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UN PAESE PER LONGEVI

In memoria di Mario Corso (25 agosto 1941 – 20 giugno 2020)

Napoli, 29 Giugno – Nelle ore che precedono immediatamente gli incontri dell’Inter, la mia adrenalina raggiunge l’apice: la ripresa della stagione calcistica, fortemente bramata dagli imparruccati di Palazzo Chigi (e da essi preferita alla riapertura delle scuole e degli altri luoghi di formazione), aiuta di sicuro a far tornare il buonumore nelle nostre case, ma, al tempo stesso, ci induce a ricordare che, purtroppo, molti tifosi sono venuti a mancare dopo aver lottato strenuamente contro il Sars-CoV2.

Questa avrebbe dovuto essere, per l’Inter, la stagione del riscatto: non si dimentichi che il più recente dei trofei presenti nella sua bacheca (una Coppa Italia) risale a ben nove anni or sono, quando la Beneamata, allora magistralmente guidata da Leonardo, s’impose per tre reti a uno sul Palermo di Delio Rossi.

La giornata del 20 giugno s’è rivelata particolarmente amara per i fans Nerazzurri: dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale, s’è spento a Milano Mario Corso (alias Mariolino), uno dei più grandi attaccanti ad aver vestito ed onorato la maglia del club.

Il suo stile di giuoco era caratterizzato da una marcata innovatività: diversamente dai suoi compagni, Mariolino aveva l’abilità di riuscire a cogliere la palla al balzo, sfruttando le occasioni propizie per segnare, oppure – come è avvenuto il più delle volte – per cambiare in modo significativo le sorti di un incontro.

Siccome ciò che presenta elementi di novità è sovente mal visto dagli “accademici” – i quali, credendosi chissà chi, sono sempre pronti a criticare senza voler approfondire -, il compianto attaccante Nerazzurro non è riuscito a riscuotere un successo di pari portata nelle fila della Nazionale: nonostante egli fosse ligio al proprio dovere e, al tempo stesso, pronto a trascinare la squadra, l’allora Commissario Tecnico, Edmondo Fabbri, non lo considerava un valido elemento, opinione che lo condusse ad escluderlo dalla lista dei convocati per i campionati del mondo svoltisi in Cile nel 1966.

Neanche il successore di Fabbri, Ferruccio Valcareggi, ritenne opportuno riservargli un posto nella rosa che poi vinse i campionati d’Europa due anni dopo, battendo in finale la Jugoslavia.

Anche oggigiorno, egregi Lettori, nel nostro Paese pare non si nutra alcun interesse per quanto presenta i connotati della novità: mi riferisco, in primis, alle generazioni future, sovente viste dai più longevi come masse di viziati, di persone pronte a trovare mille scuse per non lavorare, promotrici di idee strane ed apparentemente inattuabili, et cetera.

Falso: non bisogna mai generalizzare e, al tempo stesso – cosa che rammento, innanzitutto, a me medesimo -, è necessario (anzi, indispensabile) aprire le porte della propria scatola cranica alle rivoluzioni copernicane; diversamente, si rischierebbe di trascendere in quella prepotenza che caratterizzò l’agire della Chiesa nei riguardi di grandi scienziati e filosofi, tra cui Giordano Bruno e Galileo Galilei (e lo dico da fervente cattolico!).

Io sono e resto dell’avviso che chi profonde il massimo dell’impegno e dà dimostrazione di aver acquisito una serie di abilità ed un certo grado di maturità abbia diritto – perlomeno sotto il profilo morale – a vedersi garantire la possibilità di andare avanti, di ambire a mete che paiono irraggiungibili ma che, nella sostanza, possono essere ottenute.

Mario Corso ci ha insegnato che gli snobs sono, ohi noi, all’ordine del giorno, oltre a farci capire che l’Italia è, di fatto, un paese per longevi; tuttavia, se ci si batte sino all’ultima goccia di sangue, sarà possibile per i giovani nutrire qualche speranza di affermarsi.  Speriamo che sia così!

 

Adriano Spagnuolo Vigorita
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