Napoli, 4 Gennaio – Questo nuovo articolo sul problema Xylella fastidiosa (X. f.) nel Salento ed altrove, mi viene suscitato dal recente consiglio datomi dal vicentino, dott. in Medicina Veterinaria M. Zaccaria, di leggere il saggio “Le Radici Naziste dell’Unione Europea” scritto da Paul Anthony Taylor, Aleksandra Niedzwiecki, Matthias Rath e August Kowalczyk e disponibile a tutti, gratis, in pdf, sul sistema digitale. A Padova c’è un Orto Botanico eccezionale che favorisce la continua evoluzione del sapere botanico. La biodiversità che tale Orto conserva, permette di aggiornare il sapere botanico, fa vedere ai tanti turisti e scolaresche, ma che studia e fa studiare anche a schiere di studenti della locale Università. Anche l’Arca delle farfalle nonché il locale e provinciale museo patavino Esapolis, diretto dal Naturalista Enzo Moretto, sono altri punti d’aggiornamento di saperi biologici.
La lettura del citato saggio, sia pure per sommi capi, mi appare foriera di allarmismo, ma anche di preoccupazione per l’indicazione che mancano, nell’Unione Europea, i tre poteri equilibrati delle moderne democrazie e che alcuni nomi al potere potrebbero essere legati a gruppi finanziari mondiali tra cui i fitofarmaci. Da più di due anni la Magistratura a Lecce sta indagando sulla eventuale truffa pugliese degli olivi malati da X.f.. Se risultasse vero c’è poco da stare allegri per le catene truffaldine che minano come una sorta di cancro la società civile pugliese ed oltre. Già altri miei articoli, pubblicati da un media casertano, hanno tentato di far luce sul fenomeno Xylella che dà morte o Xylella che non c’entra in Puglia ed altrove? Da due anni c’è stata la svolta nell’inchiesta della Procura di Lecce sulla diffusione del batterio X. f.. Emergono notizie del recente passato raccapriccianti sui possibili intrecci di fitofarmaci di multinazionali note e sperimentazione di combattere l’essiccamento degli ulivi, che il batterio, X. f., potrebbe causare. Sono dieci i nomi che sono stati iscritti sul registro degli indagati. Tra loro, oltre a funzionari della Regione Puglia, ricercatori del Cnr e dello Iam e componenti del Servizio Fitosanitario centrale, c’è anche Giuseppe Silletti, comandante regionale del Corpo Forestale, nelle vesti di commissario straordinario per l’emergenza fitosanitaria. Rispondono dei reati di diffusione colposa di una malattia delle piante, inquinamento ambientale colposo, falsità materiale e ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, getto pericoloso di cose, distruzione o deturpamento di bellezze naturali.
I nomi sono riportati nel decreto con cui le pm Elsa Valeria Mignone e Roberta Licci dispongono il sequestro preventivo d’urgenza di tutte le piante di ulivo interessate dalle operazioni di rimozione immediata come previsto dal Piano Silletti e individuate nell’ordinanza del commissario del 10 dicembre scorso. Sotto chiave sono finiti anche tutti gli ulivi interessati dalla richiesta di rimozione volontaria “sulla base del verbale dell’Ispettore fitosanitario, in cui si rileva la presenza di sintomi ascrivibili a Xylella fastidiosa”, in esecuzione alle previsioni della nota di Silletti del 3 novembre scorso. Inoltre, sono sequestrate tutte le piante di olivo già destinatarie dei provvedimenti di ingiunzione e prescrizione di estirpazione di piante infette emessi dall’Osservatorio fitosanitario regionale. Su quei terreni, ad ogni modo, si consente qualunque intervento colturale che non sia il taglio degli alberi al colletto del tronco o la loro eradicazione. Il decreto è stato notificato a Silletti nel pomeriggio del 18 dicembre dagli agenti del Nucleo ispettivo del Corpo Forestale dello Stato. Gli altri indagati sono l’ex e l’attuale dirigente dell’Osservatorio fitosanitario regionale, Antonio Guario e Silvio Schito; Giuseppe D’Onghia, dirigente del Servizio Agricoltura Area politiche per lo sviluppo rurale della Regione Puglia; Giuseppe Blasi, capo dipartimento delle Politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del Servizio fitosanitario centrale; Vito Nicola Savino, docente dell’Università di Bari e direttore del Centro di ricerca Basile Caramia di Locorotondo; Franco Nigro, docente di Patologia vegetale presso Università di Bari; Donato Boscia, responsabile della sede operativa dell’Istituto per la protezione sostenibile delle Piante del Cnr; Maria Saponari, ricercatrice presso lo stesso istituto del Cnr; Franco Valentini, ricercatore presso lo Iam di Valenzano. Nelle 58 pagine di decreto, viene ripercorsa l’intera vicenda, a partire dalla prima segnalazione dei sintomi di disseccamento degli ulivi, già dal 2004-2006 e poi nel 2008. All’inizio, però, si attribuirono le cause solo alla lebbra dell’olivo, per la quale, tra il 2010 e il 2012, sono stati anche avviati campi sperimentali “per testare prodotti non autorizzati” per combattere la malattia e per il diserbo degli oliveti con fitofarmaci Monsanto. Nel 2018 chiesi ad un coetaneo Agronomo, che è nato tra gli uliveti del Sannio Alifano, se la X. f. era giunta anche in Campania. Ripetetti la domanda ad un altro mio compagno di classe a Piedimonte Matese negli anni Sessanta, con esperienza anche di Sindaco per due volte, la risposta fu che la Coldiretti locale e la Regione Campania aveva incaricato una commissione per verificare il problema X.f. Entrambi furono bravi a dirmi, in altri termini, che tutto era in alto mare del vago.
I primi convegni italiani su X.f., come quello nell’ottobre 2010 presso lo Iam di Bari. Infine, le analisi, fatte svolgere dalla Procura su ulivi di San Marzano (Ta) e Giovinazzo (Ba), con gli stessi sintomi delle piante salentine. Hanno dato esito negativo. E per gli inquirenti questa è la prova per cui “la sintomatologia del grave disseccamento degli alberi di ulivo non è necessariamente associata alla presenza del batterio, così come d’altronde non è , ancora allo stato, dimostrato che sia il batterio, e solo il batterio, la causa del disseccamento”. La lotta biologica in Emilia Romagna raggiunge primati nazionali laddove anche il quantitativo di fitofarmaci e concimi chimici produttivistici raggiunge primati nazionali. Dunque dove c’è la malattia delle piante la strada sicura è la lotta biologica della preda del vettore malarico e del predatore che se ne nutre senza danni ambientali. Nel 2006 insegnavo all’estero e con una scuola del Salento ci fu uno scambio culturale reciproco, che ci permise- io e studenti esteri, di visitare in lungo e in largo la peni soletta salentina, ricca, tra l’altro di magnifici oliveti. Anche ai miei ex studenti (pure quelli in visita culturale a Galatina (LE) e dintorni del 2006, insieme al locale collega, Francesco Masi dell’I.T. Turistico diretto da Giulio Cesare Viva, ho indicato sempre la lotta biologica delle piante malate accanto alla lotta chimico-fisica, pur necessaria in alcuni casi. All’universitario Orto Botanico di Padova, il più antico del mondo, i miei studenti stranieri hanno potuto distinguere la notevole biodiversità planetaria, che viene esaminata anche dalla diversità culturale planetaria poiché il primato della Natura, negli ultimi secoli, è stato conquistato dalla Cultura. Il meccanismo d’azione del batterio è molto semplice. Si insedia nei vasi legnosi dove prolifica, arrivando a ostruirli. L’azione di X. f. è dunque solo meccanica, non essendoci prove, neanche da parte di studi americani, di rilasci di tossine e altri composti potenzialmente tossici per le piante. L’abbandono delle buone pratiche agricole, in buona parte del Salento, può aver favorito l’insediamento di X. f. ma non è la causa della batteriosi. Così il rodilegno, Zeuzera pirina, non è concausa del disseccamento rapido dell’olivo. Alcuni funghi tracheomicotici, già noti per infettare l’olivo e produrre gravi danni, agiscono sicuramente in sinergia con X. f. Ma X. f. è la causa principale del disseccamento rapido dell’olivo? Come dimostrare la natura causale tra patogeno e malattia? Da anni gli scienziati di tutto il mondo si affidano, non solo per le patologie delle piante ma anche quelle umane, ai postulati di Koch. E’ possibile curare le piante? Non è possibile curare alcuna batteriosi sulle piante coltivate, non essendo possibile l’uso di antibiotici. Anche qualora fosse possibile l’uso di antibiotici, la localizzazione di Xylella, nei vasi legnosi, rende difficile il trattamento. Perchè allora alcune piante sembrano “rinascere” dopo l’utilizzo di buone pratiche agricole? Il periodo di decorso della malattia dipende da vari fattori. Il tempo di occlusione dei vasi da parte del batterio non è immediato. Vi possono quindi essere dei riscoppi vegetativi lungo vasi non ancora infetti o non compromessi. Appena anche questi si occludono, però, mancando il nutrimento anche i giovani getti sono destinati a morire. Allo stesso modo le radici dell’olivo, non ricevendo più nutrimento dalla chioma, seccheranno, portando a morte l’intera pianta. Vi sono varietà di olivo resistenti o tolleranti a X. f? Al momento non sono note varietà vegetali resistenti alla malattia, ovvero in grado di non farsi infettare oppure di sconfiggere l’infezione. Sono state riscontrate differenze, nello stesso Salento, tra diverse varietà di olivi, sia l’Ogliarola leccese sia la Cellina di Nardò paiono particolarmente suscettibili a X. f.. Più tollerante pare invece essere la Leccino sui cui è stato riscontrata una minore carica batterica e una sintomatologia decisamente meno accentuata. Vi è dunque la speranza di trovare, nell’ampio germoplasma italiano, cultivar tolleranti, per poter ridare vita all’olivicoltura salentina. Quanti e quali sono gli insetti vettori di X. f. su olivo? L’Efsa, sulla base della bibliografia esistente, individua molti insetti vettori su cui consiglia di effettuare la lotta. Da studi effettuati, però, solo Philaneus spumarius (sputacchina) è effettivamente portatore del batterio, che invece non è stato isolato, se non saltuariamente, negli altri insetti. Per combattere la sputacchina è necessario per forza operare attraverso erbicidi e pesticidi? E’ possibile una lotta biologica? La sputacchina compie una sola generazione all’anno e si insedia su olivo solo in estate dove si nutre della linfa dai germogli più giovani. L’insetto, arrivato in autunno, va a deporre le uova sulle specie spontanee, anche quando secche. La schiusura delle uova avviene in primavera. In base a detto ciclo è possibile affermare che il diserbo dell’oliveto con erbicidi non è determinante per il contenimento della popolazione, potendo deporre su erba secca. Il diserbo meccanico, attraverso trinciatura e interramento delle erbe, può però essere utile per ridurre le uova. In certe annate o condizioni la sputacchina può proliferare molto, rendendo necessario il contrasto anche all’adulto sugli olivi. In questo caso si possono utilizzare principi attivi autorizzati in regime di agricoltura integrata ma è possibile applicare anche buone pratiche agronomiche in regime biologico per il contenimento dell’insetto, si citano quelle consigliate da Federbio: barriere meccaniche: fasce collanti, tessuto non tessuto; reti anti insetto; barriera fisica su polloni o piante adulte: caolino, silicato di sodio; impiego di prodotti rameici; impiego di propoli e altri corroboranti; utilizzo di piretro naturale (insetticida per il controllo del vettore sia su olivo che sulle piante ospiti del vettore); distribuzioni di zolfo ventilato contro stadi giovanili; preparati biodinamici; distribuzioni di repellenti; piante trappola da trattare con piretro, contro adulti in fase di aggregazione pre riproduttiva in campo. X. f. è un batterio non sporigeno gram-negativo appartenente alla famiglia delle Xanthomonadaceae. L’insetto vettore è Philaenus spumarius o sputacchine, famiglia cosmopolita di insetti dell’ordine dei Rincoti Omotteri. La sputacchina media (Philaenus spumarius L.), è una specie polifaga e occasionalmente dannosa alla vite, alla medica, alla fragola e a piante ornamentali (come rosa) e orticole. Gli adulti presentano colore tra il nerastro ed il bruno chiaro, e sono lunghi circa 5 mm. I danni possono essere diretti (le punture di nutrizione possono provocare decolorazioni e deformazioni) e indiretti dovuti per lo più alla produzione della schiuma (che può imbrattare i prodotti causandone il deprezzamento del valore commerciale) e come vettori di agenti patogeni. Le femmine depongono le uova, con l’ovopositore, nella corteccia degli alberi durante il periodo estivo; le uova passano l’inverno e, in primavera, schiudono liberando le neanidi che si portano sulle piante erbacee. Gli adulti compaiono in estate e possono invadere anche gli alberi sui quali arrivano volando o saltando. La larva si nutre di linfa, che aspira mediante un rostro. Nel liquido viscoso che rilascia come scarto dall’intestino, l’insetto immette aria con le aperture bronchiali, producendo le bollicine che formano il singolare riparo. Non si ritiene superfluo dire che le piante hanno un complesso sistema di circolazione dei liquidi. La specie Homo sapiens, cioè l’uomo, ha un doppio sistema circolatorio arterioso e venoso; mentre le piante hanno due sistemi: uno di trasporto della linfa grezza chiamato xilema e uno per il trasporto della linfa elaborata, detto floema. La linfa elaborata è quella che viene trasferita, partendo solitamente dalle foglie quali organi fotosintetizzanti, a tutti gli altri distretti della pianta. Il sistema della linfa grezza porta principalmente acqua e sali dalla radice a tutti i distretti della pianta, ma in maggior quantità ed in una maggior concentrazione alla foglia. La foglia, che in poche parole è il “laboratorio” di tutta la pianta, è la zona dove i sali e l’acqua, tramite la luce per reazione endotermica, vengono trasformati in vari composti, principalmente in zuccheri semplici come il glucosio, che per reazioni esotermiche ridanno l’energia presa prima dalla luce del Sole: il ”miracolo della vita” potrebbe esclamare entusiasta il biochimico! La linfa elaborata viene poi trasportata dalle zone di produzione, quindi dalle foglie, agli altri distretti del tronco e delle radici, anche se molte piante svolgono la fotosintesi anche in cellule del tronco e radici dove vi sono i plastidi come i cloroplasti. Lo xilema è costituito dalle spesse pareti di cellule morte di grandi dimensioni (massimo comunque 0,5 mm. perché si manifesti capillarità) senza setti trasversali e generalmente non comunicanti tra loro. I vasi del floema sono formati da cellule vive, le cui pareti costituiscono dei setti che rallentano il flusso, e sono tra loro intercomunicanti per facilitare la diffusione della linfa in tutti i tessuti. La lotta contro la supposta batteriosi dell’ulivo, salentino in particolare, appare non facile poiché non esistono metodi curativi da attuare in campo e l’uso di antibiotici, che potrebbe avere un effetto positivo, non è consentito in Unione Europea. In tempi recenti si è assistito ad un aumento di studi scientifici basati sull’uso di tecniche Geomatiche a supporto dell’Agricoltura di Precisione. Tale incremento, favorito dalla maggiore disponibilità di strumenti di rilevazione, ha condotto ad un qualche avanzamento della possibilità di monitorare fenomeni biologici complessi e di gestire, in ambiente GIS, i relativi dati in rete. Le tecniche e i tentativi di capire il mistero della supposta batteriosi dell’ulivo sono varie. Scrive D. Sandroni:”Un batterio e tante bufale” Interviste impossibili – X. f. fa ormai parlare di sé dalla fine del 2013. Tante le teorie, spesso surreali, una sola verità: gli ulivi continuano a morire. Una lezione di epidemiologia, fornita dal patogeno. Chi fosse e cosa facesse in Puglia lo si è affermato ufficialmente a fine 2013, ma strani disseccamenti si registravano in Puglia ormai da qualche anno. Tracheomicosi, si pensava, anche perché senza un apposito kit diagnostico mica si capisce se quei rami secchi sono dovuti a funghi o a batteri, o meglio, a un batterio, X. f..
Una task force venne realizzata per affrontare il problema e la strada prescelta fu quella stabilita a livello europeo per le malattie da quarantena: eradicazione. E da lì la stura a feroci polemiche, accuse, denunce e perfino indagini di una Procura. Il tutto reso tragicomico dalla ridda di bufale che intorno al caso si sono moltiplicate. Tutti fermi per anni, quindi, tranne la Xylella, la quale si è espansa intanto su un areale molto più vasto di quello iniziale. Chiediamo quindi a lei, finora silente, di dirci qualcosa dal suo punto di vista. Prendo spunto da una comunicazione giuntami dal Perito Agrario, Michele Russi, che la X. f. è grave in tre province pugliesi (Lecce, Brindisi e Bari) e minaccia anche il suo nativo e foggiano Gargano, un suo articolo in merito è stato pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Se M. Russi si preoccupa del Gargano nativo, io mi preoccupo del mio nativo Sannio Alifano, dove, per ora, non pare vi siano tali problemi né lo sono in tutto il territorio della Regione Campania, dicono noti esponenti locali e della Coldiretti, interrogati dal mio compagno di scuola prima citato.
Digitalmente leggo, primi di aprile 2018 che 3.100 piante infettate d’ulivo sono state abbattute in Puglia e i dati dei 243 campioni analizzati nelle 5 province campane (40 CE, 118 AV,34 BN, 42 NA e 9 SA), sono rassicuranti. Leggo anche che ”Nuove misure di emergenza per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione della X. f. da parte del servizio fitosanitario della R. Campania. Per effetto della decisione di esecuzione della Commissione Europea le piante destinate all’impianto, ad eccezione delle sementi, delle specie di caffè, lavanda dentata, oleandro, olivo, polygala e mandorlo, possono essere spostate all’interno dell’U. E. solo se sono state coltivate in un sito soggetto a un’ispezione ufficiale annuale. Se sono state sottoposte a campionamento ed analisi che hanno confermato l’assenza di X. f. e, infine, se sono accompagnate da un regolare passaporto delle piante, non è richiesto il passaporto delle piante per lo spostamento delle piante ospiti verso qualsiasi persona che agisca a fini che non rientrano nella sua attività commerciale, industriale o professionale e che acquisisca dette piante per uso proprio”. Ma siamo proprio sicuri che nel Sannio Alifano nessun olivo sia infettato del batterio X. f.? In epoca di lotte commerciali nel mercato globalizzato non è da escludere ipotesi di possibili fondi messi a disposizione facilmente per mettere in ginocchio l’olivicoltura italiana per fare spazio ad importazioni di oli che costano anche molto meno, provenienti da filiere con minore tecnologia moderna e più misteri sui luoghi di provenienza. Sembra non recente la cronaca del finanziamento agli agricoltori che distruggevano viti, olivi, ecc..Ciò che appare anche un po’ strano è che un batterio, la X. f., non sia stato ancora combattuto adeguatamente. Per la identificazione del patogeno, date le sue caratteristiche, la Commissione Europea ha dato alcune indicazioni per la metodologia di analisi da adottare nelle aree in cui l’agente non è presente. A tal fine le determinazioni analitiche devono essere effettuate attraverso saggi molecolari, in quanto di maggiore sensibilità. Il Piano di Monitoraggio per l’annata 2017 ha previsto un numero minimo di 200 ispezioni, sono stati raccolti 243 campioni e sottoposti ad analisi. I prelievi hanno riguardato la campionatura di piante asintomatiche, con sintomi imputabili ad altre patologie comuni e con sintomi di bruscatura delle foglie. Le specie analizzate sono: Olea europea, Cytisus scoparius, Grevillea spp., Laurus nobilis, Lavandula spp., Myrtus communis, Nerium oleander, Polygala myrtifolia, Prunus avium, Pyrachanta, Rosmarinus officinalis, Salvia officinalis, Viburnum spp. Da media del gennaio 2016 leggo che”Xylella fastidiosa: il nuovo studio italiano evidenzia i rischi e la diffusione. Le opinioni sono contrastanti”. Oltre che la Puglia, anche le coltivazioni presenti in Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Campania e Lazio rischiano di essere colpite dalla X. f., il batterio in grado di provocare il rapido disseccamento degli ulivi e fino a oggi responsabile dell’abbattimento di oltre duemila specie arboree nel Salento. Non sarebbe esente nemmeno la Maremma, la porzione di costa tirrenica che arriva fino in Toscana, seconda regione italiana per presenza di ulivi. È quanto si evince da uno studio italiano pubblicato sulla rivista Phytopathologia Mediterranea. Il patogeno non compromette la qualità dell’olio e non ha avuto ripercussioni sul raccolto del 2015, migliorato di quasi un terzo rispetto all’anno precedente (quasi raggiunta la quota di 400mila tonnellate), condizionato dall’azione della mosca olearia. Gli studiosi, guidati da Luciano Bosso, ricercatore presso il dipartimento di agraria dell’ateneo campano, hanno utilizzato le informazioni disponibili nelle banche dati e raccolte in tutti i Paesi dove la X. f. si è diffusa e risulta insediata da molti anni. Oltre a considerare le informazioni raccolte dai colleghi sul campo, relative ai processi di bruciatura del fogliame e sul disseccamento degli stessi alberi, i 5 autori dello studio hanno analizzato alcuni aspetti relativi alla geologia e all’ecologia delle aree colpite dall’infezione: come il clima delle aree colpite dalla batteriosi, la piovosità, l’andamento delle stagioni, l’altitudine, la vegetazione e l’organizzazione colturale presente nelle aree più aggredite. Si è così scoperto, dopo aver portato a termine il primo lavoro mirato a indagare le esigenze ecologiche del batterio, che X. f. ha trovato le condizioni ideali per colpire ed estendere il suo raggio d’azione nel Salento, a partire dalla zona di Gallipoli: dove il microclima è ancora più specifico.
Dal lavoro sono emersi due indicatori «chiave», sulla base di quanto da 2 anni accade nel tacco d’Italia: le ridotte precipitazioni – con livelli medi di piovosità inferiori ai 10 millimetri nei trimestri – e la temperatura superiore alla media di 8 gradi nel trimestre più freddo. Rilevante è stata considerata pure l’altitudine sul livello del mare, fino a 150 metri. «A quote più elevate, così come a temperature più rigide, le condizioni ambientali sono meno favorevoli al propagarsi del batterio», hanno messo nero su bianco i ricercatori, escludendo l’ipotesi che il batterio trovi terreno fertile anche nelle coltivazioni del Nord Italia. Sorprendente, sulla base del modello elaborato nello studio, è l’evidenza secondo cui, oltre al clima, l’habitat ideale del batterio in esame o incriminato risulti rafforzato dal contesto culturale. Agricoltura intensiva (22,49%), modelli complessi di coltivazione (18,5%), presenza di frutteti, boschi e macchia mediterranea (con un altro 20%) sono un humus che agevola la diffusione della X.f., che vive e si riproduce all’interno dell’apparato conduttore della linfa grezza. Nella ricerca non sono invece state considerate altre due variabili: la presenza dell’insetto vettore – nel caso della Puglia il Philaenus spumarius, ma altri insetti sono sospettati di poter trasportare il batterio da un ulivo all’altro – in tutte le aree studiate e le direzioni del vento che influiscono sui flussi di diffusione dei focolai. «La Calabria, la Sicilia e la Sardegna hanno le maggiori probabilità di offrire un habitat ideale alla diffusione della X. f. nelle coltivazioni di ulivo», si legge nella pubblicazione, da cui non si escludono i rischi di diffusione nelle aree interne della Calabria, del Lazio, della Sicilia e della Sardegna e nei confronti di altre specie vegetali. «In Puglia la Xylella finora ha colpito soltanto gli ulivi, ma attraverso una rapida evoluzione genetica potrebbe diventare un problema riguardante anche i vigneti, i frutteti, i boschi di querce e la macchia mediterranea». Opinione che trova d’accordo G. Vannacci, ordinario all’Università di Pisa e presidente della Società Italiana di Patologia Vegetale.
«Il contenimento dell’epidemia è un’emergenza continentale, non limitata alla sola olivicoltura o alla Puglia. Ma è necessario distinguere con chiarezza tra gli interventi atti a mitigare il problema nell’area di insediamento, detta zona infetta, e quelli finalizzati a limitare l’espansione del fronte epidemico, considerata la zona cuscinetto. Nel primo caso devono essere messe in atto misure di difesa integrata che permettano una convivenza con la malattia nel rispetto dell’ambiente, anche attraverso l’adozione di buone pratiche agronomiche. Il contenimento del fronte epidemico nella zona cuscinetto, oltre al controllo del vettore (sfalcio, lavorazioni del terreno e trattamenti fitosanitari), richiede una più intensa attività di monitoraggio e dolorosi interventi di eradicazione, quali l’espianto di piante apparentemente sane in prossimità di quelle infette, fondamentale per la riduzione del potenziale d’inoculo e della relativa pressione epidemica». Il 9 giugno 2018 scrissi un articolo pubblicato da un media del Sannio Alifano (Matese News Informazione) che poneva dei punti di domanda aperti sul caso X. f. in Salento ed altrove. Dopo la lettura dell’indagine della Magistratura, sembra che avessi focalizzato il problema, mi gratifica per il contributo dato: sia pure piccolo, piccolo.
Giuseppe Pace (già prof. in Italia ed estero di Scienze Naturali e Tecnico d’ Ecologia Tribunale di Padova)
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