Napoli, 10 Marzo – Degli scienziati del e nel Sannio molti sono stati formati dall’Università Federico II di Napoli e quasi cresciuti nell’ambiente sociale cosmopolita esistente all’ombra del Vesuvio prtenopeo. Nel 1994 la CCIAA di Campobasso mi inviò un invito a Padova per tenere due relazioni pubbliche nel capoluogo regionale molisano. Una sui “punti di attrazione turistica del Matese” e l’altra sulla “Valutazione d’Impatto Ambientale della Galleria del Matese tra Molise e Campania e tra alto Biferno e Medio Volturno”. Nel primo invito avevano scritto “noto matesologo”. Mi fece sorridere tale appellativo, poi pensai che, tutto sommato, me lo meritavo perché da tempo dedicavo attenzione al Matese nativo nonostante fossi emigrato a Padova dal 1976 per insegnare “Scienze naturali, chimica e geografia” nei licei e tecnici del Veneto e poi anche all’estero Romania, Argentina, Germania, USA, Turchia ed Egitto. Avevo già scritto su “Molise Economico” vari articoli e forse da quelli avevano dedotto l’appellativo, matesologo, da appiopparmi. Dei miei non pochi saggi e articoli su vari media, ultimante del tipo online, ho spesso scritto del Matese ed aree contermini molisane e campane. Anni fa l’amico e colto Pietro Mario Pettograsso, nativo di Sant’Elena S. e residente a Bojano, mi diede da leggere “Scienziati molisani”.
Là, appresi che nel Molise non erano né pochi né irrilevanti i cultori di scienza e gli studi svolti. Nel secolo dei lumi, il Matese ha ospitato due illustri uomini di scienza: il Naturalista francese Joseph Pitton de Tournefort e il Naturalista e Geologo svedese, Scipione di Breislak.
Il primo fu ospite dei nobili di Campochiaro, i fratelli Colonna, già colti di paleontologia e botanica. Ai suoi amici Tournefort dedicò una scoperta botanica: la specie Veronica campiclarensis, una Scrufolariacea. Il secondo fu ospite, invece, della corte dei Borboni di Napoli, che praticavano il mecenatismo ed amavano, come tutti i sovrani europei, circondarsi di uomini colti di ogni dove. Breislak scrisse il primo libro di Geografia fisica della Campania ed esaminò anche i fossili di Pietraroja, da cui poi il nome della specie di dinosauro Scipionix samniticus, Celurosauro, detto “Ciro” e non Nicola perché il cronista era napoletano dov’è diffuso il nome Ciro. Dopo la scoprta in Etiopia del fossile di 3,2 milioni di anni, detto volgarmente ”Nonna Lucy” o Australopitecus afarensis. Da allora si è diffusa la moda di semplificare la scoperta paleontologica con un nomignolo, Lucy, per la maggiore diffusione delle scoperte scientifiche. Lucy era una canzone dei Beetols che ascoltavano i Paleontologi del triangolo dell’Afar in Etiopia quando hanno rinvenuto il fossile progenitore dell’Homo erectus e dunque del successivo Homo sapiens a cui noi apparteniamo come sottospecie Homo sapiens sapiens.
Sul versante molisano del Matese gli uomini di scenza sembrano essere in numero maggiore in tutti i secoli, forse è vera l’opinione diffusa che i molisani sono più portati per lo studio della matematica o in genere per le displine scientifiche. Se così fosse si dovrebbe sostenere, per analogia e per confine con il Matese, l’ipotesi o luogo comune che i campani sono più portati per le displine umanistiche? Perché no, forse da Caiazzo a Termoli gli studiosi delle scienze sono non pochi percentualmente. A Venafro sempre nel 1700 vi fu un medico e geologo, Nicola Pilla che descrisse, per primo, la geologia della cima di monte Miletto di 2050metri di quota. Egli riconobbe tre tipi concentrici di rocce che descrisse minuziosamente. Fu anche un abile cacciatore e conduceva i re di Napoli a caccia a Torcino, frazone di Ciorlano (CE). A Cusano Mutri (BN) nacque nel 1775 Giuseppe Cassella, valente astronomo e matematico.
Studiò presso il seminario diocesano di Cerreto Sannita (BN), dedicandosi sia alle discipline umanistiche che scientifiche come la matematica. A Napoli, dove si trasferì per studiare all’Università, Casella riuscì ad ascoltare le lezioni del celebre professore di astronomia Felice Sabatelli, grazie al quale riuscì ad avere una formazione più completa e ad iniziare a farsi un nome nel campo dell’astronomia. Successivamente Cassella decise di andare a Londra da dove organizzò di viaggiare per le principali città italiane che non aveva mai visitato. Andò prima a Venezia, poi passò per Padova, dove all’Università patavina gli fu offerta la cattedra di Matematica che due secoli prima fu di Galileo Galilei. Il governo di Napoli nel 1786 lo invitò a fare ritorno in patria in cambio di generose promesse. Casella, conteso tra le due città, decise alla fine di tornare in patria. Fu accolto di nuovo a Napoli dove ricevette la cattedra di Astronomia nel Real Collegio della Marina, quella di Meccanica nel Real Collegio di Artiglieria, e venne nominato pubblico professore di Astronomia nella Regia Università degli Studi. Nel 1791 il ministro Acton diede a Casella un’ala della Reale biblioteca Borbonica (oggi Museo Archeologico Nazionale di Napoli) per allestire un osservatorio astronomico. Casella vi fece costruire una specola e realizzò sul pavimento della biblioteca una meridiana (dalla quale prende ancora oggi il nome Meridiana del Museo suddetto).
La meridiana, lunga oltre 27 metri, è formata da una linea di ottone ai lati della quale sono dipinti in medaglioni di forma ellittica i dodici segni della zodiaco. A mezzogiorno la luce del Sole penetra da un foro situato in un angolo del soffitto ed illumina la meridiana in altezze diverse a seconda delle stagioni. Successivamente Casella chiese al governo di spostare l’osservatorio nel più rispondente Belvedere del soppresso monastero di S. Gaudioso, situato sulla collina di Sant’Agnello di fronte al Real Museo. Così il 29 gennaio del 1807 il governo approvò la proposta. Durante il periodo napoleonico Casella cercò di tutelare la sua cattedra in astronomia inviando un promemoria al ministro Miot. Tuttavia il nuovo governo, apparentemente per motivi politici e non per meriti, decise di assegnare la cattedra ad uno degli esiliati del 1799: Ferdinando Messia de Prado. Ammalatosi di idropisia polmonare proprio durante le osservazioni astronomiche notturne, Casella morì a Napoli l’8 febbraio 1808 all’età di 51 anni. Le opere dello studioso, matesino di Cusano M., Cassella sono: Saggio di un tentativo per risolvere l’equazione di tutti i gradi, 1788; Dei principali movimenti e fenomeni dei corpi celesti, 1788; Efemeridi astronomiche…calcolate al meridiano di Napoli per comodo e vantaggio degli studiosi dell’astronomia e della navigazione, 1790-1796; Occultazione di stelle per la luna osservata a Napoli, 1799; Metodo per trovare le radici numeriche di ogni equazione, 1804; Lettera sull’eclissi del d’ 11 febbraio di Giuseppe Cassella ad Antonio Cagnole, 1804; trovarsi un metodo sicuro, onde determinare le longitudini in mare, 1807 e Storia de’fenomeni del terremoto de’26 luglio 1805 nella Provincia di Molise, inedito. Un altro cultore di studi scientifici, nato a Faicchio (BN) nel 1807 è Luigi Palmieri, che è stato stimato e valorizzato dal collega ed amico nonché studioso di matematica e fisica Michele Giugliano, nativo di Caiazzo e autore di vari saggi tra cui “Fisica e Vesuvio nell’Ottocento npoletano, Storia della Fisica da Galileo a Einstein, In formatica e linguaggio Pasca nonché articoli sugli Annuari dell’ASMV (Associazione Storica Medio Volturno) suL.Palmieri Geofisico, l’Osservatorio di Monte Muto e a L. Palmieri, ha promosso una statua in suo onore a nord del noto castello ducale locale di Faicchio. Luigi Palmieri fu un Fisico, senatore del regno d’Italia della XIII legislatura. Studio al seminario di Caiazzo e si laureò in Fsica nel 1825 all’Università di Napoli. Nel 1845 divenne professore di fisica alla Scuola Navale del Regno a Napoli, quindi assistente di metafisica e in seguito successore del prof. Galluppi alla cattedra di fisica presso l’università Federico II. Divenne direttore dell’Osservatorio vesuviano nel 1854. Nel 1860 passò alla cattedra di Fisica meteorologica e terrestre. Fu membro dell’Accademia delle Scienze di Napoli dal 1861 e dei Lincei a partire dal 1871. Osservò da vicino tutte le eruzioni del vulcano; rischiò di perdere la vita in occasione di quella del 1872. In Fisica Palmieri si occupò delle correnti indotte dal campo magnetico terrestre e progettò l’”Apparecchio d’induzione tellurica” con il quale poteva verificare l’effetto fisico, chimico delle correnti indotte. Noti sono anche i suoi studi sul potenziale elettrico che spaziarono dalla natura dell’elettricità alla tensione elettrica e al potenziale elettrico; le sue ricerche sull’elettricità atmosferica lo portarono alla scoperta di una legge sull’elettricità nel corso delle piogge. Negli ultimi anni si impegnò nello studio delle correnti telluriche.Palmieri si distinse per il grande numero di apparecchi elettrici realizzati nel corso della sua vita, tra i quali vanno ricordati l’Apparecchio d’induzione per uso scolastico e medico, il telegrafo elettromagnetico il telegrafo elettromagnetico, l’elettro e l’Anemografo. Palmieri nel 1882 fu il primo a rilevatre la presenza dell’elemnto chimico Elio sulla Terra (scoperto nel sole, da cui prende il nome, e sconosciuto fino ad allora sulla Terra), attraverso la linea spettrale D3, mentre analizzava ila lava del Vesuvio. Di sismologia e vulcanologia si interessò molto e per oltre 4 decenni di Vesuvio e dei terremoti di Casamicciola del 188 nonché di Ischia del 1883. I suoi studi filosofici lo portarono a risolvere un modello filosofico originale, che rappresentava la sintesi delle correnti filosofiche da cui era partito, lo psicologismo, l’idelogismo e l’ontologismo. Si occupò pure di problemi pedagogici, cosmologici e religiosi. Porta il suo nome un cratere da impatto lunare di 40 km di diametro. Di Caiazzo spicca Nicola Covelli ivi nato nel 1790 e ricordato dal caiatino e quasi nipote Stefano De Simone, che ha pubblicato “Gente De Simone nei secoli”. Covelli studiò a Napoli, prima Medicina e poi Chimica e Botanica, verso cui si sentiva maggiormente attratto. Nel 1812, avuto un “bravo di studi ” (borsa di studio), fu inviato dal Governo a Parigi, per farlo perfezionare in Medicina comparativa, Naturalistica ed Economia rurale.Tornato a Napoli, nel 1815, ebbe la cattedra di Chimica e Botanica nella R. Scuola Veterinaria. Ma, nel 1821, fu esonerato dall’incarico perché aveva partecipato alla rivolta carbonara. Allora aprì e diresse una farmacia a Napoli. Fu professore di Botanica e Chimica a Napoli e si dedicò per lo più a ricerche sulla composizione delle lave del Vesuvio scoprendo composti e minerali sconosciuti. In suo onore è stato denominato il minerale covellitee: minerale esagonale, solfuro di rame, di color azzurro indaco, iridescente, con lucentezza submetallica o resinosa, uno dei minerali più importanti per l’estrazione del rame; in Italia.
Covelli, in una sua Memoria del 23 Giugno 1826, scrive: Dall’epoca del 1822, il Vesuvio è restato in quella calma perfetta che suole ordinariamente seguire le grandi eruzioni. Ma in questo silenzio le parti esterne del vulcano non stettero nell’inerzia. La superficie interna del cratere, il pendio orientale ed il pendio occidentale del cono presentano agli occhi dell’osservatore un grande lavoratorio, dove le sostanze vulcaniche esercitano scambievolmente la loro affinità sotto l’influenza di una temperatura più o meno elevata; e siccome questa si abbassa gradatamente in ciascun anno, veggonsi nella stessa proporzione diminuire i fenomeni chimici; e fra poco altro tempo se questa tranquillità non verrà disturbata, non vi saranno altri segni vulcanici nel Vesuvio, che la forma del suo cono, le sue lave e le sue scorie. A Piedimonte Matese vi sono stati e vi sono ancora molti Medici ed Agronomi, ma tra i viventi, spicca il Matematico della Normale di Pisa, Luigi Pepe, attualmente prof. dell’Università di Ferrara con molte pubblicazioni alcune in francese, ben curate nel sito della sua cittadina natale, dal cugino Angelo Pep, mio compagno di classe nel 1963/65.
L’ho ascoltato all’Università di Padova parlare del suo collega del passato Poleni, che egli defini un barone di nome e di fatto. Ma torniamo a Campochiaro, a Tournefort e ai fratelli Colonna. Il primo ottobre 2018 pubblicai un articolo di Ecologia Umana, mia specialità universitaria patavina, su “Caserta 24 ore. Il Mezzogiorno Quotidiano di Terra di Lavoro”: ”Campochiaro (CB) Ecologia Umana con la Veronica campiclarensis del naturalista Tournefort”. In tale articolo sostenni che a Campochiaro fu ospite dei noti, locali e nobili baronali fratelli , Fabio e Giovanni Colonna, il più che famoso Naturalista francese Joseph Pitton de Tournefort, valente Botanico nato ad Aix-en-Provence nel 1656 e morto a Parigi nel 1708. T. ha creato un sistema di classificazione delle piante basato sui caratteri della corolla. Il padre lo avviò alla carriera ecclesiastica che egli abbandonò alla morte di lui per dedicarsi agli studî botanici, riunendo il grande erbario che è conservato al museo di Parigi. Viaggiò la Spagna, l’Inghilterra, l’Olanda e più tardi fu incaricato da Luigi XIV di fare un viaggio d’esplorazione in Levante e in Africa. Il Tournefort ha creato una classificazione botanica, la quale, per quanto artificiale perché basata esclusivamente sulla forma della corolla, ha reso notevoli servigi alla scienza. Linneo gli dedicò un genere di Borraginacee (Tournefortia). Nel 1600 iniziava la rivoluzione industriale con un più rapido sviluppo delle conoscenze anche naturalistiche che comportava, di conseguenza, la necessità di dare un nome ed ordinare ciò che era noto. Come diceva Linneo, «Se non conosci il nome, muore anche la conoscenza delle cose». I tentativi tra il 1500 e il secolo successivo che precedette quello dei lumi, il 1700, le classificazione di piante e animali, trovano successivamente una base scientifica nelle opere critiche dello stesso periodo che aprono la strada alle classificazioni moderne, come è dimostrato dagli importanti testi del Tournefort. In queste opere Tournefort espone il suo sistema di classificazione delle piante, il più diffuso prima di quello di Linneo. Proprio come quest’ultimo, si tratta di un sistema artificiale, che non pretende di ricostruire l’ordine naturale del mondo vegetale (cui mirava il contemporaneo John Ray, che del sistema di Tournefort fu uno dei maggiori critici) ma di offrire un metodo “chiaro e distinto” per riconoscere e classificare le piante. Assumendo come criterio di classificazione principalmente la struttura della corolla e del frutto, il botanico provenzale descrive più di 10000 piante, raggruppandole in 22 “classi” e in 698 generi. Proprio la precisa definizione di genere (un concetto non nuovo, ma fino ad allora mai utilizzato in modo così chiaro e sistematico) è il maggiore merito di un sistema che, comunque, per la sua chiarezza e semplicità ottenne grande successo, imponendosi anche in altri paesi. Nello stesso 1694, Tournefort che ormai è il vero direttore scientifico del Jardin des plantes (Fagon, ormai divenuto primo medico del re e intendente, gli lascia mano libera), fa ripiantare le parcelle didattiche dell’orto in base al proprio sistema (che continuerà ad essere usato al Jardin des plantes fino al 1773, ovvero ancora vent’anni dopo l’uscita di Species plantarum di Linneo). Ormai il destino dell’irrequieto botanico viaggiatore sembrerebbe quello di un tranquillo accademico: ma nel 1700, su proposta di Pontchartrain, riceve l’ordine del re di partire per il Levante. Ha 44 anni, una solida posizione accademica, ma come potrebbe rifiutare un ordine del re, tanto più che risponde ai suoi più profondi desideri? E così si rimette in viaggio. Ma questa è una storia così bella che merita un post tutto per sé. Dopo 2 anni avventurosi, Tournefort è di nuovo a casa, con un immenso bottino. Pubblica un supplemento agli Elements aggiungendo le specie raccolte in Levante (una conferma del suo sistema, perché le nuove specie vanno tutte a inserirsi nei generi già determinati). Nel 1706 ottiene la cattedra di medicina e botanica al Collège royal; intanto attende alla revisione del resoconto del viaggio in Levante (uno dei libri di viaggio più belli e tuttora appassionanti del secolo). Ma a breve distanza dei Jardin des plantes, viene urtato violentemente da un carretto che lo schiaccia contro un muro; perde moltissimo sangue e, dopo qualche mese di sofferenza, muore a 52 anni.
Per il Matese alto e il Molise matesino si ricorda il Naturalista, Beniamino Caso, di San Gregorio Matese e con mamma di Baranello, primo Vicepresidente del Cai a Torino e autore di una nuova classificazione botanica sulla flora segusina di G. Francesco Re riprodotta nel metodo naturale di De Candolle. Torino, A. Baglione, 1881 (64829, Commento alla Flora Segusina di G. Francesco Re. Torino, A. Baglione, 1881 (3441 A) e Una salita invernale al Monte Miletto. Piedimonte d’Alife, S. Bastone, 1882 (1989 B). Meno montanaro e più molisano si ricorda Giuseppe Volpe, di Vichiaturo morto a Sepino, che insegnò Storia naturale al liceo Sannitico di Campobasso e scrisse “Memoria sulla nascita del Matese”. Nel mio saggio “Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio” scrivo ampiamente di G. Volpe ed altri studiosi metesini.
Fu anche deputato al Parlamento Italiano di fine 1800, come l’altro matesino, B. Caso. In precedenza, nel 1700, il Medico e Geologo Nicola Pilla aveva scritto sulle rocce della cima di monte Miletto. A Campochiaro uno dei due baroni Colonna si era interessato di fossili e di botanica ed era ammirato da Tournefort perciò questi dalla Francia andò in visita a Campochiaro, dove esaminò le piante autoctone e scopri la Veronica campiclarensis, che dedicò al paesetto matesino e molisano. Nel secolo dei lumi, il XVIII, comparirà un altro grande tra i Naturalisti, lo svedese Carlo Linneo (1707-1778), il quale darà il via alla moderna tassonomia (o classificazione binomiale con l’uomo della specie Homo sapiens (per la prima volta l’uomo viene messo in un libro di zoologia sia pure all’apice di una scala nonostante Linneo era un fissista o creazionista: ”tante sono le specie quante il divino ente ne ha create”), con l’elaborazione di un sistema della natura organicamente strutturato in categorie tassonomiche coerenti. Sulla scia dei naturalisti francesi sostanzialmente contrari alla teoria linneana, troviamo anche pubblicazioni, come ad esempio Storia naturale delle scimmie di Huges (1815), che da un lato avanzano coraggiose ipotesi di continuità tra la scimmia e l’uomo ma dall’altro si attardano su modelli scientifici ormai superati. In ogni caso, tanta riflessione teorica accompagna il progressivo ampliarsi degli orizzonti geografici conosciuti e, anzi, è stimolata dal moltiplicarsi di nuovi reperti naturalistici da studiare e classificare, un fenomeno che diventa quasi una moda nel corso dell’Ottocento.
Gli scienziati partecipano a viaggi ed esplorazioni di cui riferiscono più o meno minuziosamente l’esperienza e i risultati scientifici in opere di grande respiro, in cui rappresentano le specie botaniche e zoologiche individuate; esemplare il lavoro Historie naturelle des Iles Canaries di Webb (1836-1850). Queste opere non intendono più rappresentare l’universo naturale nelle sue varie espressioni ma acquistano una dimensione sempre più specialistica e critica. Parallelamente, anche a livello locale, si accende un’attenzione specifica per lo studio di particolari aree del territorio, si censiscono le specie che le abitano e si assiste alla pubblicazione di dettagliati repertori ed iconografie che le descrivono, come l’iconografia dell’avifauna italica di Giglioli (1879-1906). In questo contesto culturale si inserisce anche l’opera di Tournefort, il più importante botanico francese del Seicento! Seminarista scavezzacollo che scala muri per “rubare” piante; viaggiatore intrepido che sfida gli elementi, i briganti, fatiche di ogni genere, percorrendo le strade della Francia, della penisola iberica e le rotte del Levante; a soli 27 anni, professore carismatico di botanica al Jardin des plantes, forse il primo botanico professionista della storia; teorico e creatore del più diffuso sistema tassonomico prelinneano; autore rinomato per la chiarezza delle sue descrizioni, che impose definitivamente il concetto di genere; vittima di un incidente tragico che anticipa la sorte di Pierre Curie. E, ovviamente, dedicatario del linneano genere Tournefortiano. Basta osservare i ritratti di Joseph Pitton de Tournefort per capire che ci troviamo di fronte a uno spirito anticonformista. In un’epoca in cui Luigi XIV aveva imposto a cortigiani e funzionari pompose parrucche e abolito barba e baffi, ostenta corti capelli ricciuti, baffi e una barba che, in alcune versioni che lo ritraggono al ritorno del viaggio in Levante, si allunga a ventaglio fino a metà petto. Non aveva paura di sfidare le convenzioni, come non aveva esitato a affrontare la verga paterna, i banditi dei Pirenei o i disagi di un viaggio dal porto di Marsiglia alle pendici dell’Ararat. Come cadetto di una famiglia della nobiltà di toga di scarse fortune, il padre lo aveva destina al sacerdozio. Alle lezioni di latino e teologia impartite nel seminario dei gesuiti di Aix, sua città natale, Joseph preferisce di gran lunga la botanica, cui è stato iniziato dal farmacista Jacques Daumas. Nel 1676, la morte del padre lo libera da una carriera ecclesiastica senza vocazione. Ma prima di iniziare studi seri, per festeggiare la liberazione, parte con Garidel per la prima delle sue lunghe scorribande botaniche. Sul loro cammino incontrano un altro appassionato, il frate minimo Charles Plumier, che diverrà ben presto il loro mentore e li accompagnerà nelle montagne del Delfinato e in Savoia. Intanto Tournefort progetta la stesura di una Histoire naturelles des plantes, catalogo monumentale di tutte le specie conosciute. Per incoraggiarlo in questo intento, il cancelliere Pontchartrain e suo nipote, l’abate Bignon, ne favoriscono la nomina all’Accademia. Tournefort dunque nel XVII sec. fu ospite dei fratelli Giovanni – Barone di Campochiaro – e Fabio Colonna, studioso anche di Botanica. A Campochiaro Tournefort omaggiò il nobile amico Giovanni Colonna, dedicando al paesetto una piccola pianta erbacea, la Veronica campiclarensis. Campochiaro meriterebbe un giardino botanico per ricordare le sue peculiarità naturalistiche e i suoi residenti più illustri come i Colonna e i loro ospiti come il Tournofert”. L’attuale Sindaco di Capochiaro, Simona Valente sa ben rappresentare il paesetto che guida perché si è candidato, in qualità di capofila, con il progetto denominato “Giulio Pittarelli, il genio molisano della matematica”. Ma chi era quest’altro figlio del Matese da ricordare nel vaso della memoria ”ancella dell’eternita”, mi ricordava spesso uno studioso di Caiazzo morto nel 2009. Giulio Pittarelli nasce il 3 febbraio 1852 a Campochiaro. Sia Giulio che il fratello Emilio, medico illustre, compiranno un corso di studi completo sino alla laurea, cosa non comune a quei tempi. Giulio va quindi a studiare a Campobasso nel rinomato Real Collegio Sannitico, oggi Convitto Nazionale Mario Pagano, che fu la massima istituzione scolastica della Regione per oltre un secolo e dove insegnò nel 1900 il filosofo Giovanni Gentile (1875, il figlio Francesco è stato prof. di mia figlia Paola e preside di Giurisprudenza all’Università di Padova) e nel quale avevano già studiato altri tre famosi matematici: Nicola Trudi (1811), Achille Sannia (1822) ed Enrico D’Ovidio (1843), che con l’allievo Corrado Segrè (1863) fu il fondatore del Politecnico di Torino. Al liceo classico Mario Pagano ha studiato il fior fiore dell’intellighenzia molisana come la mie due colleghe al liceo classico di Chioggia (VE) Angela Anacoreta e al Liceo scientifico di Dolo (VE), Giovanna Farrace, entrambe lauratesi all’Università di Roma con il mio compagno militare di Frosolone, Berardinelli. Pittarelli di Campochiaro Diplomatosi brillantemente nel 1871 va a studiare all’Università di Napoli ”Federico II”, la prima università statale europea (Bologna e Padova non erano del tutto statali sia pure del 1222 un po’ più antiche di Napoli. La storia della facoltà di matematica di Napoli è nel periodo post-unitario molto legata ai docenti molisani. Facoltà d’antiche e gloriose tradizioni, essa era decaduta negli anni della restaurazione borbonica. E furono proprio i molisani Trudi e Sannia, insieme a Battaglini e Del Grosso a rivitalizzare la facoltà nel periodo post-unitario. Pittarelli si laurea, a soli 22 anni e con il massimo dei voti e la lode, in Matematica nel 1874 e due anni dopo in Ingegneria. Trascorrerà un anno presso l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte diretto da Emanuele Fergola (matematico e astronomo, Accademico dei Lincei e Senatore del Regno) che gli fu prodigo di consigli. All’Istituto Tecnico di Chieti insegnò Matematica ed ebbe anche l’incarico di Ingegnere presso il locale Genio Civile. Successivamente si trasferisce all’Istituto tecnico dell’Aquila, dove sposerà Emilia Cardillo da cui avrà 4 figli. Nel 1886 Luigi Cremona (capostipite della scuola italiana di Geometria algebrica che fu maestro di Guido Castelnuovo e Federigo Enriques), lo invita a concorrere per le cattedre di Matematica al Liceo Mamiani di Roma e per quella di Geometria descrittiva all’Università di Roma. Pittarelli vince entrambe le cattedre e, dopo qualche mese al Mamiani, opta per la cattedra universitaria che terrà per oltre 40 anni. Il periodo più prolifico delle opere matematiche di Pittarelli va dal 1874 al 1894 con studi pubblicati nel Giornale di Matematiche di Battaglini, nei Rendiconti della Reale Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli e nei Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei. Giulio Pittarelli viene eletto per acclamazione il 19 febbraio 1911 primo Presidente della Sezione Romana Mathesis. Rimarrà alla guida della Sezione Romana sino alla pensione, facendosi sostituire in alcune occasioni da Guido Castelnuovo. Nel 1918 Pittarelli è Presidente della Commissione esaminatrice degli studenti che partecipano all’esame di ammissione alla Normale di Pisa. Fra gli studenti Enrico Fermi, diplomatosi brillantemente con un anno di anticipo al Liceo Umberto I di Roma, oggi Pilo Albertelli). Il tema che gli era stato assegnato era: “Caratteri distintivi dei suoni e loro cause”. Fermi lo aveva svolto in maniera più che perfetta attraverso l’integrazione dell’equazione differenziale della corda vibrante con lo sviluppo in serie di Fourier e quindi aveva calcolato le autofunzioni e gli auto valori, roba cioè da brillante tesi di laurea. Pittarelli, rompendo una rigida tradizione che vietava ai commissari di incontrare gli studenti prima della fine del concorso, volle immediatamente conoscere quel giovane genio. Gli disse subito che certamente avrebbe vinto uno dei posti perché era impensabile che altri potessero fare meglio di lui ed aggiunse che nella sua lunga carriera di insegnante mai aveva incontrato un allievo così preparato e dotato e che quindi sarebbe certamente andato molto lontano diventando un grande scienziato. Nel 1920 troviamo Pittarelli presidente Nazionale dei Professori Universitari e nello stesso periodo ricopre anche la carica di Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Roma. Il 21 aprile del 1925 viene pubblicato su tutta la stampa italiana il Manifesto degli intellettuali fascisti basato sul testo di una conferenza fatta da Giovanni Gentile. A questo Manifesto aderirono molte personalità fra cui lo stesso Giovanni Gentile, Luigi Pirandello, Ugo Spirito, Curzio Malaparte, Giuseppe Ungaretti, Ildebrando Pizzetti. Pochi giorni dopo, su proposta di Giorgio Amendola, il 1° maggio venne pubblicato sul giornale Il Mondo il Manifesto degli intellettuali antifascisti, fra i firmatari troviamo: Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Piero Calamandrei, Cesare De Lollis, Luigi Einaudi, Eugenio Montale, Matilde Serao ed i matematici Vito Volterra, Beppo Levi, Tullio Levi Civita, Guido Castelnuovo, Alessandro Padoa, Ernesto e Mario Pascal, Francesco Severi e Giulio Pittarelli, ormai prossimo alla pensione. La cattedra di Geometria descrittiva creata da Luigi Cremona proprio per Pittarelli, che la tenne per oltre 40 anni, era considerata di grande prestigio Volterra, per occupare quella cattedra prossima a restare vacante per il pensionamento di Pittarelli, aveva proposto il nome di Leonida Tonelli, socio dell’Accademia dei Lincei, Castelnuovo invece riuscì a farla assegnare ad Enrico Bompiani già suo allievo e di Pittarelli. Poco prima di andare in pensione Giulio Pittarelli ricevette l’incarico dal Rettore dell’Università di Roma, prof. Federico Millosewich, di scrivere la storia dell’insegnamento matematico nell’Università di Roma. in occasione del Primo Congresso Nazionale di Studi romani. Fu questo l’ultimo impegno di Giulio Pittarelli. Non si può concludere questa rievocazione senza parlare di Pittarelli pittore. Fu Luigi Settembrini, estimatore di Pittarelli, che lo presenterà al famoso pittore Domenico Morelli ed al suo allievo Francesco Paolo Michetti, capiscuola del verismo napoletano. Egli, si era messo in contrasto con il Regime avendo firmato il Manifesto Croce, per cui la sua morte avvenuta nel 1934 passò sotto silenzio. Si deve al prof. Carlo Taddei di Bonefro (CB), valentissimo insegnante di matematica, allievo a Napoli di Andreoli e collega di Caccioppoli, la riscoperta di Pittarelli unitamente al prof. Carlo de Lisio autore del libro su Pittarelli. Si deve al molisano prof. Renzo Mazzocco dell’Università di Roma, la commemorazione di Giulio Pittarelli in occasione dell’intestazione a Giulio Pittarelli dell’Istituto Tecnico per Geometri di Campobasso. Nel corso di tale cerimonia, alla presenza delle Autorità civili della Regione, convennero a Campobasso i nipoti e pronipoti di Giulio Pittarelli, oggi residenti negli Stati Uniti. E anche Roma si è ricordata di Giulio Pittarelli intestandogli una via, nella zona dei grandi matematici, con delibera comunale n. 543 del 4 ottobre 2006. Per la promozione culturale e turistica del Molise nasce un apposito progetto e bando regionale al quale il Comune di Campochiaro ha risposto per il sostegno della cultura regionale, denominato “Turismo è Cultura 2020”. Il Comune in questo progetto in cui è capofila, si avvale del partenariato dell’Unione dei Comuni delle sorgenti del Biferno e dell’Associazione Campochiarese del Quebec (Canada). L’idea progettuale prevede una serie di attività quali la produzione cinematografica ed eventi volti alla promozione della figura di personaggi molisani che si sono distinti in ambito scientifico ed accademico. Campochiaro ha molti emigrati e alla presentazione del libro su di loro e sul paesertto di don Angelo Spina di Colle d’Anchise (oggi Arcivescovo ad Ancona) ho partecipato in compagnia dello studioso Michele Campanella di Bojano, che mi condusse anche a visitare lo splendido giacimento archeologico locale dedicato ad Ercole, che rividi tre anni fa con amici bojanesi come A. G. Del Pinto ed altri del Club Ragno che mi ha voluto come Socio Onorario. Ricordo che dal palco un emigrato mi scambio per un suo paesano e venne ad abbracciarmi, lo sentii come se fosse un fratello del Matese natio. Del Molise si ricordano: il fisico nucleare Enzo Iarocci (nativo di Bonefro), per molti anni presidente del Cern di Ginevra e dell’ Infn italiano, e il biologo Paolo Pizzolongo (di Larino), ai quali la presidenza della Repubblica ha conferito una Medaglia come “benemeriti della cultura e della scienza”. Ma sulla rivista trovano spazio anche le bibliografie di due premi internazionali dell’ Accademia Italiana dei Lincei per le ricerche svolte: nel 2006 Libero Palladino (di Campobasso) per il prototipo europeo del “microscopio laser a raggi X a scarica capillare” e nel 2007 Mauro Marinelli (di Petrella Tifernina) per il brevetto del “Mid” o biosuscettometro, unico strumento esistente al mondo (all’ Ospedale “Galliera” di Genova), per la misura non invasiva dell’ eccesso di ferro nel fegato. Spazio anche a Michele Carbone (di Montagano), attualmente direttore del Centro per le Ricerche sul Cancro di Honululu (con 400 dipendenti) e console italiano alle Isole Hawaii, massimo esponente mondiale per le ricerche sul mesotelioma, tumore della pleura, del pericardio e del peritoneo, alle cui ricerche negli Usa il “National Cancer Institute” ha concesso 10 milioni di dollari. E ancora: il direttore di Immunopatologia e professore di Immunofarmacologia presso l’ Università del South Australia e professore di pediatria all’ Università di Adelaide, Antonio Ferrante (di Castellino del Biferno), premiato per le ricerche sulle immunopatologie infantili; il preside della facoltà di Ingegneria dell’ Università di Pisa Emilio Vitale (di Campobasso) noto per le ricerche, le pubblicazioni e i brevetti nel campo dei motori ibridi per autoveicoli e Salvatore Tucci (di Campobasso), direttore per sette anni dell’ Ufficio “Informatica e telematica” della Presidenza del Consiglio, insignito di vari riconoscimenti e premi e docente di Informatica all’ Università di Roma Tor Vergata. Dunque omaggio non solo scienziati molisani Leopoldo Pilla, Enrico D’Ovidio, Antonio Cardarelli, Giuseppe Altobello, Giovanni Boccardi, Ugo Tiberio, ecc., ma a tutti quelli che nacquero o vissero nel territorio vasto della Regione storica del Sannio, ce nel mio saggio”Piedimonte M. e Letino tra Campania e Sannio” propongo di ricostituire come Regione amministrativa e chissà se in futuro verrà istituita!
Giuseppe Pace. (Naturalista dell’Università Federico II di Napoli)
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