Politica

USA al voto, i cittadini statunitensi voteranno per riconfermare D. Trump oppure J. Biden?

Napoli, 31 Ottobre – Tra qualche giorno, negli Usa, si vota per il presidente della Repubblica federata, che può riessere il repubblicano Donald Trump oppure verrà cambiato dal popolo sovrano con il democratico Joe Biden. L’America, cosiddetta ricca per distinguerla da quella povera e latina, è spaccata in due parti elettoralmente: metà voterebbe per l’uno e l’altra metà per l’altro partito e contendente il comando esecutivo dello stato più potente del mondo, quasi una sorta di Roma caput mundi con 3 volte il numero di legioni con le armi più sofisticate di tutti gli altri eserciti e militari disseminati strategicamente dappertutto nel ondo, tranne che nei territori delle altre poche iperpotenze che gli tengono testa per sostituir visi, non per altro! Negli USA quasi 3 milioni di voti in più dati ai democratici la volta scorsa, nel 2016, non li premiarono con H. Clinton a Presidente perché i 50 stati federati degli USA si espressero più uniformemente per i repubblicani di D.Trump. Stavolta sarà lo stesso copione oppure la differenza sarà più marcata sia per i voti raccolti che per gli stati federati a maggioranza. Il grande territorio degli USA si estende per oltre 9,3 milioni di kmq, terza estensione dopo Russia e Canada, e il popolo che vi abita, 350 milioni di persone, sono urbanizzate all’81%, dunque pochi contadini e molti immigrati via Messico, più 5% di messicani, 12% di colore nero, l’8% di italiani nella sola metropoli di New York, ecc., che votano, a maggioranza, per i democratici. Due soli partiti si alternano spesso alle responsabilità di guidare il Paese a più elevata economia, cultura e potenza militare relativamente agli altri 195 Paesi mondiali.

Nel 2006 fui forse l’unico l’osservatore italiano a prevedere la vittoria repubblicana sui democratici degli Usa nell’elezione del loro presidente di repubblica presidenziale. Dalle colonne di un media italiano, scrissi un articolo che prevedeva la vittoria di Donald Trump. Oggi, invece, non salgo ancora sul carro dei detrattori repubblicani Usa e non assegno a priori la vittoria al partito concorrente democratico, nonostante le apparenze dei sondaggi soprattutto nella fortezza Europa occidentale. Gli studiosi Usa chiamano spesso fortezza l’Europa per non pochi aspetti del nostro ambiente socio-economico. E hanno ragione perché da noi l’ascensore sociale è bloccato e la meritocrazia stenta a essere la regola nelle assunzioni private e pubbliche. Da noi la tecnologia e la scienza hanno le museruole della burocrazia e così i nostri politici prodotti da un sistema di feudi elettorali senza competizione reale. Nelle scorse elezioni presidenziali in Usa, Donald Trump le vinse  conquistando 304 grandi elettori contro i 227 della sua rivale Hillary Clinton, sebbene la candidata democratica abbia ricevuto più voti popolari rispetto al repubblicano, 65.853.514 (48,18%) contro 62.984.828 (46,09%). Stavolta gli analisti, anche quei pochi che si schierarono a suo favore nell’azzardarne la vittoria, sono per Joe Biden. In Italia poi si stracciano le vesti  per Biden e i democratici Usa, e abbondano i tifosi democratici e radical chic. Chi usa il termine democratico come vessillo o bandiera spesso lo è meno di chi non ne fa uso, dice la saggezza d’ogni tempo non solo antica! Una riconferma per l’attuale presidente Usa e candidato dei Repubblicani, Donald Trump, sembra uno scenario lontano se si guarda ai numeri degli ultimi sondaggi: ma negli Stati Uniti questi hanno spesso riservato alcune sorprese, facendosi smentire nella notte elettorale. I sondaggi sono tutti per Biden e i democratici? Si. Eppure mi sentirei di azzardare che a rivincere sia Trump e repubblicani, ma in modo inverso al precedente voto cioè sulla base di qualche milione di voti in più per Trump. Per il 3 novembre 2020, giorno dell’Election Day, gli Stati Uniti sono chiamati ad eleggere un nuovo presidente. Gli occhi sono puntati sugli swing states, cioè quelli che oscillano tra democratici e repubblicani ma non più su base di stati a maggioranza come la volta precedente, ma sui voti realmente avuti, cioè invertirei il risultato scorso.

Che votano in modo altalenante (da swing appunto, altalena). Sono anche detti battleground states, in quanto proprio in questi Stati si gioca la battaglia finale per la presidenza. Se si fa una riflessione, come la faccio io, sui 60 o 65 milioni di elettori Usa che hanno già votato, c’è da dire che sono corsi alle urne gli emotivi e i democratici infatuati dalla propaganda anti Trump. Di essi moltissimi degli 11% di perone di colore, di ispanici, compresi gli italiani e gli immigrati recenti. Tutti questi costituirebbero meno del 35% dell’elettorato e l‘altro 65%? C’è da considerare che non pochi in genere non vanno a votare perché sfiduciati degli uni e degli altri concorrenti e, stavolta, manca il solito magnate che corre come terzo incomodo. Azzarderei l’ipotesi che a vincere sia ancora il partito repubblicano, dopo il recente dato di crescita del Pil annuo del 33%. Il possidente americano, che ha lavorato una vita per realizzare il vecchio sogno americano (dal poco al molto) voterà ancora repubblicano e non democratico che ha per programma una sorta di cattocomunismo: come in Italia, Spagna, Francia, ecc., che si sintetizza in ”dare al povero e prendere dal meno povero” e dunque più tasse a chi possiede dei beni e più sussidi ai poveri e ai finti poveri che sono sempre in numero spropositato a scapito della società. Così facendo si realizzerà sia l’utopia marxista del tutti uguali, senza classi e ceti privilegiati che la missione evangelica papalina ultima di “tutti fratelli” e poverissimi, ma anche tutti monaci da cerca! Noi, in Italia almeno, non abbiamo la percezione reale degli Usa, che seppure afflitti da vecchi problemi non ancora ben risolti dimostrano di avere molti dati positivi. Gli Usa, non dimentichiamolo facilmente, costituiscono, a torto o a ragione, un fattore non secondario di equilibrio tra le grandi potenze espansionistiche. Esse sono, assieme  e in competizione agli Usa, Russia, Cina e potenzialmente soltanto l’India. Sempre la storia ci insegna che una grande Paese con una forte economia, tende all’espansionismo commerciale, culturale, economico e militare. In questo scacchiere di un gioco diplomatico tra grandi potenze si inserisce da oltre 10 secoli, dal tempo di Gregorio Magno, anche lo stato del Vaticano, che resta, al di là della conservazione e promozione della religione cristiana, un Paese monarchico non costituzionale e fa accordi unilaterali con chi vuole anche con la Cina, come ha fatto papa Francesco attualmente. Egli dunque fa eccezione tra i potenti della Terra e anticipa forse nuovi scacchieri di equilibri mondiali, ma non più avanzati però? La chiesa come stato monarchico poco trasparente nei fatti è sempre stata dalla parte della conservazione e quasi mai dell’innovazione ad eccezione di pochi timonieri illuminati anche dalla ragione e non dalla luce oscurantista e superficiale di tutti fratelli, d’anima? Attualmente la Terra è abitata da 7,5 miliardi di individui della specie Homo sapiens che vivono in 196 Stati (193 sono membri dell’Onu e 2  osservatori permanenti dell’Onu, la Città del Vaticano e la Palestina. C’è infine Taiwan che è un ex membro dell’Onu) che tendono a ridurre le sovranità per unirsi in strutture sovranazionali come l’Unione Europea (27 stati), ecc..  Il futuro è un unico stato con una lingua veicolare e la funzione dell’ONU è di redimere controversie religiose soprattutto come già auspicato da chi consiglia nuove funzioni di quell’organizzazione mondiale un po’ stantia e burocratizzata da assemblearismo inconcludente, dove prevale una democrazia assembleare con equilibri politici instabili.

Con H. Weinrich si ribadisce che «di fronte alla memoria tecnica ed elettronica artificiale è necessaria un’arte dell’oblio», anche nell’intervista da lui rilasciata a U. M. Olivieri, Arte della memoriaarte delloblio, in «Moderna. Semestrale di teoria e critica della letteratura», 1/2001. Oggi, noi dobbiamo non solo «archiviare informazioni di cui non si conosce bene l’uso», ma anche imparare ad apprendere «l’arte di rifiutare e di scegliere cosa conservare»: «un’operazione necessaria per ritrovare la tranquillità della nostra anima nell’epoca moderna e postmoderna».  Il mondo già è globalizzato da tempo e, a parte  non pochi problemi connessi dà indubbi vantaggi come, ad esempio, l’aumento del Pil procapite in molti Paesi. Tale Pil relativo al 2018  e in USD, per alcuni Paesi è il seguente: USA (62.796), Russia (11.289), Cina (9.770), India (7.680), Norvegia (81.697), Danimarca (61.350), Olanda (53.890), Austria (51.461), Germania (47.603), Francia (41.463), Giappone (39.290), Italia (34.483), Spagna (30.370), Grecia (20.324), Ungheria (16.162), Romania (12.301), Turchia (9.370), Bulgaria (9.272), Tunisia (3.447), Moldavia (3.228), Nigeria (2.028), Kenya (1.710), ecc.. Dunque negli Usa c’è più ricchezza diffusa senza tralasciare sacche di miseria, ma di una percentuale più bassa degli altri Paesi ad economia avanzata, tralasciando quelli ad economia attardata dove la povertà è quasi endemica e generalizzata.   Alla fine del XV sec., con la scoperta dell’America di Cristoforo Colombo, il mondo comincio a sperimentare meglio la globalizzazione e in Europa giunsero nuove piante, animali e microbi e cambiarono i paesaggi. Alcune di quelle piante come le patate andine sfamarono le popolazioni di aree meno favorite dal suolo e dal clima come i territori montani delle Alpi, dei Carpazi, dei Pirenei ed Urali. Altrettanto fece il mais, detto granoturco in Europa occidentale perché ciò che era strano si appellava con turco fin dal tempo delle crociate dei sec. IX-XVI. Anche i pomodori furono provvidenziali per gli europei fino alle moderne ricette gastronomiche che usano quei pomi d’oro ovunque a cominciare dalla pizza napoletana per non dire degli spaghetti al pomodoro fresco, ecc. Lo studio del territorio, del paesaggio e dell’ambiente richiede una conoscenza interdisciplinare se si vuole procedere con minore approssimazione possibile. Lo stesso fenomeno della globalizzazione e della localizzazione richiede conoscenze multidisciplinari. La globalizzazione ha meriti e demeriti che non è il caso di elencare ora. L’altra faccia della globalizzazione si chiama localizzazione, anch’essa con vantaggi (merci di migliore qualità, anche biologiche spesso) e svantaggi (costi elevati adatti solo all’ex classe media). La classe media statunitense è stata meno tartassata di quella italiana, poiché il sistema di tassazione è meno pesante. Da noi una minoranza di operai e contadini che prima votava Pci, poi Ulivo e oggi Pd, vota Lega e 5Stelle anche se la Lega con Salvini alla guida pare che stia riducendo il proprio consenso. Comunque da noi, a parere non solo mio, una minoranza guida il popolo al governo del Paese e il principio costituzionale che la sovranità appartiene al popolo sembra non essere ottemperato. Negli Usa, invece, l’alternanza al potere è più democratica e l’elettore sa che se vincono i repubblicani le tasse per chi lavora sono maggiori anche le difficoltà a vivere senza lavoro a scrocco di chi lavora e paga tutte le tasse, in Usa l’evasione è reato penale. Un console statunitense in Romania, a lezione in una sez. di lingua inglese, del liceo straniero dove insegnavo nel 2005, spiegò la Democrazia statunitense. Disse che da loro si lasciava governare il popolo ma la politica scieglieva un’oligarchia di persone, spesso dell’ambiente finanziario, che dimostrasse più affidabilità e capacità di saper governare.

Sembrava che ammonisse, i popoli residenti nell’ Unione Europea, che scelgono quasi a caso senza regole certe e così facendo si trovano spesso più di qualche inesperto al lavoro, alla responsabilità ed anche semianalfabeta e ciò vale per tutti partiti indipendentemente dall’essere di centrodestra o centrosinistra. Gli Usa vanno al voto e gli europei, forti della loro più antica (Pericle ad Atene) democrazia credono di dare lezione allo zio Tom d’America? Forse dovremmo imparare non poco da loro che sono nostri figli cresciuti meglio di noi con meno poveri reali e più garanti di principi democratici, che lo dimostrarono quasi tre quarti di secolo fa fermando non solo il nazifascismo, ma anche e il comunismo in U.E., che, ironia della sorte, sembrava quasi quello della Grande Russia zarista precedente al 1917! Oggi chi fermerà il monopartito cinese, non i cinesi che sono brava gente, ma non ai loro capi dispotici verso il loro stesso popolo, ad Hong Cong la mano repressiva centrale della dittatura è impietosa. Forse il papa, con il suo potere carismatico, che tanto piace ai poveri e ai poco scolarizzati, fa un diplomatico accordo segreto? Egli però forse ignora (volutamente?) che sta dando mani e i piedi ad una dittatura da monopartito ben lontana dalle democrazie occidentali? I Paesi che hanno sperimentato l’egalitarismo dogmatico preferiscono, anche dopo la caduta del muro di Berlino, il 1989, il monopartito che governa. Nelle democrazie occidentali, si preferisce il pluripartito che veicola più opinioni ed interessi che si esprimono al governo e non è poca la differenza in democrazia!

 

 

 

Giuseppe Pace.

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