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CENA TRIMALCHIONIS, Il menefreghismo dall’età Romana ai giorni nostri

Napoli, 8 Giugno – Sebbene la situazione emergenziale non sia ancora cessata del tutto (anzi, i dati altalenanti relativi alle Regioni maggiormente colpite sono tutt’altro che rassicuranti), in quel di Pozzuoli la movida è ripresa a pieno ritmo: l’intensità del traffico di iersera lascia ben intuire l’ostinata nonchalance che anima l’Italiano medio, il quale – in linea di principio – tende ad assumere condotte orientate al mero soddisfacimento dei propri puntigli od all’autoesaltazione, noncurante dei patimenti cui i propri simili son sottoposti a fronte dei molteplici problemi che insorgono con il susseguirsi dei giorni.

Tra quelli che han preso d’assalto le principali piazze Puteolane molti giravano tranquillamente senza mascherina (o – in modo parimenti imprudente – con quest’ultima appesa al collo, a mo’ di catenella), omettendo di ottemperare alle disposizioni governative che impongono il mantenimento della distanza sociale: di una siffatta imbecillità non v’è alcunché di cui stupirsi, in particolar modo a Pozzuoli!

Al sol vedere la scena descritta m’è subito balzato nella mente un episodio, narrato da Caio Petronio nel suo “Satyricon” ed ambientato – stando a quel che si tramanda – proprio a Puteoli: mi riferisco alla “Cena di Trimalchione” (Lat: “Cena Trimalchionis“), che vede protagonista un liberto (all’epoca diveniva tale ogni schiavo all’atto della liberazione a opera del dominus). Questi, essendo riuscito a trovar ventura conducendo diverse attività commerciali, decise di organizzare un banchetto presso la sua villa, ostentando i propri agi; questi ultimi, tuttavia, non celavano affatto la sua indole rozza: rileggendo il racconto nel suo originale Latino, ho avuto modo di notare l’utilizzo, da parte di costui – e della di lui consorte – di un lessico che certamente non s’addice a dei “signori” e di maniere certamente non ospitali.

Passeggiando per i vicoli del Centro Storico di Pozzuoli con l’intento di sgranchirmi le gambe, mi sono accorto che presso un baretto era in atto un simile convivio: i tavolini erano gremiti di persone senza dispositivi di protezione, assembrate come se nulla fosse accaduto, che sbandieravano di possedere l’ultimo modello di qualche smartphone e bevevano superalcolici fin quasi all’ebbrezza totale. Mi son sentito come Encolpio, uno dei commensali della “Cena” di petroniana memoria – e protagonista assoluto del “Satyricon” -, provando totale disgusto per ciò a cui, mio malgrado, stavo assistendo.

Per fortuna (o, più appropriatamente, per grazia di Dio) abbiamo anche chi, nella piena consapevolezza dei significativi rischi che ciascuno corre a fronte dei potenziali contagi, mette da parte la propria cocciutagine, dando una chiara dimostrazione di civiltà: quest’ultima, sotto il profilo etimologico, costituisce un derivato diretto del termine “civitas“, da rendersi in Italiano con “comunità”.

All’epoca dei Romani, però, la città in cui son cresciuto costituiva per tutti un modello di creanza: il senso d’appartenenza alla civitas era talmente forte da far passare in secondo piano i comodi dei “potenti”; ora, invece, pare che – de facto, giammai de jure! – prevalga la cosiddetta “legge del più forte”, criterio sulla cui base prevale chi, con le sue condotte fisicamente e moralmente violente, è capace di incutere paura al Prossimo ed alle Istituzioni.

Questa gentaglia non ha ben chiaro che…..siamo in uno stato di diritto, nel cui ambito la civile convivenza è retta da regole specifiche (anche di natura non giuridica): vogliamo fare le persone serie? Se vogliamo dar prova che i Puteolani sono bravi, comportiamoci da esseri umani, facendo buon uso della ragione: il mero istinto, infatti, è una peculiarità delle bestie, alle quali ultime è ignota ogni nozione di civiltà e/o di regola.

 

Adriano Spagnuolo Vigorita 

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