Napoli, 3 Agosto – Confesso di avvertire un leggero mal di testa, carissimi Lettori: dopo una giornata intensa di lavoro, ci può stare, ma…è presto per parlare di burnout (o, come direbbe la maggior parte di Voi, jettà ‘o sang’): le tecnologie spesso costituiscono un valido aiuto nell’esercizio di molteplici professioni, finanche di quelle che, malgrado sia richiesto un pizzico di sale in zucca in più, continuano ad essere definite «manuali» o qualificate come oltremodo «usuranti». A titolo esemplificativo, possiamo menzionare la preparazione del colore che occorre per ritinteggiare le pareti (che ben può avvenire tramite un macchinario), oppure la pulizia di un locale (per cui ci si avvale di strumenti come l’aspirapolvere, il vaporizzatore, il Mocio ipertecnologico, e via discorrendo).
In tanti, però, non la pensano allo stesso modo, ma, al contrario, sono dell’avviso che tutto sia loro dovuto: a loro ben si addice – ironicamente – il proverbio Messicano «Hombre que trabaja pierde tiempo precioso» (It.: «Uomo che lavora perde tempo prezioso»). Essi, come ben noto, preferiscono – molto furbescamente – dichiararsi indigenti o, cosa ben più grave, far leva sulle proprie condizioni per uscire completamente dal mercato del lavoro: non c’è errore più marchiano di questo, cari Lettori, poiché tanto la Costituzione (artt. 1 e 4) quanto il Santissimo Vangelo conferiscono importanza al lavoro. Gesù Medesimo era un onesto lavoratore: stando alla Sacra Scrittura, egli svolgeva con solerzia il suo mestiere di artigiano – per la precisione, di carpentiere -, insegnatogli da suo padre, San Giuseppe, insegnando ai propri discepoli il valore dell’onestà.
Già nel Libro della Genesi, invero, il Buon Dio, rivolgendosi ad Adamo, pronunziò le seguenti parole: «mangerai il pane con il sudore del tuo volto finché tornerai nella terra da cui fosti tratto (…)» (Gen. 3, 19). Anche la morale cristiana, quindi, condanna l’inerzia e, specularmente, esalta l’impegno e la dedizione: non è, infatti, un caso che l’accidia – che si sostanzia anche nell’avversione per il lavoro – è annoverata tra i sette peccati capitali!
Condivido, dunque, appieno la decisione, assunta dall’attuale Esecutivo, di cancellare progressivamente una forma di assistenzialismo che nulla ha a che fare col concetto di welfare e col dettato costituzionale: è giusto che si aiutino i cosiddetti «meno fortunati», ma, al tempo stesso, è da ritenersi iniquo riempirli di benefìci senza far loro comprendere che la quasi totalità dei consociati lavora duramente per garantirsi un avvenire dignitoso.
Condanno fermamente l’aggressione perpetrata ieri mattina a danno di giornalisti e Forze dell’Ordine da parte di chi, mosso dall’ignoranza e dall’accidia, è sceso in piazza a reclamare un (presunto) diritto al Reddito di Cittadinanza e, contestualmente, faccio appello ai malcapitati di procedere immediatamente alla denunzia dei responsabili, rimettendomi al prudente apprezzamento della Magistratura riguardo all’esemplarità della pena da applicare.
La stampa, come spesso rammenta il nostro Direttore di Testata, è l’artiglieria della libertà: aggredire un giornalista, oltreché un crimine, è una vigliaccheria intollerabile!
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