nostra penisola. È quanto stima l’ENEA attraverso nuove misure che indicano una ‘perdita’ di decine di chilometri quadrati di territorio entro fine secolo. In Italia continentale sono state individuate quattro località, tutte sul versante adriatico: tre in Abruzzo, Pescara, Martinsicuro (Teramo) e Fossacesia (Chieti), e una in Puglia, Lesina (Foggia), con previsione di arretramento delle spiagge e delle aree agricole. Le altre tre zone individuate sono tutte sulle isole con differenti estensioni a rischio, dai 6 km2 di perdita di territorio a Granelli (Siracusa), ai circa 2 km2 di Valledoria (Sassari), fino a qualche centinaio di m2 a Marina di Campo sull’Isola d’Elba (Livorno).

Queste nuove mappe di rischio allagamento sono state presentate in anteprima oggi a Roma durante il vertice organizzato dall’ENEA su cambiamenti climatici e variazione del livello del Mediterraneo che riunisce fino a domani, per la prima volta in Italia, esperti italiani di organizzazioni nazionali e internazionali, tra le quali Ministero dell’Ambiente, MIT di Boston, CNR, ISPRA, INGV, CMCC, Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, oltre che ENEA. Un summit operativo che vede al centro della due, giorni la presentazione di un nuovo modello climatico, su cui i ricercatori dell’ENEA, in collaborazione con il MIT di Boston e la comunità scientifica italiana, stanno lavorando grazie al supporto del supercalcolatore CRESCO6 dell’ENEA, che integra dati oceanografici, geologici e geofisici per previsioni di innalzamento del livello del Mediterraneo molto dettagliate e a breve termine. Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso delle negoziazioni internazionali sul clima. Se molti di voi conoscono il Protocollo di Kyoto e il tanto discusso Accordo di Parigi, forse non tutti sapranno che questi sono solo due dei principali risultati di una serie di conferenze (le COP) che dal 1995 impegnano annualmente i governi di tutto il mondo. In 25 anni di storia, la comunità internazionale ha prodotto accordi, stabilito impegni e chiarito responsabilità che hanno definito l’approccio mondiale al cambiamento climatico.  La prossima tappa è la COP25, ospitata dal governo spagnolo a Madrid proprio in questi giorni. Durante la COP25 la comunità internazionale si accingerà a finalizzare ciò che è rimasto incompiuto dalla COP24, svoltasi in Polonia nel Dicembre 2018. L’anno scorso, i Paesi hanno compiuto sforzi straordinari per riuscire a finalizzare il cosiddetto “Paris Rulebook”, una sorta di guida all’implementazione dell’Accordo di Parigi che include indicazioni su, ad esempio, la frequenza con la quale i Paesi membri dovranno comunicare i propri progressi all’UNFCCC. Nonostante i progressi fatti negli ultimi mesi, è ancora uno il tassello mancante: la guida al funzionamento dei mercati del carbonio, previsti dall’Articolo 6 dell’Accordo. L’anno scorso i Paesi membri, infatti, non sono riusciti ad accordarsi sui cavilli tecnici che governeranno il funzionamento dell’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi. La COP25 è l’ultima occasione che i Paesi hanno per concludere questo spinoso e controverso problema, poiché a partire da Gennaio 2020 inizierà ufficialmente il periodo di implementazione dell’Accordo. Negoziazioni tecniche a parte, gli occhi saranno puntati sui grandi emettitori. In molti si aspettano l’annuncio da parte della maggior parte dei Paesi membri di nuovi e più ambiziosi NDCs. Quelli formulati finora, infatti, non sono sufficienti, per mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2°C. Su tali numeri non tutti concordano e ancora molti continuano a diffondere false Nel nostro ambiente sociale e culturale contemporaneo la diffusione di pseudonotizie è molto frequente e comune: come affermano gli autori di Rumor Mills: The Social Impact of Rumor and Legend: «Le voci infondate nascono e si diffondono quando la gente si sente insicura e ansiosa rispetto a qualcosa che la riguarda personalmente e quando la voce appare credibile in base alla sensibilità di quanti sono implicati nella sua diffusione». Un ulteriore contributo lo si ha da un articolo su Psychology Today, il quale afferma che «La paura alimenta voci infondate. Più l’ansia diventa collettiva, più aumenta la probabilità di voci incontrollate». In conseguenza il lavoro di verifica diventa ancora più complesso nelle situazioni in cui è cruciale fornire informazioni accurate. Seconda una ricerca condotta sulla rivista statunitense Science nel 2018 le notizie false trovano ampia diffusione e consenso sui social network come Twitter, e soprattutto in ambienti politici. La migliore strategia di contrasto sarebbe quella di intervenire quando ancora la notizia è ad una fase embrionale, secondo questa metodologia: scrivendo il titolo della notizia in modo tale da indicare chiaramente che si tratta di una balla, non usando argomenti di tendenza che deviano l’attenzione dai reali problemi che necessitano di essere risolti e insegnando il linguaggio dei media. Nonostante il lavoro di Ball aiuti a riconoscere una falsa notizia da una autentica e proponga dei metodi per stroncarle sul nascere, il suo lavoro analizza soltanto una piccola parte di un puzzle molto più grande. Aggiustare il rapporto con i media è solo una fase iniziale di questo processo. La giornalista Margareth Sullivan in un articolo sul The Washington Post ha fornito alcuni consigli per poterle riconoscere: Consultare e confronta più fonti di informazione.Non condividere senza verificare. Se si diffonde un contenuto falso, cercare di correggere le affermazioni velocemente. Cercare di avere un atteggiamento scettico verso l’informazione. Usare il pensiero critico. Eccoci al dunque “usare il pensiero critico”. Questo si promuove spesso a scuola e all’Università e soprattutto per i saperi scientifici e tecnici, ma anche la base dei saperi umanistici è importante per non ridurre tutto a formule e ipotesi per assurdo solo che tali saperi sono in mano a persone più sensibili alle ideologie e non a caso i parlamenti delle moderne democrazie sono occupati da tali parlamentari anche se è difficile pensare che a promulgare leggi vadano non dottori dei saper giuridici! Siamo dunque in una nuova epoca di quarta rivoluzione industriale con la tecnologia digitale. In essa le informazioni ambientali allarmistiche abbondano anche se non bisogna sottovalutare i problemi d’inquinamento diffuso come la plastica nell’idrosfera planetaria, più alcuni inquinanti chimici. La visione ecocentrica ecologia si consiglia perché capace di mediare quella estremista biocentrica e la tradizionale antropocentrica.

 

 

 

 

Giuseppe Pace. Sp. internazionale di Ecologia Umana presso l’Università di Padova.

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