Cultura

Ambiente tra passato e futuro della metropoli di Napoli sempre più provinciale

Napoli, 16 Maggio – Negli ultimi decenni tra le informazioni da Napoli e su Napoli che appaiono sui media, sembrano spesso di un ambiente provinciale e non solo della sua ampia periferia. Eppure la Napoli che ho conosciuto io, mezzo secolo fa, si differenziava dalla restante parte della regione Campania e del Mezzogiorno intero per una valenza meno provinciale e più internazionale. Forse perché vedevo con gli occhi giovanili ma Napoli mi appariva più di oggi internazionale e non solo per la cronaca poco edificante che Napoli ha da troppo tempo messo in piazza, mentre inglesi, francesi, ed altrove tengono ben nascosta per le loro città metropolitane. Dopo gli studi a Napoli vi ritornai in commissione d’esame liceale al liceo scientifico “Caccioppoli” nel 1973. Là rivisitai l’ambiente napoletano in altri dettagli. A farmi, in parte, da guida fu il prof. Pasquale Cervo di Caiazzo che presiedeva la commissione d’esame. Il personaggio caiatino mi prese a ben volere perché lesse un mio articolo d’Ecologia Umana dei monti del Matese tra Sannio e Campania. Notai che da caiatino si sentiva anche Sannita per alcune, presunte, virtù “dei Sanniti, come l’onestà e la dignità in particolare di opporsi all’espansionismo di Roma. Oggi mi gratifica sapere che Caiazzo (CE), gli abbia dedicato una strada. Con Pasquale Cervo ci sentivamo spesso anche perché mi raccontava non poco dell’ambiente campano di cui era molto più impastato di me.

Allora, 1969 e dintorni, Napoli era un costante teatro a cielo aperto o meglio più teatrale di altre città che ho frequentato dopo: Genova, Padova, New York, Toronto, Colonia, Buenos Aires, Cairo, Istanbul, Vienna, Budapest, Bucarest e Deva, quest’ultima come sede di servizio docente (2003/04-2007/08) al liceo “Transilvania” per conto del Ministero Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che prima e durante mi nominò commissario esterno d’esame finale di licei italiani all’estero permettendomi così di allargare l’orizzonte.

 

 

A fine anni Settanta frequentai all’Università di Padova, un corso biennale postlaurea in Ecologia Umana e successivamente uno annuale di Ingegneria del Territorio, che mi integrarono i saperi precedenti sviscerati nell’ambiente universitario della “Federico II” della Città del Sole. Con questi saperi e con la voglia espressa dal monito di Plutarco, riportato a parte, cerco di: osservare, ascoltare e leggere più ambienti locali, ma sempre con un tentativo di elevarli ad una dimensione sempre meno provinciale. L’Ambiente, l’Istituto Italiano dell’Ambiente, lo definisce un insieme di Cultura e Natura. Non è facile descriverlo se si procede con l’obiettività scientifica ed anche considerare la cultura, da alcuni secoli soprattutto, dominante sulla natura nel determinare l’economia e le condizioni vitali dell’uomo che abita un territorio. Si potrebbe ricorrere al sapere matematico per ribadire che se A=C+N, C=A-N cioè che la Cultura con la Natura non ha da spartire nulla? Sembra che le cose non stiano proprio così, ma non è questa la sede per un dibattito non breve né facilmente conciliabile tra almeno tre posizioni o visioni ecologiche differenti della cultura contemporanea e non provinciale. Comunque quando si citano i termini ambiente, territorio, paesaggio, bisognerebbe stare più attenti a non scrivere e parlare- come spesso in TV, più popolare o volgare confondendo l’ambiente in generale con quello naturale soltanto e giù con l’ecocatrastrofismo di moda anglossassone che si basa sulla visione biocentrica, ben diversa da quella tradizionale antropocentrica ed anche da quella ecocentrica, che mi trova più concorde anche perché più naturalistica.

Credo anche che tutti gli 8 mld di individui, della specie Homo sapiens planetaria, attuale, siano programmati nel DNA, presente nei 36 cromosomi, per condurre ogni singolo uomo verso un habitat sempre più ampio, quello provinciale è ristretto man mano che decida di vivere in ambienti meno attardati. Ho terminato di scrivere un saggio ”Canale di Pace”, forse da pubblicare anche in inglese per ribadire l’evoluzione del suddito a cittadino e per auspicare uno stato unico globale federato degli attuali esistenti al fine di distribuire meglio le risorse planetarie e prevenire altre guerre mondiali fratricide che le armi nascoste dalle parti potrebbero causare, nonostante si parli di pace nei colloqui diplomatici secondo l’antico adagio “chi parla di guerra prepara la pace” e viceversa. L’Uomo dovrebbe essere, nel XXI sec. dell’era cristiana, non più suddito, spesso di se stesso (anche per ignoranza o analfabetismo di ritorno), ma cittadino, artefice del proprio ambiente. Detto questo, a premessa non marginale, osservo, ascolto, leggo e dueduco che tutte le città possono essere rappresentate teatralmente, ma Napoli lo appare, più che di quello che è realmente, forse per l’origine greca di Neapolis.  Ciò lo pensai a Deva, una mattina mentre entravo al liceo di servizio leggendo il titolo di un media nazionale romeno ”Gunoi a la Atena” (immondizia ad Atene), allora, 2005, anche a Napoli l’immondizia era più evidente dappertutto in città e periferia ampia. Che Napoli fosse teatrale più di altre città lo riconosceva, o almeno lo dichiarava pubblicamente e spesso, anche il valente (scrivo valente perché riusciva a entrare in altri saperi come quelli storici pur possedendo altra formazione universitaria, e con pieni voti, della Federico II) scrittore partenopeo, Ing. Luciano De Crescenzo, indigeno di Napoli centro.

Uno storico come di qualunque altro sapere diverso, spesso, è vittima, inconsapevole, del proprio sapere che è sempre una parte della conoscenza. Per studiare l’ambiente che è complesso di dettagli per sua natura e cultura, non basta il solo sapere dell’ecologia, che comunque si divide in tanti rami settoriali, tra cui quella umana. Da questo media, su cui scrivo volentieri per la precisazione nel logo ”La stampa è l’artiglieria della libertà”, di nome e di fatto, direi. Mi gratifica scriverci per entrare in dettagli ambientali non solo campani. A me non sembra superfluo che nel panorama nazionale italiano, un media che si preoccupi di precisare costantemente- poiché è nel logo del frontespizio- quello che dovrebbe essere ovvio, cioè la libertà di stampa o d’informazione. Invece la libertà di stampa italiana, ma anche fuori delle Alpi e del Mare nostrum, così non è poiché molta stampa è asservita non al libero pensiero del cittadino (secondo l’art. 4 della Costituzione Repubblicana nostrana). Ciò vale anche e forse soprattutto nel Settentrionale ambiente, che vivo da oltre un quarantennio, e che con Napoli costituisce un unicum territoriale italiano da oltre 160 anni (Veneto, invece, dal 1866, dopo la terza guerra d’indipendenza dal dominio dello straniero. Ciò potrebbe essere una delle cause della tendenza a tornare indietro del Veneto come il 74% di voti affidati alla Lega guidata in area provinciale da Luca Zaia come Governance regionale. Nel Mezzogiorno, tra tante ”arretratezze”, non mancano eccellenze più e migliori di altri ambienti culturali italiani attuali come la libertà di stampa, bene essenziale per il progresso sociale del cittadino, non più suddito anche di uno stato che lascia correre  dice di ridurre a parole la burocrazia ma non lo fa mai per non scontentare gli equilibri partitocratici non sempre espressione di Democrazia con la iniziale maiuscola. A volte si resta stupiti a leggere ciò perché la maggioranza pensa che sia l’inverso e che nel Mezzogiorno sia dominante il pensiero asservito agli interessi in gioco tra cui anche quelli dei fuorilegge quasi alla stregua del vecchio West americano o da Mezzogiorno di Fuoco, filmato. Invece si nota che anche alle elezioni normali sia politiche che amministrative il cittadino meridionale è più capace di cambiare rotta e non restare nel vicolo cieco del partitismo precedente, magari sbagliando ancora ma vuole provare. Nel pensiero scientifico abbandonare una strada di ricerca per cercarne on una nuova la scoperta perseguita, è un fatto positivo anche se non mancano gli oppositori. Ciò premesso direi che l’iniziativa di accogliere i turisti, dopo la pandemia ultima, a Napoli centro è brillante. Due cose mi hanno colpito nel leggere il programma su questo media: la ruota degli esposti presso la chiesa dell’Annunziata e le mura greche di piazza Calenda.

Sia l’uno che l’altro reperto ambientale non sono secondari dei saperi storici di Napoli. Manca però la visita dell’Università Federico II, che frequentai e che meriterebbe di essere inserito accanto a quel centro del “cuore popolare” napoletano che le visite guidate, Walking tour e percorsi teatralizzati per valorizzare la storia di un pezzo di Napoli che è ricco di tesori poco conosciuti. Si plaude comunque all’Associazione di promozione sociale Manallart per accogliere i turisti e accompagnarli alla scoperta delle bellezze nel cuore della città. Ma rileggo con il lettore l’articolo apparso in questo media sia formulando auguri che esprimendo qualche critica spero ostruttiva per il futuro prossimo: ”Dopo mesi di stop al via visite guidate, laboratori per bambini e iniziative di rigenerazione urbana Si riparte dalla cultura e dall’importante patrimonio storico-artistico del centro storico di Napoli e, in particolare, dei quartieri Forcella, Maddalena e Capuana. Dopo mesi di stop forzato, dovuto alle restrizioni per la pandemia, tornano in strada i giovani professionisti dell’associazione di promozione sociale Manallart per accogliere i turisti e accompagnarli alla scoperta delle bellezze nel cuore della città. Visite guidate, Walking tour e percorsi teatralizzati per valorizzare la storia di un pezzo di Napoli che è ricco di tesori poco conosciuti. Si scopre la Real Casa Santa dell’Annunziata alle spalle del ‘Rettifilo’, il complesso che custodisce l’antica ‘Ruota degli Esposti’, il meccanismo che ha salvato migliaia di neonati abbandonati da famiglie che non avevano la possibilità di sostenerli o perché li consideravano “figli illegittimi”. Le vicende legate alla bussola in legno, ancora intatta, sono raccontate nel tour sulle origini dell’Annunziata che comprende la bellissima Chiesa e gli edifici storici a ridosso dei due cortili. Si scoprono anche i dintorni: dalla Fontana della Scapigliata al “Cippo a Forcella”, ovvero le antiche mura greche in piazza Calenda. I Walking tour di Manallart attraversano, oltre Forcella, anche il quartiere della Maddalena fino al Decumano Maggiore così da vivere la numerose suggestioni della città e per lasciarsi stupire dalle bellezze lungo strade e vicoli. In piena sicurezza e nel rispetto di tutte le misure anti-covid, le iniziative di Manallart conducono alla scoperta del fitto tessuto urbano del centro storico che, in questi anni, è interessato da diversi interventi di recupero. Con il terzo percorso, invece, si conoscono le storie e le leggende di Forcella e della zona dei Tribunali: seguendo una serie di tappe insolite, si toccano luoghi iconici e poco noti del quartiere e si arriva sul Decumano Maggiore. Per i weekend del mese di maggio Manallart propone anche gli eventi realizzati insieme alla compagnia ‘I Teatrini’ nell’ambito del progetto RigenerArte: si tratta di visite guidate teatralizzate che fanno rivivere le vicende attraverso le voci e le interpretazioni di alcuni attori così da far immergere i turisti nella Napoli antica. Questo delle voci, se in lingua napoletana, non credo che sia una trovata opportuna poiché molti turisti, stranieri soprattutto, conoscono spesso parte o gran parte della lingua nazionale, l’italiano. Direi che quella scelta è più funzionale ad attrarre i turisti ed anche i campani che non conoscono ancora bene la lingua vernacolare potrebbero migliorare la prima. Si questo punto controverso mi piacerebbe sapere il parere del glottologo puteolano, Salvatore Brunetti, ma d’estate, quando mi capita d’incontralo in Molise, nella ex capitale dei Sanniti Pentri, Bojano (CB), me lo dirà. Brunetti, autodidatta eccezionale, sostiene che la lingua napoletana, nata in Puglia, si sia estesa fino a Napoli, Abruzzo e gran parte del Mezzogiorno. Basta leggere i suoi due saggi più noti, uno della grammatica del dialetto napoletano e un altro sul dialetto puteolano, che giudica diverso nonostante la vicinanza geografica di Napoli. Per diffondere la cultura italiana nel mondo, quasi un centinaio di Istituti Italiani di Cultura incentivano e promuovono la lingua italiana non quella vernacolare veneta, napoletana, ligure, toscana, siciliana, ecc.. Noi invece, da buoni provinciali, presentiamo ai turisti i vernacoli, che sono incomprensibili ai più tranne che agli indigeni e magari anche gratis con il contributo della Fondazione Banco di Napoli. Spero che questa critica non accenda una coda di paglia di qualche nostalgico del proprio vernacolo da far conoscere al mondo intero, dimenticando la sofferta storia della lingua italiana o romena o di molte altre lingue. Nel 2013, andai in visita a Napoli con l’Associazione Amici della Ferrovia Alifana di Piedimonte Matese,, che offri un servizio eccellente coordinato dall’animatore del Sodalizio culturale nonchè Cardiologo, G. G. Caracciolo. Dapprima ci condusse al Museo Nazionale della Ferrovia di Petrarsa, poi alla reggia borbonica di Portici, dove ci attendevano gli animatori della compagnia teatrale, che illustrarono il museo in vernacolo napoletano, uno impersonava il re Borbone e l’altra la regina. Mi sembrarono bravi, ma non rispondenti alle mie esigenze di un unico presente non più campano doc, ma anche di altri ambienti da decenni. Mi immedesimai dunque nel turista non campano d’origine, né meridionale e dedussi che la lingua italiana avrebbe reso migliore il servizio reso a pagamento. Ricordiamoci dell’attuale anniversario importante di Dante di 800 anni fa, che moriva a Ravenna con in bocca non l’amore ma l’odio con”ingrata patria non avrai le mie ossa”. L’affermazione linguistica dantesca fu ostacolata eccome e non solo quella di scelta di campo religioso e politico di guelfo bianco. Questa, da nobile e dunque colto, dimenticando il potere vaticano, allora rappresentato dal papa dei Gaetani, Bonifacio VIII, lo costrinse a peregrinare di casa in casa o meglio di mecenate in mecenate, compreso i Carraresi di Padova al tempo di Giotto. Questi ultimi possidenti, erano ricchissimi “usurai” (Scrovegni, da mercanti di scrofe), pagarono bene l’artista toscano Giotto, che realizzò il suo capolavoro nella Cappella degli Scrovegni, ammirato da milioni di turisti paganti e in lingua italiana senza cadenza di vernacolo veneto, qualche napoletano forse si aspetterebbe una scelta diversa linguistica, magari in venetico, a causa anche del leghismo imperante in questo territorio del nordest italiano. Invece no, ma a Napoli no tutto indietro tutta e col treno (dei nobili spagnoli dei Borboni) da Napoli a Portici ad applaudire la loro lingua. Ma c’è il cosiddetto “cuore napoletano” forse senza usare la capo, direi da ex napoletano che gradiva anche la parlata locale, ma non tratti della cultura popolare. Questa spesso la vedevo e la vedo ancora suddita dei nobili e possidenti feudali, che tanto fecero per non promuovere il suddito a cittadino. Notavo, negli anni universitari, che i figli del popolo napoletano non frequentavano abbastanza la sua Università voluta dal nobile tedesco Federico II come università statale e non confessionale come le università bolognese e patavina pure del XIII sec.. Invece a Padova come a New York, Bucarest come Istanbul, Colonia come Genova, ecc. i figli del popolo frequentavano maggiormente le loro università cittadine. A Padova, in particolare, che pure ha oltre 60 mila studenti iscritti all’ateneo, molti sono padovani e del territorio provinciale e in gran parte figli dei ceti popolari non molto abbienti, mentre a Napoli i più erano dei ceti medio borghesi e di fuori provincia e di altre regioni meridionali, adesso l’ateneo ha più sedi decentrate anche a SA, CE, BN, SA, ecc.. Alcune iniziative di Manallart sono state inserite nel programma della XXVII edizione del Maggio dei Monumenti del Comune di Napoli e sono offerte gratuitamente grazie al sostegno dalla Fondazione Banco di Napoli. Inoltre, grazie alla collaborazione con l’associazione commercianti ‘AForcella’, i turisti che partecipano alle visite di Manallart beneficiano di uno sconto per gustare le bontà culinarie e gastronomiche del centro storico o presso altri negozi del quartiere. Dopo gli altarini ai camorristi morti, Napoli centro aveva bisogno di risollevare l’immagine positiva per offrirla ai turisti, che però avrebbero gradito anche di conoscere l’ambiente che fu del 1799 in onore anche di un secolo dalla morte di Napoleone. Questi il 5 maggio 1821 moriva a Sant’Elena, ma le sue imprese militari e il codice civile napoleonico appartengono alla storia europea. Sono abbastanza conosciuti il suo interesse per le matematiche e l’amicizia che lo legò a Lagrange, Laplace, e soprattutto a Monge. Non altrettanto note sono le riforme napoleoniche nel campo dell’organizzazione delle comunità scientifiche, dell’università e delle scuole: creò i Licei, promulgò il Codice Civile, riformò il sistema universitario. Napoleone fu anche Presidente della prima Repubblica Italiana del 1802 e poi Re d’Italia, dal 1805 alla fine della sua avventura politica e militare, lasciando un’eredità ancora riscontrabile nelle nostre Università, nelle Scuole, nelle Biblioteche, negli Atenei civici. Da poco tempo a Milano ben 75mila pagine di giornale hanno rivestito il pavimento della Stazione Centrale per la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa. Con un’opera il collettivo artistico PXLs ricorda come l’Italia sia al 41° posto per la libertà di stampa nel mondo secondo l’ultima indagine diffusa da Reporter Senza Frontiere – 75mila pagine di quotidiani italiani sul pavimento di piazza Duca D’Aosta, 700 metri quadrati destinati ad essere calpestati da chi corre a prendere il treno, 1 titolo e un messaggio: Sarà Vero?

In occasione della Giornata Mondiale per la libertà di Stampa che si è celebrata il 3 maggio il collettivo artistico PXLs, ha scelto una piazza simbolo di Milano, davanti alla Stazione Centrale, per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema di stretta attualità. Secondo il rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere, in oltre 130 Paesi nel mondo l’esercizio del giornalismo “vaccino principale” contro la disinformazione è “totalmente o parzialmente bloccato”. In questo scenario l’Italia si classifica al 41° posto, ultima in Europa. “Sarà Vero?” L’opera “non è una provocazione – spiega Blu-PXLs, portavoce del collettivo PXLs – ma un invito a riflettere su quello che leggiamo e su come le informazioni ci raggiungono, in modo sempre più pervasivo. Nessun lettore di giornale si domanda abitualmente dove stia la verità. L’uso dei saperi scientifici, soprattutto, viene fa spesso uso d’ipotesi verosimili. Da un po’ di anni alcuni studiosi di saperi fisici, soprattutto, tendono a porre sotto i riflettori della razionalità specialistica anche la coscienza o consapevolezza, come fa lo scienziato tecnologico negli Usa, ma nativo di Vicenza e laureato in Fisica a Padova con il massimo dei voti nel 1965. Egli tenta di analizzare anche la religiosità umana nei pacchetti energetici dei quanti che la meccanica quantistica indaga. I naturalisti, almeno chi scrive, si affaccia, tramite l’Ecologia Umana, dal balcone dell’anatomia comparata per riesaminare meglio la memoria encefalica. Il paleoencefalo ha molto di memoria inesplorata ancora, mentre il neoencefalo ha quella superficiale dei ricordi umani che vanno anche un po’ oltre l’età infantile. A Deva ho conosciuto tanti scrittori della comun Associazione omonima della Judet Hunedoara. Diretta dalla colta Mariana Pandaru. Tra questi ricordo l’ing. Victoria Solojan, il farmacista Dumitru Talvescu, Dumitru Hurubà, la poetessa con casa edirice Emia, Denise Toma che anima la rivista Vox Libri, l’ex collega storico +Gligor Hasa e il suo più giovane Vlaic Sorin, ancora in servizio al comune liceo, che cura anche il folclore popolare come le colinde natalizie ammirate anche dal consiglio municipale cittadino lo scorso anno, come riporta face book. Il passato storico e l’attualità della Romania lo delineai nel saggio “Italia e Romania. Geografia, Analogie Regionali e di Ecologia Umana”,Sapere Edizioni, 2010. Traiano conquista la Dacia nel 106 d.C. e al  rito del trionfo a Roma seguirono 112 giorni di festa con 10 mila gladiatori in combattimento e 11 mila animali uccisi. Il suo bottino di guerra in Dacia fu di 1.635 tonnellate d’oro e 3.270 tonnellate d’ argento. I nobili Daci avevano le posate d’oro e forse anche molto mobilio d’oro per le numerose miniere a cielo aperto dei monti Apuseni, da me visitati con le miniere d’oro scavate con l’ingegno dei Romani, a forma trapezoidale e con filone aurifero in alto.

In una rivista romena c’era scritto: “O data ce ei o hotarare, intereg Universul partecipa la indeplinirea ei…” (Una volta presa una decisione, l’intero universo partecipa al suo adempimento …). Nel cervello noi naturalisti, in genere, cerchiamo tracce del legame dell’Uomo con l’Universo, altri, alcuni fisici, le cercano nella meccanica quantistica come Federico Faggin, che ho visto e sentito all’Università di Padova, prima della pandemia da Covid19. Ciò premesso passo a ricordare i 2 secoli che ci separano dalla dipartita di Napoleone Bonaparte, che il 5 maggio onoriamo nella grande famiglia dei cittadini delle università dei licei, delle scuole di base e fuori nel più affollato ambiente sociale. L’anelito dell’Homo sapiens alla libertà, all’uguaglianza e alla fraternità trovò nel periodo napoleonico non pochi aspiranti. L’Ambiente europeo, durante la vita dell’illustre condottiero militare francese, era diverso da quello attuale con l’Unione Europea, che tenta di federare quasi una trentina dei suoi stati affetti ed afflitti da una sorta di cordone ombelicale con populismi e territorialismo retrospettivi storicamente. Allora- quando gli inglesi sconfissero, in coalizione di russi, prussiani, ecc., le armate francesi guidata da Napoleone- come ora, la Gran Bretagna con i suoi novelli Optimates (nobili consoli romani in genere conservatori anche se alcuni come Giulio Cesare erano Populares) tenta di egemonizzare il continente politico europeo pur essendone sostanzialmente un’isola. A Piedimonte d’Alife, a Letino, come negli altri circa 8000 comuni italiani i feudatari ci sono stati e per secoli, adesso ci sono i novelli populares in abbondanza e qualche optimates più verso la costa campana, ma senza essere entrambi prima nominati Consoli con un Cursus honorum ben noto a tutti. Il clero è stato quasi sempre ossequioso dei nobili anche se dovevano mediare tra le anime popolari e quelle nobiliari o dei signori di origine dai gentili e consoli optimates romani e civiltà precedenti in Grecia ed Egitto antichi fino ad oltre 6 mila anni fa. A Piedimonte d’Alife le arti liberali si sono sviluppate più degli altri paesetti della media valle del fiume Volturno sia per la presenza di nobili di alto lignaggio come i Gaetani sia per l’ambiente naturale ricco per far crescere commercianti, artigiani, piccoli e grandi imprenditori, avvocati, medici, ingegneri, molti periti agrari e agronomi per la storica scuola piedimontese, periti, industriali, ragionieri, liceali, ecc.. Figlio di questi ideali sono tanti emigrati per cercare più opportunità lavorative ed anche per non restare in un ambiente inficiato da troppa burocrazia alimentata ad arte dai feudi elettorali campani. Un secolo, tra tutti, che ha favorito lo sviluppo o il divenire del suddito cittadino è stato il 1700 o secolo dell’Illuminismo. L’ambiente illuministico  nel 1799 vide quel movimento di intellettuali che diede vita ai moti e alla (breve) esistenza della Repubblica Partenopea con reazione borbonica che incrementò i martiri della libertà dai Borboni e ne fece uccidere oltre 120 compresa la colta straniera Eleonora Pimentel Fonseca, che prima di morire citò Virgilio: ”Forsan et haec olim meminisse iuvabit” (Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo). Lapide commemorativa a Procida in Piazza dei Martiri, luogo delle prime esecuzioni dei 122 esponenti della Repubblica Napoletana del 1799, giustiziati dalla politica restauratrice repressiva dei Borboni dopo la caduta della repubblica con l’albero della libertà. Tra essi, 119 uomini e tre donne. Le esecuzioni cominciarono a Procida già alcuni giorni prima della caduta della Repubblica, il 1º giugno del 1799, per concludersi oltre un anno l’11 settembre 1800 a Napoli. Le condanne vennero eseguite quasi tutte per impiccagione (ai nobili venne per lo più comminata la decapitazione), tra Procida (nell’attuale Piazza dei Martiri) e Napoli, in piazza del Mercato, luogo storicamente deputato alle esecuzioni. Tra gli eroi-cittadini  ricordo quello non del calcio né della chiesa, ma del vivere civile anche se i punti di vista storici non sono unanimi: Ercole D’Agnese nato a Piedimonte d’Alife il 3 maggio 1745, prof. universitario di filosofia del diritto e, in seguito, presidente della Repubblica Partenopea, giustiziato a Napoli il 1º ottobre 1799, seppure nobile, per impiccagione. Fu giustiziato, sebbene versasse in condizioni disperate a causa degli effetti del veleno che ingurgitò per sfuggire all’esecuzione, a Piazza del Carmine a Napoli. Ecco ai turisti che visitano il centro di Napoli va detto anche questo dell’ambiente napoletano e non solo della magnificenza dei Borboni, le loro reggie, la loro ferrovia, ecc. L’Università degli Studi di Padova, il prossimo anno fa 8 secoli di vitalità culturale, fu fondata nel 1222. Dal 1405 Con il passaggio sotto la Governance di Venezia, inizia per l’Università di Padova il periodo di massimo splendore. Essa diviene un centro di studio e ricerca internazionale grazie alla relativa libertà e indipendenza garantita dalla Repubblica di Venezia, della quale Padova viene a costituire il centro culturale, e grazie anche alla potenza economica e politica della ricca Repubblica Marinara della Serenissima. È in quest’epoca aurea che l’Università adotta il motto “Universa Universis Patavina Libertas” ((“La Libertà di Padova è Universale e per Tutti”).e si afferma come il principale centro scientifico d’Europa. Le visite guidate per i turisti sono un esempio di come anche Napoli dovrebbe fare per la sua Università che non è seconda a nessuna, ma per l’Ocse ed altri organismi non gode di una buona posizione nella graduatoria mondiale degli atenei.

Nell’atrio cinquecentesco e nell’Aula Magna di questa Università ci sono gli stemmi nobiliari di molti studenti che l’hanno frequentata, come ben in vista la cattedra lignea di Galileo. Dunque i cittadini nobili per un tempo non breve della storia moderna dell’Homo sapiens, erano i soli che frequentavano le Università? Poi, piano piano, anche per merito degli ideali della Rivoluzione Francese e di Napoleone che li esportò in Italia e a Napoli, i figli delle arti liberali poterono accedere all’Università. Ritornare nell’ambiente del periodo napoleonico, presume amare la verità storica, che non sempre è quella scritta da chi di quel periodo vorrebbe la damnatio memoriae. Nel mio saggio Canale di Pace, cito, a volte, la monarchia papale come freno dell’evoluzione del cittadino, ma non pochi sono stati gli esponenti cattolici che hanno contribuito allo sviluppo del pensiero scientifico, tecnico e politico che per il cittadino italiano è espresso dai doveri dell’art. 4 costituzionale. A Padova il vescovo del periodo galileano, 1592/1610, era per il sistema eliocentrico e non geocentrico ribadito dal Papa, anche con la condanna al rogo del monaco nolano e prof. universitario, Giordano Bruno, a Roma, in Campo dei Fiori.ù

Rileggendo, nel ricco sistema digitale gli ultimi giorni di Napoleone, il suo testamento e le onorificenze tributatigli circa 20 anni dopo a Parigi, in occasione della traslazione della salma, faccio qualche deduzione. La prima è che il grande Francese, non fu solo un capo militare e politico, ma un amante dei principi liberali che la Rivoluzione Francese espresse in Europa e nel mondo in un ambiente ancora dominato dal blocco frenante l’evoluzione del cittadino. Tale blocco d’ordine costituito era rappresentato dai monarchici, soprattutto Guelfi e dal clero succube pure della cattedra di Vescovo di Roma. Su tale cattedra, come su quelle diocesane e cardinalizie, sedevano solo i nobili e qualche sporadico frate come Celestino V, il cui destino fu legato al più colto nobile Caetani poi Gaetani, papa Bonifacio VIII. Ad onore storico Bonifacio VIII allontanò la sede apostolica da Napoli, “controllata” dal re, che riteneva ubbidiente Celestino V. I nobili nell’ambiente di Roma Caput Mundi furono politeisti e così il popolo che guidavano col governo della res publica sul vasto impero. Furono tutti politeisti prima di Costantino il Grande, altro despota che fece uccidere alcuni suoi familiari per il suo personale potere. Napoleone Bonaparte, invece, non pare che fosse un despota soltanto in quanto esportò principi liberali per la crescita del cittadino in Europa e in Egitto. Egli mori, esiliato dagli inglesi, sull’isola di Sant’Elena, il 5 maggio 1821.  Ancora oggi dopo due secoli Napoleone è uno degli uomini tra i più famosi della storia. Nell’autunno del 1786 Charles Alexandre de Calonne (1734-1802), un economista che svolgeva l’incarico di controllore generale delle finanze di Francia, propone al re un pacchetto di riforme finanziarie molto avanzate, che andavano ad eliminare alcuni privilegi delle classi privilegiate: Nobiltà e Clero. Per scongiurare una rivolta delle classi privilegiate, il re aveva bisogno di supporto per realizzare queste misure.   Per questo motivo, il re indice gli Stati Generali, un’assemblea dove i rappresentanti delle tre “classi” che costituivano la società francese: nobiltà, clero e borghesia, si riuniscono. Gli Stati generali vengono convocati per il 5 maggio del 1789: era in qualche modo un evento epocale, perché non venivano convocati dal 1604.  I membri del “Terzo Stato” (popolo e borghesia), rappresentavano il 98 % della popolazione. Nonostante questo, potevano essere tranquillamente sconfitti dal potere di veto degli altri due “ordini”. Ma questa non è la sede per la sola Storia della ben nota Rivoluzione Francese, ma anche per ricordare che a Caserta c’è una nota Reggia omonima voluta nel XVIII sec. da Carlo III di Borbone, nobile spagnolo che regnava anche in provincia napoletana. Di quel monarca più famoso ho osservato la statua in non poche piazze di Madrid. I Borboni furono nobili forse poco illuminati, troppo fedeli dei papi e ostacolarono le nuove idee illuministe, frenando lo sviluppo del suddito a cittadino come gli oltre 100 cittadini che trucidarono nel 1799 a Napoli. Uno era un piedimontese colto, Ercole d’Agnese, che aveva vissuto e studiato anche fuori del loro regno, spagnolo, in Italia. Anche gli innamorati, senza alcuna riserva, dei Borboni a Napoli, dovrebbero ricordare che l’l’Italia unita, con tutti i limiti della monarchia dei Savoia, ristabili monarchie di nobili italiani e non stranieri sul territorio patrio analogamente alla Germania, unici due stati sorti nel 1800 in Europa. Napoleone Bonaparte rinnovò, modificando non poco dell’ambiente naturale, economico, civile, religioso e politico dell’Europa. Non fu Guelfo e non fu un monarca e imperatore restauratore, ma illuminato, pur con tutti i limiti di un ex militare nativo della Corsica, basso di statura, ma di grande levatura ideale da onorare più di altri regnanti le sorti mondiali di ieri e di oggi. Infine, direi, che ai turisti che giungono per visitare il centro di Napoli, andrebbe illustrato anche l’ambiente popolare e nobiliare napoletano del 1799 per onorare il sapere storico e non solo quello diverso di folclore locale, tanto caro ai nostalgici pronti a gridare ”si stava meglio quando si viveva peggio”!

 

 

 

 

Giuseppe Pace (già prof. pure all’estero e sp., in Ecologia Umana)

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