Cultura

Ecologia Umana dell’Africa e degli arabi in transizione verso il cittadino come appare di più in Tunisia

Napoli, 20 Luglio – Applicare l’Ecologia Umana ad un Paese arabo attuale, richiede la conoscenza non solo libresca, ma soprattutto quella sul campo. Ad essa mi sono riferito anche ascoltando indigeni (abitanti del luogo) ed osservando direttamente aspetti dell’ambiente economico e sociale di più Paesi africani, asiatici ed europei senza trascurare quelli americani del sud e del nord. L’Africa, estesa poco più di 30 milioni di kmq, di cui 9 milioni di deserto del Sahara, oggi è suddivisa in 54 stati abitata da circa 1,3 miliardi di persone con una densità media di 36,4 ab./kmq. Si prevede che la popolazione del continente continui a crescere fino alla fine del secolo. Insomma negli ultimi 50 anni la popolazione afriana si quadruplicata. La popolazione dell’Africa subsahariana continua a crescere costantemente – si legge su ”Africa Affari, la rivista mensile sul continente del futuro” e lo fa a un ritmo 2,5 volte più rapido rispetto al resto del mondo, grazie a tassi di mortalità ridotti, aumento dei livelli di fertilità e migrazioni internazionali. Secondo il “World Population Prospects Report 2019” delle Nazioni Unite, la popolazione della regione dovrebbe aumentare da 1,06 miliardi nel 2019 a 1,4 miliardi nel 2030 e 2,12 miliardi nel 2050. Nel 2.070, la popolazione africana sarà otto volte superiore a quella europea, il cui numero è condannato alla stagnazione a causa della bassa natalità. È quanto emerge dai risultati della prima relazione sull’impatto dei cambiamenti demografici, presentata dalla Commissione europea. La recente crisi del coronavirus “ha messo in luce molte vulnerabilità, alcune delle quali sono legate ai profondi cambiamenti demografici che già colpiscono le nostre società e comunità in tutta Europa”, ha spiegato Dubravka Suica, vicepresidente dell’esecutivo europeo. Tra le priorità di lavoro fissate dalla responsabile della Commissione per la Demografia ci sono anche “l’accesso ai servizi, l’assistenza di prossimità e persino la solitudine”, fenomeno che colpisce soprattutto la popolazione anziana, in grande crescita in tutto il continente. Tra i 54 stati africani mi risulta e mi risalta meglio la conoscenza della Tunisia, abitata da più di 11 milioni di persone con oltre il 98% di fede islamica. I Paesi africani a me più noti sono l’Egitto, il Kenya, la Tanzania con Zanzibar e la Tunisia. Tra quelli arabi che conosco meglio, per conoscenza diretta, sono la Turchia, l’Egitto e la Tunisia. Essi hanno in comune la lingua e la religione, che non è poco di un ambiente da analizzare in termini multidisciplinari e transdisciplinare soprattutto. In tutti i paesi arabi ed africani, con poche eccezioni, il reddito medio per abitante è basso e il tasso di scolarizzazione ancora, purtroppo, non elevato. Non pochi dei paesi africani della costa settentrionale hanno un substrato o humus culturale influenzato dalla cultura ed economia europea a partire dal tempo di Roma caut mundi. Dei tre stati citati quello che colpisce maggiormente è l’allontanamento turco dalla storia per seguire l’islamizzazione forzata e dunque una fuga dall’occidente liberale e più industrializzato pur appartenento alla Nato. L’islamizzazione del Paese voluta da Erdogan, farà arrestare o meglio rallentare l’ambiente civile di quel grande Paese lungo il processo di emancipazione del suddito a cittadino? Nel 2015, ad Istanbul, mentre rivisitavo con mia moglie la moschea blu la gentile guida turca che parlava anche l’italiano invitò le turiste a mettere il velo per obbligo di legge voluta da Erdogan. Un autista di corriera mi sgridò per il pantaloncino che indossavo in prossimità del mare nella parte asiatica della metropoli turca. Forse Erdogan dovrebbe considerare meglio il carattere anche europeista ed occidentale del territorio che governa in modo rigido.

La guida della suddetta moschea, pur di genere femminile, non indossò il velo per sfidare l’autoritarismo di Erdogan, disse, che avrebbe ricacciato indietro le donne di secoli. In realtà donne che lavoravano fuori delle mura domestiche ad Istanbul non se ne vedevano, invece apparivano in Tunisia anche se in numero ancora minoritario. L’uso dei pantaloni corti degli uomini turchi ed egiziani era un tabù (in Egitto, a Suez, ebbi paura nel passare con i pantaloncini corti a 100 metri da un gruppo di islamici in preghiera davanti ad una moschea nel caldo pomeriggio di fine giugno), mentre il tabù in Tunisia l’hi visto abbattuto definitivamente. L’Homo sapiens sul pianeta Terra ha una popolazioni di circa 8 miliardi di persone e molte, purtroppo, sono ancora in uno stadio sociale di sudditi e non di cittadini artefici del proprio ambiente. Peccato che molti politici parlano per conto del popolo, che non esiste più in Europa e nel nord del mondo sia perché non sono mai stati in condizioni umili o di meno abbienti, ma continuano a parlare del popolo creando nuovi feudi ”elettorali” utili per carpire i voti per la propria carriera, ben retribuita. L’evoluzione economica e sociale, vista dall’Ecologo Umano, fa risatare l’evoluzione culturale dell’Homo sapiens. Essa per la Turchia, come per l’Egitto e per la Tunisia fa intravvedere una tappa evolutiva dei tanti Paesi in via di sviluppo del Sud del mondo. Qualche eccezione bisogna segnarla. Nell’ambiente arabo le donne studiano di più alle università ad esempio. In alcuni Paesi le donne non possono lavorare e hanno pochi diritti. Ma in certi ambiti, come quello della tecnologia, le cose stanno cambiando. In meglio. L’Unesco, in un recente rapporto, ha stimato che la percentuale di laureate in materie scientifiche o tecnologiche (le cosiddette Stem) è tra il 34 e 57% del totale. Un bel numero, se lo paragoniamo a quello dei Paesi europei (circa il 19%). Rimanendo sempre in terra araba, sembra che il 35% degli imprenditori sul web sia di sesso femminile. Nel resto del mondo il livello, di media, è del 10%. Da cosa deriva questo primato inusuale? Dal fatto che nelle società arabe, quelle che assumono donne, non si fanno differenze di sesso quando si guarda al talento e alle opportunità. A Dubai, per esempio, l’azienda Smart, che si occupa di innovazione, è guidata dalla dottoressa Aisha Bin Bishr, una delle voci più influenti del panorama tech arabo. L’evoluzione culturale dal suddito al cittadino ne ha di strada da fare ancora.

L’economia araba in generale e turca in particolare è un’economia preindustriale, dunque con un triangolo sociale con molti più giovani che anziani ed un triangolo economico con pochi ricchissimi e molti poveri a differenza del nord del mondo con un poligono non del tutto regolare. Pensavo che gli specialisti di cui si avvale l’Organizzazione sovranazionale, Ue, fossero di elevata capacità di lettura del territorio europeo e dei paesi collegati come la Tunisia. Leggendo criticamente “Tendenze globali fino al 2030: l’UE sarà in grado di affrontare le sfide future?”, dell’ESPAS (European Strategy and Policy Analysis System) a me sembra che l’estensore o gli estensori delle note scritte sia/ano ancora abbagliati da una visione retrospettiva di popolo e non di cittadino e infatti pone/gono all’inizio il proverbio: ”Senza orientamento il popolo è perduto”. Sembra/no quasi pensieri di qualche nuovo gerarca bolscevico dell’ottobre del 1917, che parlava in nome del popolo russo, allora molto povero e quasi servo della gleba medievale. E meno male che nelle pagine web si precisa: ”numerose altre informazioni sull’Unione europea sono disponibili su Internet consultando il portale Europa (http://europa.eu).Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea. Più opportuno è stato precisare anche che” Le opinioni espresse nella presente relazione e le conclusioni tratte rappresentano esclusivamente le posizioni degli autori. La relazione non vincola in alcun modo le istituzioni e gli organismi dell’Unione europea rappresentati in seno alla task force del Sistema europeo di analisi strategica e politica (ESPAS), ossia la Commissione europea, il Parlamento europeo, il segretariato generale del Consiglio dell’Unione europea e il Servizio europeo per l’azione esterna, né può essere attribuita a tali istituzioni e organismi”. Però il lavarsene le mani alla Ponzio Pilato non giustifica una sottovalutazione dellà realtà ambientale che l’ESPAS interpreta con, a mio giudizio, disinvoltura eccessiva lasciando spazio a interpreti con una cultura quasi irreale e ancora molto ideologizzati verso il popolo di cui si erigono a paladini come moderni consoli romani dei Populares o sessantottini incalliti. Nel mio saggio “Canale di Pace”, in corso di stampa, esprimo l’evoluzione del cittadino dal suddito precedente a partire dai nobili di civiltà preromane, romana e medievali. Dai nobili e intorno alle loro ville, castelli e palazzi. Il popolo è un termine che dovrebbe indicare la società medievale quando i cittadini erano pochi e il vassallo dominava i sudditi o il popolo analfabeta e servo della gleba cioè senza proprietà e mezzi di produzione agricola soprattutto. Oggi, invece, il popolo non dovrebbe più esistere, e al suo posto c’è il cittadino, che paga le tasse in funzione di quello che possiede e guadagna con il proprio lavoro nell’ambiente economico e sociale di cui fa parte o risiede e non paga più con derrate alimentari al vassallo-padrone. Eppure molti politici pensano ancora al popolo da guidare senza alcun rispetto per il cittadino, che è stato il prodotto di un’evoluzione lunga, ma costante che sta trovando nella IV rivoluzione sociale, quella digitale, motivo di ulteriore spinta a lasciare il popolo informe e senza testa alle spalle della storia. Peccato che Organismi dell’Unione Europea si servano di estensori di documenti marcatamente antistorici e antiattualità che l’Ecologia Umana in particolare fa vedere con la lanterna della inter-multi-transdisciplinarità.Le tendenze che guidano la trasformazione globale iniziata nei primi anni novanta dello scorso secolo stanno cambiando l’ambiente globale in modo sempre più rapido e profondo. Il mondo diventa sempre più complesso, fonte di maggiori sfide. La sostenuta crescita economica mondiale diventa sempre più vulnerabile alle sfide e alle debolezze del processo di globalizzazione, che è inarrestabile comunque: inditro non si può più tornare come sostengo nel mio saggio citato prima. La rivoluzione tecnologica, soprattutto quella digitale, con le sue applicazioni incide su quasi tutti gli aspetti della società. La rivoluzione digitale provoca cambiamenti radicali, repentini ed allarga gli orizzonti locali ai giovani. Anche la scuola a distanza è prevalentemente positiva perché permette di selezionare docenti più capaci di trasmettere un’istruzione aggiornata, spendibile e democratica. L’aumento del consumo energetico e i nuovi modelli di produzione rendono sempre più difficile gestire le sperequate e mal distribuite, più che scarse, risorse. L’interdipendenza fra gli stati, fatto accertato sulla scena internazionale, non va di pari passo con il potenziamento della governance globale. L’ordine mondiale diventa più fragile e imprevedibile perché per non sempre validi assemblearismi popolusti la voce dei Paesi determinanti viene annullata. La seconda parte della relazione dell’ESPAS analizza tre «rivoluzioni» strutturali (economica etecnologica, sociale edemocratica, e infine geopolitica) che stanno rendendo il mondo sempre più complesso emeno sicuro e che, secondo gli autori, potrebbero essere innescate da queste tendenze, ed esamina le sfide che ne potrebbero conseguire per l’Ue. Tre rivoluzioni rendono il mondo più complesso e meno sicuro, secondo la loro verità però che non è quella di altri specialisti soprattutto d’Ecologia Umana! Una rivoluzione economica e tecnologica: la convergenza delle tecnologie e la proliferazione di strumenti disponibili per le masse trasformeranno le economie e le società, offrendo enormi opportunità in termini di produttività, aumento del benessere e partecipazione consapevole e attiva (il cosiddetto «empowerment»). Gli sconvolgimenti sociali, tuttavia, potrebbero determinare anche un’ulteriore crescita della disoccupazione, accentuare le differenze economiche e sociali…Ma che previsioni apocalittiche indurrebbe la fiducia nel progresso e nell’innovazione? Non condivido ciò che scrivono in merito. Sembra la solita litania di moda corrente di “viva il povero ed abbasso il ricco”. Certo fa breccia nel populismo, ma è contro la verità perché se crese la ricchezza e si diffonde nella società è un bene, non un male. Bisogna vere una visioni liberista che tuteli anche il cittadino. Al tempo di Roma caput mundi il cittadino romano su tutto il vasto territorio non poteva essere condannato se non dopo processo, mentre gli altri, non ancora cittadini romani, erano di serie B. Oggi in tutto il nord del mondo esiste il cittadino ed è una conquista non secondaria, basta solo perfezionarne i diritti con la riduzione della invadente burocrazia statalista e l’aumento della trasparenza degli atti pubblici e la tracciabilità del movimento di denaro. In Italia, purtroppo, il cittadino è vittima del partitismo inconcludente con feudi elettorali poco democratici ai quali si fanno favori per avere consenso elettorale. Sembrano moderni feudi medievali che bloccano la meritocrazia. Un esempio è la burocrazia museale con personale spesso poco colto e orari funzionali agli impiegati e non ai visitatori paganti il biglietto d’ingresso. In Italia l’ambiente socieoeconomico è bloccato dalla non manutenzione dell’ascensore sociale che spesso è bloccato e la meritocrazia ridotta al minimo. La fuga dei cervelli è sotto i nostri occhi e quelli degli stranieri che ci osservano. Il fenomeno, conosciuto anche con l’espressione Inglese “human capital flight”, consiste nell’emigrazione all’estero di giovani laureati che possiedono delle specializzazioni professionali. Il fenomeno della globalizzazione rende possibile studiare ed avere esperienze lavorative in una nazione diversa dalla propria e questo permette di ampliare le proprie conoscenze e capacità professionali; molti fra i migliori studenti italiani, però, preferiscono poi non rientrare in patria poiché ritengono di non poter ricevere offerte lavorative adeguate agli studi conseguiti. In Italia, le condizioni lavorative non sono, in effetti, incentivanti: gli stipendi sono bassi anche per chi ha alle proprie spalle un percorso di studi eccellente e le possibilità di crearsi una carriera sono pochissime. Se si pensa alla  bassa retribuzione dei docenti liceali c’è da mettersi le mani nei capelli e gli scarsi aumenti derivano sollo dall’anzianità di servizio e non anche da capacità riconosciute ed accreditate dall’utenza.

Il fenomeno della fuga dei cervelli, secondo uno studio della Fondazione Migrantes del 2016, riguarderebbe prevalentemente ragazzi fra i 18 ed i 34 anni di età che rappresentano un terzo degli Italiani all’estero. Le mete più gettonate sono Inghilterra, Spagna, Brasile ed Argentina, ma molti decidono di trasferirsi anche in Paesi in forte sviluppo quali l’India, gli Emirati Arabi ed il Sud Africa. La maggior parte dei laureati che decidono di trasferirsi all’estero ha frequentato facoltà scientifiche oppure Lingue, avrebbe raggiunto la laurea con il massimo dei voti (spesso con lode) ed avrebbe partecipato al progetto Erasmus. È anche vero che 500 mila laureati stranieri hanno scelto di vivere in Italia; nonostante questo possa sembrarci rassicurante, l’Italia è in realtà l’unico Paese europeo ad avere un saldo negativo fra ricercatori in uscita e in entrata: esso è infatti del -13%. Questi dati sono tutt’altro che rassicuranti e dovrebbero farci capire come il nostro Paese stia perdendo le menti più brillanti. Come afferma il ricercatore Benedetto Coccia, “Una società dinamica e vivace non può temere la migrazione, può solo trovarne giovamento. Poi il problema non è se un giovane sceglie di andare all’estero, o fare un’esperienza di studio, lavoro o di stage in un altro Paese: se ciò rappresenta un’opportunità, è sano. Ma se si tratta di una fuga obbligata invece, questo non può che essere considerato un fallimento”. Nei Paesi arabi il fenomeno non è irrilevante, ma il controllo dello Stato sui laureati propri ne limita la fuga. Non credo sia un bene perché limita l’applicazione dell’art. 3 del diritto internazionale che garantisce ad ogni cittadino del mondo la scelta della propria sede di residenza in patria come all’estero. Il cittadino del futuro, arabo e non arabo, sarà sempre più libero di scegliersi il proprio destino perché la sua cultura, non bassa, lo aiuterà non poco. Certo deve essere almeo plurilingui sta e con visione non provinciale senza facili nostalgie canaglie ed indice di visione localistica, molto presente nel popolo ed alimentata ad arte da speculatori e politici di bassa qualità. Ho rivisitato la Tunisia dopo tre anni, ma non ho più trovato vivo il mio Gemnius Loci di riferimento, il tunisino di Sidi Boud Said, Bej Bashir.

Bashir è morto a circa 85 anni dopo una vita intensa d’artista con forte senso del sacro-islamico ma anche cristiano- e amore per H. Bourghiba. Bashir l’ho cercato appena giunto nellla sua cittadina di residenza a nord di Tunisi, ma i vicini e alcuni familiari mi hanno subito avvisato che era morto. Sono andato di buon mattino a visitare il cimitero locale posto sulla sommità della costiera con pendenza verso il Mediterraneo con in vista sull’orizzonte Capo Bon. I cimiteri tunisini sono più scarni di quelli italiani, forse perché dedicano più spazio alle preghiere da vivi che da morti. Bashir era entusiasta dell’ambiente politico tunisino ai tempi di H.Bourguiba. Mi diceva spesso che con la presidenza di Bourghiba fu avviato un vasto piano di riforme destinate a dare avvio alla sovranità nazionale e a modernizzare la società tunisina. Venne diffuso l’insegnamento e fu promulgato il “Codice dello Statuto Personale” che ridimensionava il potere dei capi religiosi. Importante merito di Bourguiba fu l’attenzione data alla condizione femminile: venne vietata la poligamia, il divorzio venne sostituito al ripudio e l’aborto venne legalizzato. Si, trattava, però, di un femminismo di facciata,  volto a compiacere le potenze occidentali più che volontà di realizzare la parità di genere. Queste riforme sono però state importanti in quanto, in alcuni casi, precedettero la loro promulgazione in alcuni Stati europei. Il Paese fu poi diviso in governatorati dotati di un’amministrazione moderna. Fu impostata la struttura di una moderna scuola pubblica e gratuita, mettendo fine al doppio regime scolastico: scuola coranica e scuola di tipo occidentale. Anche nel settore giudiziario fu abolito il doppio regime e furono instaurate corti giudiziarie civili, ponendo fine all’influenza dei religiosi sulla magistratura. Bourguiba governò ininterrottamente dal 1959 al 1987. Gli oppositori sia esterni sia interni al partito furono liquidati già negli anni seguenti la proclamazione dell’indipendenza, cosicché i neodusturiani potessero occupare la quasi totalità dei posti in Parlamento. Negli anni 60 questa posizione venne, poi, istituzionalizzata con la dichiarazione che la Tunisia era ormai diventata un regime a partito unico. La Tunisia è un Paese africano con forte legame storico con l’Europa, più di altri Paesi africani e con una spiccata simpatia per l’Italia, forse deriva da un substrato culturale sedimentatosi nel tempo, più che dalla vicinanza naturale.  Sei secoli di amministrazione della res pubblica in stile romano e oltre 6 secoli precedenti punico-cartaginese non hanno cancellato quella cultura con l’arrivo di quella araba succeduta ai barbari di Genserico con alterne vicende di dinastie nobiliari locali, magrebine e turche. I Vandali guidati da Genserico, attraversarono lo Stretto di Gibilterra in Africa e catturarono Ippona Regius nell’agosto del 431, che divenne la capitale del loro regno. Nonostante la difficile pace con i Romani, Genserico fece poi un attacco a sorpresa contro Cartagine nell’ottobre del 439. Dopo la cattura di Cartagine, i Vandali misero la città al sacco e ne fecero la nuova capitale del loro regno. La vicenda storica si snoda nell’arco di poco più di un secolo e mezzo, tra l’occupazione da parte dei Vandali di Genserico (439), la riconquista bizantina di Belisario (533) e infine la conquista da parte degli Arabi, avvenuta tra il 695 e il 698. La presa di C. e il saccheggio dell’armata araba non segnarono la fine immediata dell’agglomerato urbano, poiché negli scavi recenti è stato riconosciuto in qualche caso un livello di epoca ommayade in passato trascurato. In seguito le rovine di Cartagine vennero sfruttate per lo sviluppo della vicina Tunisi, che fu scelta dagli arabi come nuova capitale ritenendola meglio difendibile da attacchi dal mare. Le medine di Tunisi e Hammamet, che ho visitato, stanno a testimoniare una archeologia araba con moschea epicentrale, ma assenza di grandi case di vassalli e castelli medievali così abbondanti in Europa. La crescita del cittadino dallo stato di suddito ha un diverso approccio d’analisi d’Ecologia Umana da tener presente nel mio saggio “Canale di Pace”, ancora da pubblicare. La stratigrafia sociale tunisina è insolita e la piccola e media borghesia parla correntemente il francese, imposto per trattato a fine 1800 e con un protettorato durato fino al 1956 anno dell’indipendenza. Poi ha diretto la Tunisia per molto tempo Habib Bourghuiba facendo molte riforme, obbligando tutti a frequentare le scuole di base e a faciltare la frequenza alle scuole pubbliche successive ai tunisini meno abbienti.  L’amico, Bej Bashir, me ne parlava in modo entusiasta perché, mi diceva, che Bourghiba aveva creato una stabilità politica che i suoi successori non sono stati in grado di rifarla e si procede con instabilità politica che è deleteria per il caro vita del popolo “affamato”. Habib Bourghiba, classe 1903, dopo essersi laureato in Giurisprudenza ed aver conseguito la specializzazione in studi politici alla Sorbona nel 1927, sposò la francese Mathilde Lorrain da cui divorziò Dopo rientrò a Tunisi, esercitando la professione forense e il giornalismo  nei giornali nazionalisti tunisini, e l’adesione al partito Destur (Dustūr, cioè “Costituzione”), di orientamento indipendentista. Bourghiba nel 1932 fu tra i fondatori de L’Action tunisienne, giornale di orientamento laico. Questa posizione, anomala dentro il Dustur, condusse 2 anni dopo alla sua scissione in due partiti, uno islamizzante  che mantenne il nome di Dustur, l’altro modernista, che si chiamò Neo Destur, di cui Habib Bourghiba fu segretario generale. Negli anni Trenta la repressione coloniale si fece più violenta, e Bourghiba fu confinato con altri militanti nel sud del Paese. Nel 1936 il governo del Fronte Popolare in Francia consentì la liberazione dei leader indipendentisti. Ma il Fronte popolare durò poco, e nel 1938 Bourghiba fu imprigionato in Francia per cospirazione contro la sicurezza dello Stato. Nel 1940, liberato dalle SS naziste, il governo di Vichy lo consegnò all’Italia, su richiesta di Mussolini, che sperava di utilizzarlo per indebolire la resistenza francese nel Nordafrica, usandolo per “Radio Barir”. Ma Bourghiba, una volta a Roma, si rifiutò di fare da garante ai regimi fascisti, e lanciò in agosto 1942 un appello per sostenere le truppe alleate. Per questa posizione fu presto arrestato dai nazisti e fu rimesso in libertà solo nel maggio 1944. Nel dopoguerra, dopo aver visitato molti Paesi per guadagnare sostenitori alla causa tunisina, H. Bourghiba rientrò in patria per continuare la lotta. Avviò negoziati con il governo francese, che però fallirono. Ciò provocò, nel gennaio 1952, l’inizio della resistenza armata ed un irrigidimento delle posizioni in entrambi i campi. Questa difficile situazione fu appianata dalle riforme avviate dal primo ministro francese, che, il 31 luglio 1954, annunciò il riconoscimento unilaterale dell’autonomia interna della Tunisia (la cui condizione, va ricordato, era di protettorato, francese), e la formazione di un governo temporaneo con la partecipazione di 3 membri del Neo-Dustur. Il trattato fu firmato il 3.06.1955 malgrado l’opposizione di Ben Youssef, per il quale questo accordo costituiva un passo indietro. In effetti, contrariamente a Bourghiba che sosteneva una strategia verso l’indipendenza da raggiungere pacificamente e per tappe, con l’aiuto della Francia e sotto la sua egida, Ben Youssef era un fautore del panarabismo, e puntava ad un’indipendenza totale e immediata. In qualche mese, vinse la linea di Bourghiba, evitando così al Paese il bagno di sangue che si poteva prevedere in seguito ad uno scontro frontale con la Francia, e che negli anni successivi avrebbe travolto l’Algeria.  Con il Trattato del Bardo si istituiva il protettorato francese sulla Tunisia, durato 75 anni, nonostante le lotte d’indipendenza che attraversarono il Paese. Il trattato del Bardo, fu un accordo internazionale bilaterale firmato il 12 maggio 1881 tra la Tunisia e la Francia, come conseguenza diretta dell’intervento armato francese in Tunisia noto in Italia con il nome di Schiaffo di Tunisi. Lo “schiaffo di Tunisi”: espressione giornalistica usata dalla stampa e dalla storiografia italiana dalla fine del  1800  per descrivere un episodio della crisi politica intercorsa all’epoca tra Regno d’Italia e Terza Repubblica francese. Il governo della terza repubblica francese nel 1881con un’azione di forza stabilì il protettorato sulla Tunisia, già obiettivo dei propositi coloniali del Regno d’Italia. L’Italia aveva siglato un trattato con la Tunisia l’8 settembre 1868, per una durata di 28 anni, per regolare il regime delle capitolazioni.  L’accordo internazionale garantiva alla Tunisia diritti, privilegi e immunità concesse da diversi Stati preunitari italiani. Gli italiani di Tunisia conservavano la loro nazionalità d’origine e non dipendevano che dalla giurisdizione consolare in materia civile, commerciale e giudiziaria, ma non in materia immobiliare, in cui, tuttavia, era riservata al console l’applicazione delle sentenze pronunciate dai tribunali del bey. L’uguaglianza civile assicurava agli italiani la libertà di commercio ed un vero e proprio privilegio d’extraterritorialità per i loro stabilimenti. In materia di pesca e di navigazione, beneficiavano dello stesso trattamento dei tunisini. Infine, il bey non poteva modificare i dazi doganali senza consultare preventivamente il governo italiano.

Gli ultimi anni del Governo H. Bourguiba videro un peggiorarsi delle condizioni del Paese che dovette affrontare le agitazioni da parte delle università e dei sindacati e degli oppositori politici di Bourguiba, che si erano riorganizzati sul finire degli anni 70, poiché il  Presidente si rifiutava di ammettere una qualsiasi forma di pluralismo politico. Questa situazione provocò forti tensioni che alimentarono la crescita dell’islamismo e fecero sprofondare il paese in una crisi finanziaria che portò alla nascita del regime di Ben Ali. Successivamente gli è succeduto il governo che ospitò B. Craxi, che ho visto sepolto ad Hammamet vicino alla Medina, sulla sua tomba c’è scritto “La mia libertà equivale alle mia vita”. Nelle strade di Tunisi e La Marsa sono presnti tracce della cultura francese con nomi di strade, di ristoranti e la Porta di Francia che si affaccia a nord della Medina. Un po’ sulle orme del mio omonimo Biagio (Biagio Pace, Sergio Sergi e Giacomo Caputo, Scavi sahariani. Ricerche nell’Uadi el-Agial e nell‘Oasi di Gat, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1951) ho ammirato i reperti di storia naturale e sociale o archeologica tunisina soprattutto al Museo Nazionale del Bardo, dove abbondano per quantità e qualità. Situato nel territorio occidentale della città di Tunisi fu inaugurato il 7 maggio 1888 e si tratta del più importante museo tunisino e allo stesso tempo del più antico museo dell’Ambiente arabo dell’Africa. Là dentro, oltre i nomi dei 24 morti, tra cui italiani, e 45 feriti (causate da un atto terroristico del 2015, che hanno ridotto il turismo in questo Paese amico dell’Italia, forse più della stessa Francia di cui parla la lingua), vi è Virgilio che scrisse l’Eneide. La collezione più importante del museo del Bardo è costituita da un’enorme quantità di mosaici romani del II-IV sec. d.C. tutti di eccezionale fattura e conservazione, che di fatto sono il simbolo del museo stesso. Oltre ai molti mosaici vi sono opere scultoree di particolare bellezza, reperti punici e le sale arabo-islamiche, altrettanto importanti sotto l’aspetto storico. Il museo è noto in tutto il mondo per possedere una delle più importanti collezioni di mosaici romani. Tra i principali pezzi della collezione figurano: Perseo libera Andromeda: l’eroe, che ha ucciso un mostro marino, aiuta con un gesto maestoso la principessa che era incatenata ad una roccia. La scena è evocata da Ovidio. Questa opera è rilevante per essere stata eseguita con un ottimo effetto di ombre e luci e una grande maestria nel creare l’illusione dello spazio. Questo mosaico in origine costituiva la parte centrale di una sala di ricerche morì esiliato in Romania per aver decantato l’amore scevro da passioni. 4 i turisti italiani morti mentre erano in visita al Museo del Bardo. La Tunisia è molto vicina come la Cina è molto lontana. Con il mondo globalizzato questi termini sembrano più adattabili all’ambiente del passato, che a quello presente. Nell’Ambiente tunisino non mi è dispiaciuto trovare una spiccata simpatia dei tunisini per gli italiani: ritenuti, bontà loro, migliori di altri popoli confinanti e lontani. Si riferiscono ai molti italiani conosciuti in Tunisia per attività imprenditoriali e turistiche. Solo in Romania avevo trovato un simile ”amore” verso l’italianità, che ovviamente fa piacere riscontrare. Ho sentito la storia di due emigrati in Italia poi rientrati a Tunisi: il primo gestiva il banco del pesce al mercato di La Marsa e l’altro era un tassista conosciuto al porto di Sidi Boud Said. Entrambi mi hanno paragonato la Tunisia molto all’ambiente dell’Italia del Sud. Si ribadisce che l’Ambiente non è solo quello naturale (come molti erroneamente ritengono anche sui media), ma anche quello sociale, economico, culturale, religioso e l’Ecologia Umana studia l’Ambiente come insieme di Natura e Cultura, come suggerisce anche l’Istituto per l’Ambiente con sede a Milano. L’Ambiente sociale della Tunisia, con 11 milioni di abitanti, è interessante da esaminare perché rispetto agli altri Paesi africani e ricco più di aspetti europei che africani ed arabi. Il territorio tunisino è esteso 163.155 kmq con 1.298 km di costa marina, il clima è Mediterraneo, semi arido all’interno e arido nel sud. I tunisini parlano tutti almeno due lingue: il francese e l’arabo, bilingue è tutta la cartellonistica e le insegne stradali nonché davanti le scuole. Per esaminare un ambiente sociale soprattutto bisogna fare riferimenti ad un saggio locale ed io l’ho trovato in Bej Bashir uno scultore in pensione di 85 anni, che vive a Sai Boud Said. Egli mi ha riferito di molti aspetti della Tunisia del passato e attuale anche con un marcato rispetto per le religioni pur professando intensamente la sua, quella islamica. L’Ambiente religioso tunisino è caratterizzato dalla religione Musulmana al 98% della popolazione e dalle Religioni Ebraica e Cristiana.

Nel ricchissimo Museo Archeologico del Brado, ritrovando, in particolare, i reperti religiosi comuni del Corano e della Bibbia in merito alle donne mi è venuto in mente l’ecumenismo dell’amico Bashir, che capiva bene l’italiano anche se lo sapeva parlare poco. La sua vita è stato prolifica con 4 mogli e molti figli e mi ha fatto visitare la sua casa caratteristica (dipinta di bianco e finestre e porte in blu come tutte le case del tipico comune di Sidi Boud Said, colori che meglio climatizzano il posto), insegna calcolo matematico in Tunisia e mi ha illustrato il sistema di votazione diverso di quello delle scuole italiane. Là, in Tunisia, i voti postivi vanno da 11/20 a 20/20. Bashir sostiene che il costo della vita è alto in Tunisia e che all’epoca di Habib Bourghuiba la Tunisia migliorò molto da Paese povero ed analfabeta a Paese europeo e con scuole gratis per tutti. C’è bisogno di maggiore stabilità politica, dice per governare anche per i più poveri che sono tanti per mancanza di lavoro e per il basso potere d’acquisto dei pensionati e con il costo dei carburanti troppo alto. Ho visitato Tunisi con più di 1milione di residenti con i suoi dintorni, La Marsa e Sidi Boud Said, con i suoi poco più di 5 mila abitanti e la vicina e storica Cartagine con l’immenso tesoro archeologico da rivalutare meglio, il palazzo presidenziale e l’Università di Cartagine con il su Politecnico, diretto da una donna (Than Jallauli), dove si spera di istituire un Corso di Ecologia Umana per meglio studiare l’Ambiente tunisino mediante i tre caratteri connessi alla visione dell’Ecologia Umana: multidisciplinare, interdisciplinare e transdisciplinare.

Le principali città tunisine sono: Sfax, Sousse, Béja, Bizerte, Jendouba, Gabès, El Kef, Nabeul, Médenine, Kairouan. Il 10 marzo di ogni anni, dal 1956, i tunisini festeggiano l’indipendenza dalla Francia che esercitava solo un Protettorato sulla Tunisia. Imponenti furono i lavori fatti tra La Goulette e la Porta di Francia per bonificare le aree malsane in precedenza. La Medina appare come una piccola Napoli anche se necessità di opere di bonifica igienica e di recettività turistica. La Tunisia ha molti aeroporti internazionali: Tunis, Monastir, Djerba, Sfax, Tabarka, Tozeur, Gafsa, Gabès, Enfidha-Hammamet. In quest’ultima città riposa in pace Bettino Craxi. La moneta è il Dinaro Tunisino (TND). Il Dinaro Tunisino è suddiviso in 1000 millesimi. Non può essere importato nè esportato. Traveller’s chèques sono accettati. 1 Euro = circa 3,5 TND. Il costo dei tassisti è bassissimo, il pl pane comune più utilizzato in Tunisia costa 200 centesimi di dinaro. Il caffè costa 700 e 900 centesimi di dinaro. Se si esce fuori dei negozi e bar popolari i prezzi diventano europei se non anche più alti. L’alcol in Tunisia è quasi estraneo alla cultura gastronomica. La benzina e il gasolio costano 0,7 euro e le automobili sono in prevalenza utilitarie, anche se il ceto medio fa uso spesso di Mercedes e Bmw come la classe dei commercianti affermati. L’olio tunisino è buono e a buon mercato.

Lungo il territorio compreso tra Tunisi e Hammamet ho visto molte realtà produttive come appezzamenti ben coltivati di uva, olivi, frutteti, mentre morre di ovinio li ho visto attorno a Cartagine quasi dentro le mura storiche. Durante la festa del montone da ammazzare per la annunciare il ramadan ho visto trascinarne due dentro la Medina di Taunisi e ai mercatini rionali. L’uccisione del maschio degli ovini richiama la dedizione di Abramo al Dio che nel vederlo pronto ad offrirgli in sacrificio il figlio, lo grazia sostituendolo con l’ovino. Dall’ANSAmed, “I musulmani e nei paesi islamici è l'”Eid Al Adha”, la Festa del Sacrificio, la più sentita dell’Islam, celebrata ogni anno con lo sgozzamento di milioni di montoni. La Festa del Sacrificio (nota anche come Aid Kebir) ricorda infatti che Abramo era pronto a far uccidere il figlio Ismaele per obbedire ad un ordine di Allah, per poi sostituirlo, per volontà di Dio, con un montone. È quindi la festa della fede per eccellenza e della totale e indiscussa sottomissione a Dio (islam), essenza della religione musulmana. Ma anche un’occasione di riunione per le famiglie e di allegria per i più piccoli. In tutte le moschee della Tunisia si svolge la preghiera del Sacrificio e gli imam hanno richiamato i fedeli al rispetto delle parole del Profeta. Poi, mentre i più giovani si sono recati nei cimiteri per onorare i propri defunti, nelle case e loro adiacenze sono cominciati i preparativi per uccidere gli animali. Incombenza che spetta al capofamiglia (il padre o il figlio maggiore), rivolto verso La Mecca, davanti a tutti i congiunti, bambini compresi, che negli ultimi anni hanno preso l’abitudine di immortalare sui loro telefonini i momenti dell’esecuzione. E’ anche possibile far ricorso a macellai che, a richiesta e dietro il pagamento di un compenso, svolgono questo compito da generazioni. Il ciclo dei pasti dell’Aid si concluderà con l’ultimo tradizionale piatto per stomaci forti, il couscous con l’osban, a base di interiora di montone, riempite di carne e tante e diverse spezie, rese piccanti dall’uso abbondante dell’harissa, la tipica salsa tunisina a base di peperoncino e pomodoro. Per ogni buon musulmano l’Aid è un atto di fede ma ha anche un risvolto economico, per via delle spese da affrontare per l’acquisto del montone (quest’anno dai 300 ai 1000 euro, per capi tutti di origine locale – oltre un milione secondo i dati ministeriali). Un costo che si rivela spesso difficilmente sostenibile per le famiglie. La tradizione corre però in aiuto dei bisognosi, consentendo loro di acquistare in macelleria solo alcune parti dell’animale, a cominciare dalla ricercatissima testa oppure le interiora, il fegato e il cuore e le zampe. L’importante è che sulla tavola ci sia ‘qualcosa’ dell’animale. La Festa del Sacrificio comunque coincide con un momento di grande solidarietà, perché chi ha di più dona a chi ha di meno. Oltre all’elargizione, da parte delle autorità pubbliche, di contributi in denaro o in cibo ai meno abbienti, infatti, si mantiene viva la tradizione di una solidarietà diretta e personale, che spesso si traduce nel regalare ai vicini le pietanze a base di carne di montone, come prevedono anche i precetti religiosi secondo cui la terza parte dell’animale deve venire destinata ai poveri della comunità. Se le spiagge lasciano a desiderare per l’organizzazione turistica, l’aeroporto di Tunisi è bello da vedere e da utilizzare anche per la cordiale efficienza dei suoi impiegati che parlano spesso in italiano, anche se qualche deficienza non manca tra il cittadino tunisino poco considerato da qualche impiegato di compagnie aeree interne all’Africa. Le compagnie aeree tunisine sono due: Tunisair e Nouvelair. La Tunisia, a differenza di altri Paesi arabi, visitati con lo sguardo dell’Ecologo Umano, è più europea e il suo “cordone” ombelicale culturale con il mondo e la cultura araba appare secondario. Il presente dell’ambiente tunisino appare in transizione tra un ritorno al passato popolare- i governi pare che cerchino il consenso nel popolo che non sempre è illuminato dalla istruzione medioalta e tendono ad assecondare un notevole ritorno all’ambiente del passato più che del futuro. Bisogna che al ceto medio si riponga più fiducia per riforme moderne e non retoriche.  L’Ambiente tunisino, per la vicinanza all’Italia e alla Magna Grecia del passato, ha un terrorio culturale che ha plasmato il paesaggio storico, economico e religioso. La tolleranza è alta come appare alta anche la tendenza a non fare mediazione commerciale, più diffusa in altri paesi arabi, anche se non mancano scippi per le strade a donne con bambini al seguito come è successo davanti ad una delle gelaterie italiana di La Marsa i primi giorni di luglio c. a.. Molti sono i pensionati italiani in Tunisia per il basso costo della vita al bar, al ristorante e nei mercatini rionali. I modelli occidentali esercitano un fascino non positivo per i giovani tunisini non sempre abituati a lavorare molte ore al giorno. Le donne tunisine lavorano in percentuale maggiore nei supermercati, nelle gelaterie, nelle pasticcerie e nei bar a differenza di quelle di Turchia, Egitto, ecc.. Per strada e a mare sono sempre meno le già poche donne che indossano l’abito tradizione con la copertura anche del volto a parte gli occhi. Gli uomini spesso indossano pantaloncini. Il richiamo delle moschee tunisine con le molte preghiere al giorno sono meno indifferenti del rintocco del mezzogiorno cattolico. L’Ambiente naturale costiero tunisino è afflitto dal poco riciclaggio della plastica, che viene utilizzata molto per le acque minerali. Nelle spiagge di Amilcare, l’antico porto punico e romano e al vicino porto di Sidi Boud Said e delle terme degli Antonini erano evidenti molti danni ambientali costieri per la mancanza dell’efficiente raccolta differenziata. Né ai tunisini è facilmente promossa e propagandata la buona acqua del rubinetto metropolitano della capitale e dei dintorni, acqua utilizzata normalmente dallo scrivente senza alcun danno alla salute riscontrato in circa un mese. La disoccupazione giovanile è altissima in Tunisia e molti vorrebbero emigrare o riemigrare in Italia. Necessitano più attenzioni del sistema scolastico tunisino ed in particolare quello universitario verso la professionalizzazione degòi studenti. Insomma più cultura aggiornata e spendibile con meno burocrazia statalista, che non fa molto per dare più potere alla Magistratura per meglio reprimere la corruzione e prevenirla con presenza anche di corsi di legalità nelle scuole. Non poche sono le scuole private tunisine che svolgono un’azione istruttiva migliore di quelle statali. Anche vicino alla chiesa di San Cipriano (martire cristiano e colto vescovo per 9 anni a Cartagine), di Sid Boud Said, ne ha viste come anche lì’opera meritoria del parroco siriano che parla correntemente anche l’italiano oltre altre 5 lingue. Il museo dove fu martirizzato San Cipriano è rsempre chiuso al pubblico come ha notato il benzinaio, là vicino, Mohamed, che parla anche l’italiano e al quale ho dato un mio precedente articolo in merito al santo. Il reddito procapite tunisino resta basso, più della Romania che ho conosciuto per avervi insegnato cinque anni, e i consumi per le famiglie, registrati qualche anno fa, rilevano 34,8% per cibi e bevande, 22,8% per abitazione, 8,8% per l’abbigliamento, 8,4% per istruzione, cultura e tempo libero, 6,2% per la sanità e 16,4% per i trasporti. La spesa pubblica per l’istruzione è pari al 7,3% del Pil. La Tunisia ha circa 141.000 insegnanti e 2.706.785 studenti con 57.000 laureati, ma gli analfabeti superano ancora il 20%. L’attenzione della Tunisia per la scuola è alta e nonostante l’enorme patrimonio turistico resta basso il numero di turisti che vi giunge. Non poche sono le difficoltà da affrontare ancora per vincere la lotta antica alla corruzione, forse diffusa nelle pieghe burocratiche, che in altri Paesi arabi è maggiore. L’Ambiente economico tunisino necessità di più investimenti europei e italiani come anche l’Ambiente culturale, che è già più vicino a quello europeo con emancipazione femminile su modelli nostrani. Sempre meno sono le donne tunisine che vestono come vuole (voleva) la tradizione dell’Islam. Ciò per evitare un ritorno della Tunisia verso l’instabilità fomentata da gruppi estremisti che potrebbero essere finanziati da fondi non trasparenti per la crescita democratica globale che deve poter portare verso una maggiore ricchezza per tutti. Perché non incentivare le aziende italiane in Tunisia a produrre merci che servono al mercato interno e non solo da esportare in Italia. L’olio tunisino potrebbe migliorare con tecnologia d’estrazione italiana. Iniziare a produrre plastica riciclata in Tunisia servirebbe ad evitare sia il triste spettacolo delle bottiglie disseminate dappertutto che salvaguardare la salute ambientale del Mare nostrum, che soffre d’inquinamento da plastiche da troppo tempo. Alla Tunisia potrebbe essere affidato, tra l’altro, il compito di ripulire le spiagge e le coste del Mediterraneo africano dal Marocco all’Egitto. Per trasformare le mini rivoluzioni arabe del 2011 in un’opportunità di sviluppo occorre ripartire dal capitale umano e dagli investimenti di un vero partenariato euro mediterraneo, sostengono gli economisti Rony Hamaui e Luigi Ruggerone in Il Mediterraneo degli altri. Le rivolte arabe tra sviluppo e democrazia. Hamaui e Ruggerone, alti dirigenti del gruppo Intesa Sanpaolo e docenti rispettivamente di Economia monetaria e di Economia dei Paesi emergenti all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, prendono le mosse dall’analisi dei principali indicatori di sviluppo dei Paesi del medio oriente e nord Africa (Mena) per spiegare la Primavera araba. Perché questi Paesi non sono riusciti ad approfittare delle opportunità create dalla globalizzazione dei mercati come hanno fatto il Brasile, la Corea, la Cina, l’India, la Turchia? Qual è il peso dei retaggi storici, geografici, religiosi, culturali in questa regione? Ripercorrendo con rigore scientifico e chiarezza divulgativa le analisi degli ultimi anni sulle ragioni dell’arretratezza dell’area, gli autori cercano di capire se l’Islam abbia costituito, e tuttora costituisca, un ostacolo non solo alla democrazia e all’apertura al resto del mondo, ma anche allo sviluppo economico; l’analisi indica inoltre nella corruzione, nella mancanza di infrastrutture e nella frammentazione etnica, linguistica, culturale e religiosa un impedimento alla crescita economica. I due studiosi esaminano il ruolo che gli investimenti sul capitale umano possono giocare nel risollevare l’economia e la società civile di questi Paesi. Oltre alla diffusione di Internet, gli altri due elementi cruciali per l’organizzazione delle proteste politiche del 2011 sono stati l’età media della popolazione e il suo grado di istruzione: tra bassi salari e crescente disoccupazione, è soprattutto la mancanza di prospettive per la fascia più giovane e scolarizzata della popolazione il problema più serio che molti Paesi arabi non produttori di petrolio si trovano di fronte. In molti di questi Paesi la quota di laureati in Ingegneria è aumentata molto rispetto agli anni Sessanta: alla fine degli anni Novanta in paesi come il Bahrein, il Marocco e la Siria erano il 30% del totale, in linea con la Cina; in Algeria tale percentuale era superiore al 40%, più elevata della Corea del Sud. I rapporti dell’Unesco sottolineano carenze rilevanti nella “qualità” del capitale umano accumulato. Ma restano indubbi i successi legati all’allargamento dell’educazione e la scarsa possibilità di trovare un lavoro adeguato al livello di istruzione acquisita.  Negli ultimi decenni, questi giovani più istruiti dei loro genitori hanno manifestato il proprio disagio con l’emigrazione. Ma la crisi economica in Europa e Stati Uniti ha reso più difficile anche questa valvola di sfogo e i connessi benefici da essa prodotti con le rimesse dall’estero. Occorre dunque ripartire da loro, da questi laureati e dalle loro capacità e competenze, per creare ricchezza e sviluppo. Solo rilanciando la cooperazione mediterranea inaugurata dal Processo di Barcellona nel 1995 e mai realmente perseguita dall’Unione per il Mediterraneo nuovamente naufragata dopo il 2008, il Mare Nostrum tornerà ad essere volano di sviluppo per entrambe le sue sponde. Nel 2070 gli europei saranno il 4% della popolazione mondiale, gli africani il 32%. Nel 1960 la popolazione dei 27 Stati che oggi fanno parte dell’Ue rappresentava circa il 12% della popolazione mondiale. Un rapporto che oggi è sceso a circa il 6% e “si prevede che scenderà al di sotto del 4% entro il 2070”, spiegano i funzionari Ue. L’altro notevole sviluppo è “l’incremento della percentuale dell’Africa nella popolazione mondiale: aumenterebbe dal 9% al 32%, mentre la percentuale di la popolazione asiatica diminuirebbe leggermente”. La presenza a Sidi Boufd Said della residenza dell’Unione Europea fa ben sperare per un aiuto considerevole alla Tunisia ricca di risorse culturali, naturali e religiose, ma con un tessuto sociale spesso sul punto di sfilacciarsi verso pericolose fughe nel recente passato meno edificante. Il passato deve servire all’Ecologo Umano solo per additare meglio il futuro esaminando il presente ambientale in Tunisia e di qualunque altro degli oltre 200 stati globali da federare al più presto in uno solo in modo liberale così come da me auspicato nel citato saggio in cui descrivo l’evoluzione del suddito in cittadino.

 

 

 

 

 

Giuseppe Pace (sp. internazionale di ecologia umana presso l’Università di Padova)

 

Scisciano Notizie è orgoglioso di offrire gratuitamente a tutti i cittadini centinaia di nuovi contenuti: notizie, approfondimenti esclusivi, interviste agli esperti, inchieste, video e tanto altro. Tutto questo lavoro però ha un grande costo economico. Per questo chiediamo a chi legge queste righe di sostenerci. Di darci un contributo minimo, fondamentale per il nostro lavoro. Sostienici con una donazione. Grazie.
 
SciscianoNotizie.it crede nella trasparenza e nell'onestà. Pertanto, correggerà prontamente gli errori. La pienezza e la freschezza delle informazioni rappresentano due valori inevitabili nel mondo del giornalismo online; garantiamo l'opportunità di apportare correzioni ed eliminare foto quando necessario. Scrivete a [email protected] . Questo articolo è stato verificato dall'autore attraverso fatti circostanziati, testate giornalistiche e lanci di Agenzie di Stampa.