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Il vuoto che uccide, quando il male nasce dal nulla: un’analisi delle recenti tragedie di cronaca

Napoli, 3 Settembre – Il male, in molte sue forme, ha sempre trovato terreno fertile nelle pieghe dell’oscurità, laddove la ragione fatica a scorgere un senso, un movente. Tuttavia, vi sono eventi che sconvolgono ancor di più per la loro apparente assenza di logica, per l’assenza di un motivo comprensibile, di una spiegazione razionale che possa in qualche modo aiutarci a prevenirli o a comprenderli. È questo il filo rosso che collega due recenti fatti di cronaca, distinti ma paradossalmente legati: l’omicidio della giovane Sharon Verzeni e la strage familiare avvenuta a Paderno Dugnano, nel milanese.

Nel primo caso, un uomo di trent’anni, disoccupato e privo di qualsiasi legame con la vittima, ha compiuto un gesto omicida che, per sua stessa ammissione, non ha movente. Il suo atto si presenta come una sorta di esecuzione fredda, priva di collera o passione, un compito assurdo privo di qualunque ragione d’essere. Un omicidio che si radica in un vuoto di significato, in un nulla da cui emerge il male senza una causa apparente. L’assassino, durante l’udienza di convalida del fermo, ha dichiarato di non sapere perché ha ucciso Sharon; il suo gesto sembra essersi materializzato senza preavviso, come una manifestazione crudele e ingiustificata del nulla.

Diverso, ma altrettanto inquietante, è il caso della strage familiare di Paderno Dugnano. Qui, un ragazzo di diciassette anni, descritto da tutti come il classico “bravo ragazzo”, ha accoltellato nel sonno il fratello minore, il padre e la madre, in una sequenza di violenza che lascia senza parole. La strage è avvenuta dopo una serata di festa, celebrata in occasione del compleanno del padre. L’orrore di questo gesto risiede nella sua inaspettata esplosione, nella sua radicalità improvvisa, un male che sembra originato da un malessere interiore privo di forme e radici precise. Il pubblico ministero ha dichiarato che il giovane ha agito senza un movente tecnicamente valido dal punto di vista giudiziario, parlando solo di un vago “malessere” e di un pensiero omicida non direttamente collegato alla famiglia. Un male che, come nel caso di Sharon Verzeni, si origina da un nulla insondabile, un buio interiore che esplode in violenza senza preavviso.

Questi episodi sollevano una questione inquietante: il male che nasce dal nulla, da un vuoto che non siamo più in grado di gestire o di riempire con gli strumenti sociali disponibili. Non si tratta solo di stigmatizzare o di evitare la spettacolarizzazione dei fatti di cronaca, che pure è un dovere per rispetto delle vittime e dei loro cari. Si tratta di affrontare una delle più gravi carenze del nostro tempo: l’incapacità di individuare, prevenire e comprendere le radici di un male che emerge apparentemente senza motivo, colpendo all’improvviso e lasciando dietro di sé solo orrore e sconcerto.

Questo male, che potrebbe essere l’esternazione di un disagio profondo e silenzioso, appare come una manifestazione del “nulla” di cui parlano i protagonisti di queste vicende. Un nulla che non possiamo affrontare con le sole sanzioni giuridiche, poiché queste arrivano sempre troppo tardi, quando il male si è già compiuto. Di fronte a esso, siamo letteralmente disarmati, e l’urgenza di trovare nuove risposte diventa sempre più impellente.

In conclusione, queste tragiche vicende ci impongono una riflessione profonda: non possiamo più permetterci di ignorare i segnali di disagio, anche quelli più sfumati e difficili da interpretare. La società, nelle sue varie articolazioni, deve interrogarsi su come affrontare un male che non nasce da cause evidenti, ma si sviluppa nel vuoto di significato, alimentato da un malessere che sfugge alle categorie tradizionali di interpretazione. Solo così potremo sperare di prevenire altre tragedie, evitando che il nulla da cui emerge il male continui a mietere vittime innocenti.

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