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Alluvioni, un’Italia che frana e si sbriciola

Antonello Fiore ( geologo – Presidente Nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale) : “Un’Italia che frana e si sbriciola non appena piove per due giorni di fila, ecco l’immagine del nuovo anno, quasi a imporre alla nostra attenzione il problema di fondo e il più trascurato della politica italiana: la difesa dell’ambiente, la sicurezza del suolo, la pianificazione urbanistica. I disastri arrivano ormai a ritmo accelerato e tutti dovremmo aver capito che ben poco essi hanno di naturale, poiché la loro causa prima sta nell’incuria, nell’ignavia, nel disprezzo che i governi da decenni dimostrano per la stessa sopravvivenza fisica del fu giardino d’Europa e per l’incolumità dei suoi abitanti”.

Napoli, 19 Maggio – “Un’Italia che frana e si sbriciola non appena piove per due giorni di fila, ecco l’immagine del nuovo anno, quasi a imporre alla nostra attenzione il problema di fondo e il più trascurato della politica italiana: la difesa dell’ambiente, la sicurezza del suolo, la pianificazione urbanistica. I disastri arrivano ormai a ritmo accelerato e tutti dovremmo aver capito che ben poco essi hanno di naturale, poiché la loro causa prima sta nell’incuria, nell’ignavia, nel disprezzo che i governi da decenni dimostrano per la stessa sopravvivenza fisica del fu giardino d’Europa e per l’incolumità dei suoi abitanti.

Questa riflessione potrebbe esse stata scritta dopo l’evento che ha colpito L’Emilia Romagna nei due eventi del maggio 2023, dopo l’evento che ha colpito l’Isola di Ischia il 26 novembre 2022 dopo l’alluvione del 15 settembre 2022 delle Marche, della Liguria, del Piemonte, della Sardegna, Sicilia, dopo l’alluvione che ha colpito il Gargano nel 2014, e così indietro nel tempo.

No! Queste sono le parole di Antonio Cederna pubblicate dal Corriere della Sera il 3 gennaio del 1973. Cosa è cambiato in questi anni? Poco, se non in peggio, con gli effetti del cambiamento climatico e il costante consumo di suolo. Come possiamo fronteggiare la fragilità dell’Italia e della nostra regione di fronte ai pericoli geo-idrologici come le frane, le alluvioni?

Lo strumento primo è la conoscenza, conoscenza delle caratteristiche del territorio e le sue dinamiche naturali che sostengono come delle colonne la volta della pianificazione territoriale. Senza trascurare la manutenzione del territorio, attraverso la gestione delle aree interne; la manutenzione delle opere già realizzate, opere di regimentazione dei corsi d’acqua e i terrazzamenti delle colline. A seguire gli interventi strutturali di consolidamento con la necessità di individuare delle priorità visto che nel 2020 l’ISPRA nel Rendis indicava oltre 7800 interventi con una previsione di spesa di 26 miliardi di euro.

E’ necessario definire la norma nazionale efficace a contenere il consumo di suolo, con una particolare attenzione alla rigenerazione delle aree urbane. Per fare realmente tutto questo non servono commissari e poteri speciali, serve potenzia gli enti pubblici con professioni tecniche specializzate e serve un cambio di cultura, una trasformazione nella interpretazione nel rapporto tra ambiente e attività umane; una trasformazione che se inizia oggi a favore dei più piccoli, forse, si completerà fra due generazioniLo ha affermato Antonello Fiore, geologo, Presidente Nazionale della Società Italiana di Geologia Ambientale, intervenendo sugli eventi di queste ore.

La dinamica raccontata dal climatologo. “Cessato dal punto di vista meteorologico il drammatico evento atmosferico che ha colpito il nord delle Marche e l’intera Romagna, si possono evidentemente trarre brevi conclusioni di tipo climatologico dinamico e statistico su quanto avvenuto.

Statisticamente – afferma Massimiliano Fazzini (Coordinatore nazionale area tematica SIGEA-APS Crisi climatica) – si è trattato di un evento eccezionale – essendo state le cumulate meteoriche mediamente comprese tra 200 e 270 mm in 36 ore in un’area peraltro molto vasta. Valori molto elevati relativamente all’area oggetto della disamina, che presenta cumulate medie annuali relative al trentennio di riferimento 1991-2020 comprese tra 870 e 1020 mm, a seconda dell’ubicazione in pianura o nella basa collina romagnolo pesarese. Tutto ciò deriva dagli effetti di una profonda depressione di genesi mediterranea che, impedita nel suo naturale movimento verso levante a causa di un anticiclone di blocco esteso nell’area balcanica, si è mantenuta stazionaria nella sua ubicazione spaziale sull’Italia centro-meridionale per oltre 36 ore – tra la mattinata di martedì 16 e la serata di mercoledì 17 maggio. Tale profonda struttura di bassa pressione ha di conseguenza favorito la convergenza di masse d’aria di diversa origine e tempertura-umidita assoluta – componente “caldo – umida” sud-orientale in risalita dal settore adriatico e componente più “fredda” di estrazione continentale proveniente da nord est. Si sono cosi generate precipitazioni sull’intero territorio romagnolo e delle Marche settentrionali. Infine, l’interazione con i primi contrafforti della catena appenninica ha amplificato il fenomeno di sollevamento delle masse d’aria – effetto stau – determinando abbondanti precipitazioni prevalentemente sulla zona collinare estesa tra le province di Ravenna e Pesaro.

Purtroppo pero tale situazione sinottica segue in tempi estremamente ridotti l’evento del 2-3 maggio, molto simile a quello appena descritto sia a livello di distribuzione dei campi di pressione, sia relativamente all’intensità media delle precipitazioni, sia infine alla cumulata molto simile a quello appena descritto. Tuttavia il centroide delle fenomenologie era ubicato appena piu a nord – ovest di quello attuale. Ne deriva che le fenomenologie comuni ai due eventi meteorologici sono state piu estese e reiterate oltre che le cumulate piu abbondanti nei territori collinari e pianeggianti compresi tra i bacini del Lamone e del Montone-Rabbi – dove le cumulate totali della prima meta del mese di maggio hanno localmente superato i 500 mm.

Tale quantità di precipitazione si stima essere del 50-60% circa rispetto alla prima citata cumulata media annuale trentennale. Evidentemente, dunque i due eventi rappresentano complessivamente una condizione eccezionale statisticamente ma anche a livello di impatto sull’ambiente fisico dell’area colpita, con le naturali ovvi devastanti effetti sulla popolazione e al suolo. Occorre pero precisare che il concetto di tempi di ritorno si conferma ancora una volta non piu adatto a definire le proprietà statistiche di un evento meteorico nel momento in cui due eventi eccezionali si sono succeduti nella stesa area a distanza temporale di 15 giorni. Risulta quindi palese che in un contesto climatico estremizzato, tale quadro meteorico complessivo è palesemente riconducibile ad un “nuovo clima pluviometrico” benché la statistica non possa ancora essere da conferma di tale evidenza”.

Urgono Piani di adattamento ai cambiamenti climatici. “FIUMI di miliardi sul ponte dello stretto e gli armamenti, al posto di FIUMI di miliardi sui FIUMI, per mettere in sicurezza il territorio: urgono Piani di adattamento ai cambiamenti climatici, dove formazione e comunicazione del rischio, sono i cardini della prevenzione e gestione “dell’ultimo miglio”!

Con tempi di ritorno non più secolari ma settimanali come in Emilia Romagna – puntualizza Enrico Gennari (Coordinatore nazionale area tematica SIGEA-APS Agenda 2030 Sviluppo Sostenibile – Ecologia Integrale – continua ad alzarsi il grido di una Terra ripetutamente violata, sfruttata e rapinata in lungo e in largo. Complice il cambiamento climatico e lo scriteriato impegno messo nella impermeabilizzazione del terreno al ritmo di 2 mq al secondo, l’ennesima “bomba d’acqua” ha picchiato duro, e in poche ore ha sbriciolato la nostra bella Casa Comune, tirandosi dietro con l’acqua il fango e i morti, in una catastrofica distruzione.

Appare allora incredibile che s’impegnino tante risorse per un’opera complessa sullo Stretto, non urgente, e, vista la fragilità del Paese, non opportuna; ben altre sono le priorità, dal clima con desertificazione, al dissesto geo-idrologico con frane e alluvioni, dai terremoti, vulcani e maremoti alle rinnovabili per una transizione che sposta i consumi dalle fossili all’eolico, fotovoltaico, idroelettrico e geotermico!

Le immagini di questi giorni parlano chiaro: siamo ospiti, custodi e non padroni sulla Terra; lo stesso Pontefice nella Laudato sì sottolinea che “Dopo un tempo di fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane …. cresce una grande e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta (LS 19)”. Ma mentre avvertiamo il ritardo e quindi l’urgenza di serie politiche di adattamento ai cambiamenti climatici, che richiedono ingenti risorse per la prevenzione e gestione dei rischi, assistiamo a una corsa affannosa per spendere denaro pubblico su un progetto faraonico, passato da 8,5 a 14,5 miliardi di euro; ulteriori 7 milioni poi sono per il piano di comunicazione che, questo sì, sarebbe davvero urgente per una innovativa gestione dell’ultimo miglio (nowcasting), considerata l’entità dei rischi che stravolgono il Bel Paese: geo-idrologico, sismico, vulcanico, valanghe, maremoti, non ci manca nulla!.

Se ancora non bastasse, s’è capito dove stanno le priorità di un territorio non più resiliente; ma nemmeno l’Europa, che ha lanciato un piano per produrre 1 milione di munizioni all’anno, l’ha capito, visto che per far questo il nostro governo pò usare anche i fondi del PNRR! Dei tre pilastri, transizione verde, transizione digitale e resilienza, i progetti industriali per la difesa – armata – sono ritenuti a favore della resilienza! Se il buon esempio viene dall’alto, in barba a tutte le promesse, non c’è allora da stupirsi se ancora non sia stata fatta la legge per zero consumo di suolo; si continuano a realizzare opere strategiche – resilienti – ma talora superflue o inutili, impermeabilizzando, cementando, consumando irreversibilmente altro suolo, in deroga.

C’è chi sta pregando il Padre Eterno, ma speriamo che “Dio non lasci che le conseguenze dei nostri comportamenti, ostinatamente scriteriati, producano i loro effetti devastanti e dolorosi”, visto che “Il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana”.

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