Torre del Greco, 19 Luglio – Si chiama Salvatore Esposito, ha quasi quarant’anni e con una bicicletta da turismo promosso in modo davvero speciale una raccolta fondi per la onlus Famiglia d’Africa. Vi raccontiamo la sua impresa, conclusa qualche giorno fa: un viaggio su due ruote da Torre del Greco al Lussemburgo, a Esch-sur-Alzette, per un totale di circa millenovecento chilometri.
Salvatore, da quanto tempo fai ciclismo?
«Vado in bicicletta fin da quando ero bambino. Mi è sempre piaciuto. Intorno ai vent’anni, con gli amici, ho cominciato a mettermi alla prova su percorsi abbastanza lunghi. Il viaggio che ho appena fatto è stato diverso, non il primo in assoluto, ma il primo che ho affrontato da solo. Con un amico avevo già fatto in bici il Cammino di Santiago, mentre da solo ho partecipato al Tuscany Trail, un grande evento bikepacking che si svolge in Toscana, tra le colline senesi e la Val d’Orcia. Stavolta ho affrontato da solo una grande distanza e una bella prova: da Torre del Greco, dove vivo, al Lussemburgo. Desideravo fare un lungo viaggio da solo e sono felice di esserci riuscito, anche se non credo che farò un altro viaggio in solitaria perché preferisco viaggiare in compagnia.»
Come ti è venuta l’idea di risalire l’Italia e di arrivare proprio nel Lussemburgo?
«Ho scelto il Lussemburgo per un motivo molto semplice: mia sorella vive lì, con la sua famiglia. L’idea mi è venuta quando ho acquistato la bicicletta nuova, sostituendo quella da corsa.»
Come mai hai conosciuto la Onlus Famiglia d’Africa? Fai abitualmente volontariato?
«Nella vita non ho fatto molto volontariato, mentre beneficenza sì, ne faccio. Conosco bene la onlus Famiglia d’Africa, per cui s’impegna anche mia sorella, e per questo ho scelto questa onlus come beneficiaria del mio progetto.»
Quante ore al giorno e per quanto tempo ti sei allenato per prepararti a questo viaggio?
«Questo è l’evento per il quale mi sono allenato di meno. Per andare al lavoro uso la bicicletta, ma in questi ultimi anni, alternando giornate in presenza e altre in smart working, da questo punto di vista ho perso diverse opportunità. Mi alleno soprattutto facendo jogging, compatibile con i percorsi sotto casa, mentre per testare la preparazione atletica in bicicletta ci sarebbe bisogno di strade tali da evidenziare eventuali problemi. Ho fatto recentemente una prova di viaggio fino a Paestum e ritorno, per un totale di circa duecento chilometri, inoltre ho partecipato a una randonee a Napoli, e ho pedalato alla volta di Benevento. Queste escursioni mi sono servite per provare l’assetto dei bagagli, ma il percorso era comunque breve rispetto a un viaggio vero e proprio, che presenta altre problematiche. Molto importante, in questi casi, è documentarsi sulle esperienze di cicloturisti, di cui sono disponibili libri e filmati su Youtube, per sapere quali percorsi fare e dove fermarsi.»
Sei iscritto a qualche associazione ci ciclisti? Hai condiviso l’idea del viaggio e la preparazione con qualcuno?
«Ho fatto parte di associazioni di ciclisti a livello locale, il cui scopo era prettamente quello di condividere qualcosa. La mia idea all’inizio non è stata presa troppo sul serio, poi, vedendo che preparavo l’equipaggiamento, anche gli amici hanno cominciato a crederci. Ho condiviso con qualche amico le mie riflessioni e ho accettato consigli e informazioni.»
Da quanto tempo pensavi a questo lungo viaggio? In passato avevi fatto altri viaggi in bicicletta?
«Pensavo a questo viaggio almeno da due anni e la meta l’avevo decisa fin dall’inizio. Ho riflettuto sulle modalità, se raggiungere il Lussemburgo, o partire da lì. Ho dovuto tener conto del periodo di ferie al lavoro. Ciclisticamente è stato impegnativo, ma non faticoso quanto quello che ho fatto da Lourdes a Finisterre, che coincide con il cammino francese verso Santiago di Compostela. In quel caso però, nonostante le difficoltà dei percorsi interni, ero in compagnia e ho condiviso la fatica.»
Come hai programmato le tappe? Le app e la tecnologia ti hanno aiutato?
«Inizialmente non volevo essere troppo preciso sulla programmazione, pensavo di concedermi un po’ di libertà, anche perché sarei partito con tenda e fornellino da campeggio e avrei potuto fermarmi quando e dove avessi voluto. La programmazione però diventa indispensabile quando si ha un periodo entro il quale compiere il viaggio e si deve prenotare un aereo di ritorno. Potevo partire dal 23 giugno e dovevo tornare il 10 luglio, per cui le tappe dovevo necessariamente programmarle, anche se con approssimazione. Si deve valutare la fattibilità, prima, e occorre il rispetto dei tempi durante il viaggio. Sono riuscito a starci: ho impiegato quattordici giorni. Le app e la tecnologia mi hanno aiutato. Mi piacciono le mappe cartacee, ma so che potrebbero indurre in errore, cosa da evitare soprattutto se si viaggia da soli. Inoltre oggi, potendo contare sulla tecnologia, è preferibile approfittarne, soprattutto quando si hanno dei tempi.»
Quanti chilometri hai percorso? Gli stessi che avevi immaginato, o hai avuto degli imprevisti?
«Ho percorso 1910 chilometri, registrati con l’applicazione Strava, con la quale ho avuto contezza dei chilometri delle singole tappe, che poi ho sommato. Avevo previsto 1700 chilometri, su quattordici tappe. Qualcuno in più, che si spiegano perché durante ogni tappa mi è capitato di vedere qualcosa in paese o in città. Imprevisti non ne ho avuti, non significativi. Non ho mai bucato, ho soltanto trovato qualche deviazione o qualche interruzione alle quali ho dovuto adeguarmi.»
Quali tipologie di strade hai scelto? In quali città hai fatto tappa? Com’è stato il clima?
«L’itinerario programmato si è basato su percorsi quanto più possibile pianeggianti. Ho percorso mediamente centotrenta chilometri al giorno. Le strade provinciali, quelle non periferiche e sterrate; ho evitato le statali pericolose e ad alta velocità. Ho superato gli Appennini a Castel di Sangro, poi ho risalito l’Adriatico. A Rimini ho preso la via Emilia fino a Piacenza, di lì ho proseguito fino a Pavia e poi verso la Valle d’Aosta. Ho superato il Colle del Gran San Bernardo. Oltralpe ho affrontato il percorso fino alla catena dei Vosgi e al fiume Mosella, dove la pista ciclabile mi ha condotto in Lussemburgo alla mia meta. Il clima è stato caldo, almeno finché sono stato in Italia, cosa che ha reso il percorso un po’ più faticoso.»
Avevi qualcuno al seguito, che viaggiava con altri mezzi di trasporto? Come e dove hai riposato?
«Non avevo nessuno al seguito. Non avevo alcun supporto se non ciò che avevo preparato e caricato in bicicletta. Il riposo tra una tappa e l’altra era il tempo che intercorreva tra un arrivo e una partenza; qualche sosta per mangiare e un eventuale breve risposo. Il risposo vero è proprio è quello al campeggio.»
Hai avuto l’ospitalità di qualche amico?
«Ho avuto ospitalità per quattro volte, da parenti o conoscenti, in particolare in Emilia e in Svizzera, da uno zio a Basilea.»
Hai conosciuto persone durante il tuo giro?
«Ho conosciuto molte persone, anche perché quando si viaggia da soli è più facile fare amicizia in quanto parlare con qualcuno diventa una necessità. Ogni occasione è buona. Il manifesto che avevo attaccato alla bici ha contribuito a far incuriosire le persone alla mia avventura e a Famiglia d’Africa. Diverse persone mi hanno addirittura offerto colazione o pranzo. In un campeggio mi hanno offerto il pernottamento. Molti hanno fatto donazioni alla onlus, cosa di cui sono contento.»
Hai riposato in tenda. Il contatto con la natura ti ha aiutato a recuperare le forze tra una tappa e l’altra?
«Il riposo, in tenda per nove notti, è stato una buona esperienza. Il risvegliarsi all’aperto è una sensazione molto positiva. Ho dormito bene e ho recuperato le forze tra una tappa e l’altra.»
Ti sei concesso la visita a qualche luogo di interesse storico, archeologico o artistico, o ti sei concentrato solo sul tuo giro?
«Ho visitato le principali città: Imola, Piacenza, Parma, le città lungo l’Adriatico, Pescara, Ancona. Tra i luoghi di interesse storico la strada romana delle Gallie, prima di arrivare ad Aosta. Ho visto diversi borghi molto belli. Non mi sono fermato per visitare musei, più che altro perché avevo una bicicletta carica, che non volevo lasciare incustodita.»
Hai mangiato pietanze tipiche?
«Ho degustato piatti tipici sia in Italia e sia in Francia e Svizzera. Ho provato soprattutto a mezzogiorno, perché di sera in campeggio preparavo da solo.»
Quali sono state le tappe più impegnative? E quelle più emozionanti?
«Molto impegnativi sono stati i trentasei chilometri in salita per valicare le Alpi. Quando sai che la tappa sarà difficile sei più preparato, mentre ciò che è stato sottovalutato prima presenta difficoltà che ti provano. I primi giorni sono quelli più difficili; ci si stanca più presto. La salita degli Appennini è stata faticosa, a fine giornata. La salita dei Vosgi, mattutina, è stata relativamente semplice. Le tappe più difficili diventano più emozionanti, come quella del Gran San Bernardo. Le Alpi sembrano inarrivabili, soprattutto per noi del Sud: sono un posto bellissimo.»
Hai usato il telefonino per postare sui social selfie, stati, o fotografie?
«Ho usato molto il cellulare, anche perché sono un travel blogger. Ho fatto molti selfie e ho utilizzato anche una telecamera go-pro e un drone. Ho molte immagini, certo.»
Pensi che questo sia stato utile alla tua campagna di sensibilizzazione per le donazioni a Famiglia d’Africa?
«Sì. È un’organizzazione piccola, non particolarmente nota, per cui mi ha fatto piacere aiutarla. I fondi raccolti sono stati circa seicento euro, donati da persone che mi hanno incontrato. Sommando le varie modalità di dono saremo intorno ai mille euro, che per questo periodo (non siamo a Natale!) è una cifra importante.»
A quali momenti sono legati i ricordi più belli?
«Sono legati alle tappe più belle. A fine viaggio comunque anche i momenti più difficili si trasformano in bei ricordi. Sicuramente il Gran San Bernardo è un ricordo che porterò nel cuore. Lungo l’Adriatico, ricordo, ho pensato in particolare alla mia famiglia, ai miei bambini, ho provato nostalgia. Arrivato alla meta mi ha accolto la mia nipotina, ho provato gioia. All’arrivo mi ha accolto un ambasciatore: una bella conclusione, direi istituzionale.»
Chi ti ha accolto all’arrivo?
«C’erano il dottor Mirco Costa, i miei genitori e mia sorella. C’era Paolo De Martino, giornalista di Passaparola Magazine, letto da italiani emigrati in Germania, Francia e Lussemburgo.»
Ti sei emozionato di più alla partenza o all’arrivo?
«L’arrivo è stato più emozionante della partenza. La partenza è dura: lasci casa, i tuoi cari, affronti comunque un viaggio che riserva potenziali pericoli. L’arrivo è stato il coronamento del sogno.»
In tanti parlano di te. Che dici, scopo raggiunto? Rifaresti questo Ride for children?
«Lo scopo era solo famiglia d’Africa, ma posso serenamente dire che ho acquisito contenuti per il mio travel blog e per altre testate per cui scrivo. Il mio blog è stato sicuramente pubblicizzato. Ho avuto la conferma di aver fatto qualcosa di utile e interessante. Lo scopo è stato ampiamente raggiunto. Non avevo preparato una campagna mediatica, avevo curato solo l’indispensabile. Sono stato ugualmente contattato da molte persone per raccontare la mia esperienza. Penso tuttavia che Ride for children non sarà replicato. Il viaggio, pensato per i bambini, l’ho realizzato. Guardiamo a nuove esperienze, con lo stesso spirito e con la soddisfazione di avercela fatta.»
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Nata a Napoli, lavora nel settore dei beni culturali e della comunicazione. Ha scelto di non lasciare il Sud perché ritiene che esso abbia ancora tante cose belle da raccontare”.