Napoli, 4 Settembre – Tempo fa decisi di raccontare stralci di vita della mia adolescenza, attraverso le storie delle famiglie di via Ritiro, un vicolo del paese dove sono nata e cresciuta. Tra i vari aneddoti ce n’era uno molto buffo, ossia l’arrivo di una cartolina da Rimini di un anziano parente di mio padre, il quale non ricordando più il numero civico scrisse: via Ritiro in fondo a destra. Questo antefatto per inquadrare emozioni e sentimenti che ho provato come succede ogni qualvolta che ritorno alle mie radici.
Dicono che un lutto non metabolizzato in un tot di tempo, diventi patologico ed io che di abitudine prima di scartare qualsiasi considerazione, preferisco rifletterci e trarre le mie conclusioni, ho voluto farlo anche su questa affermazione. Mi sono chiesta come mai dopo cinque anni, provo ancora quel vuoto enorme. Come mai nonostante sappia che fuori quel cancello non ci sarà nessuno ad attendermi, ogni volta che giro l’angolo spero in un miracolo. Ho cercato una risposta per acquietare l’animo e chiudere questo cerchio che, come tutti i cerchi della vita, non possono essere infiniti.
È stata dura metabolizzare ed elaborare, è stata dura girare ancora una volta quella chiave nella toppa sapendo di lasciare all’interno oramai solo le parole di una vecchia canzone senza più musica che si diffonde nell’aria, ma ho visto finalmente che ogni cerchio ha il suo percorso, tenerlo in sospeso è come decidere che un palloncino resti per sempre legato ad un ramo, quando la sua destinazione, il suo desiderio, è volare libero nell’aria.
È stata dura ma ho finalmente accettato l’idea che è giunta l’ora di ricominciare. Troppe volte si dimentica che la vita inizia ad ogni sollevamento di palpebre, ad ogni alba, ad ogni canto del gallo. Troppe volte si resta bloccati nelle perdite subite, invece di colmare la vita di presenze.
Ebbene sì credo che un lutto che duri troppo a lungo sia proprio patologico e bisogna porne fine.
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