Cultura

Lo Sbarco in Normandia, il nuovo libro dell’ambasciatore Domenico Vecchioni: intervista con l’autore

Napoli, 11 Luglio – Lo Sbarco in Normandia, il D – day, è una delle operazioni più eroiche ed affascinanti delle truppe alleate durante la seconda guerra mondiale.

Uomini valorosi, strategie politiche e militari, vengono raccontate in maniera magistrale da Domenico Vecchioni che, “ricama” ogni passaggio storico senza così stancare il lettore.

Cominciamo questa intervista con la morte, avvenuta giorni fa di Leon Gautier, ultimo veterano del commando Kieffer. Egli amava dire: “Non siamo eroi, abbiamo solo fatto il nostro dovere”. Dal suo libro si evince proprio questo e tanto altro.

“Il generale De Gaulle non poteva accettare che la Francia fosse assente da un’operazione militare destinata a liberare il suolo patrio dai nazisti. Dovette insistere parecchio perché un piccolo contingente francese fosse “ammesso” tra le truppe alleate al momento dello sbarco. In quel periodo del resto i rapporti politici tra paesi alleati e la Francia erano piuttosto complicati e, per certi aspetti, paradossali. Washington non riconosceva più il governo collaborazionista di Pétain, ma non riconosceva ancora quello di De Gaulle! Gli americani, infatti, pensavano di stabilire nella Francia liberata un governo militare che avrebbe assicurato la gestione del paese fino alla conclusione della guerra e alle prime elezioni libere. De Gaulle, invece, riteneva che esistesse già un legittimo governo: il suo! La presenza quindi del gruppo guidato dal capitano di corvetta Philippe Keiffer andava in questa direzione ed ebbe un forte significato politico e simbolico. Un passo che assunse dimensioni ben più ampie, quando, il 1° agosto 1944, sbarcarono sulle coste normanne le truppe della 2° divisione corazzata (20.000 uomini) del mitico generale Philippe Leclerc, che avrebbero partecipato alla liberazione di Parigi quattro settimane più tardi. Il gruppo di Keiffer era composto di sole 177 persone, tutti elementi altamente selezionati e addestrati della Marina Nazionale francese. Giovani, coraggiosi, profondamente motivati, suscitarono l’ammirazione dei colleghi inglesi e canadesi con i quali sbarcarono sulla spiaggia di “Sword”.  Tanto che nel 2008 fu creato in Francia un gruppo d’incursori marini tra i più audaci e pronti all’azione, denominato appunto “Commando Keiffer ”, in ricordo e in onore del capitano Keiffer e dei suoi intrepidi uomini. Non meraviglia di conseguenza la frase di Leon Gautier. I veri eroi non sono consapevoli di essere tali.  Agiscono per convinzione, istinto, patriottismo, senso del dovere. Se c’è una missione da compiere, loro la compiono, senza farsi scoraggiare dai rischi esistenti e senza troppo aspettarsi ricompense e riconoscimenti.  E gli uomini del capitano Keiffer furono tutti eroi!”

Il fronte occidentale era indispensabile.  Se lo sbarco in Normandia non fosse riuscito, cosa sarebbe accaduto?

” È sempre un po’ azzardato giocare ai “se” della Storia…Cosa sarebbe successo se lo sbarco in Normandia fosse fallito? La sconfitta del resto era un’ipotesi che non si poteva escludere, nonostante la superiorità in uomini e armamenti degli alleati. Tanto che Eisenhower, il 6 giugno 1944, predispose due messaggi. Uno, d’incoraggiamento agli uomini che si accingevano a sbarcare sulle coste della Bassa Normandia, l’altro, da far circolare eventualmente la sera, in caso di sconfitta, una sconfitta di cui si assumeva l’intera responsabilità! Cosa sarebbe successo se Eisenhower fosse stato costretto a diramare il secondo messaggio? Probabilmente gli alleati ci avrebbero riprovato in seguito… Ma non avrebbero potuto farlo prima di qualche mese, il tempo necessario per riorganizzare un’operazione di così colossali dimensioni. Tempo, però, prezioso per Hitler che avrebbe potuto riprendersi, accelerare il lavoro dei suoi scienziati per la costruzione di armi di distruzione massiva, il che avrebbe prodotto ulteriori devastazioni e vittime alleate. Insomma è molto probabile che gli alleati avrebbero vinto la guerra in ogni caso, ma con ulteriori e terribili costi. Sul piano politico poi l’eventuale fallimento dello sbarco, avrebbe messo gli alleati in situazione sfavorevole nei futuri assetti europei. Uno degli obiettivi reconditi dello sbarco era, infatti, di non lasciare ai sovietici, che avanzavano dall’est, libertà di manovra su tutta l’Europa… Lo sbarco e la successiva battaglia di Normandia (che si tende un po’ a dimenticare…) segnarono la vera svolta della 2a guerra mondiale. Fu davvero “l’inzio della fine e non la fine dell’inizio“ (per dirla alla Winston Churchill) per il nazismo e per Hitler. Non ci si allontana troppo dalla verità dicendo che sulle spiagge normanne fu difesa la libertà dell’Europa occidentale, dai nemici presenti e… futuri, pagando un prezzo altissimo in vite umane (73.000 caduti). La battaglia di Normandia fu molto sanguinosa, Gli americani, ad esempio, persero 40.000 uomini. Cifra altissima se si pensa che in Vietnam Washington ebbe 58.000 caduti, ma in più di dieci anni di combattimenti. Mentre la battaglia di Normandia durò meno di tre mesi.”

Lei scrive: “Nello sbarco in Normandia, gli incarichi più importanti furono assegnati tenendo conto di un delicato equilibrio politico – militare”. Fu una decisione giusta?

“Bisogna tener presente che nelle operazioni della campagna di Normandia (Overlord), benché fosse stato adottato il sistema del comando unico, che faceva capo a Eisenhower, le truppe dei vari paesi rimanevano sotto comando nazionale…Insomma non era come nella NATO di oggi, dove invece le truppe sono “integrate” nelle forze disponibili dell’Alleanza. Quando, cioè, i paesi alleati, in situazioni d’emergenza e secondo una progressione già stabilita, assegnano i loro contingenti alla NATO, questi cessano di essere sotto comando nazionale e passano agli ordini del comando unificato dell’Alleanza. Nel giugno del 1944 non era così. Grandi di conseguenza furono le doti del futuro presidente degli Stati Uniti, non solo di stratega visionario e d’impareggiabile pianificatore, ma anche di fine diplomatico in grado di “coordinare” generali leggendari come Montgomery (“Monty”), che mal sopportava di avere Eisenhower come suo superiore. Famosi generali come Bradley o Patton (americani) non amavano troppo essere, a loro volta, “coordinati” da Montgomery (britannico), nominato Capo di tutte le truppe terrestri coinvolte nello sbarco. Grazie a Eisenhower il coordinamento delle truppe alleate non conobbe sfasamenti significativi  e ci fu ottima intesa non solo tra le Armi  (Aviazione, Marina ed Esercito) ma anche tra le truppe dei vari paesi coinvolti (oltre agli americani e agli inglesi, ci furono anche polacchi, francesi, australiani, belgi, neo-zelandesi ecc…). La decisione di cui lei mi chiede, quindi. non solo fu giusta, ma direi assolutamente indispensabile per il successo della più grande operazione anfibia della Storia, che portò in Normandia più di due milioni e mezzo di soldati alleati!”

 Lo sbarco in Normandia,  il D – Day, è stato un momento eroico. C’è anche qualche ombra?

“Beh, se vogliamo parlare delle vittime civili (35.000) della battaglia di Normandia, il discorso ci porterebbe lontano. E’ vero che per stanare i nazisti che ben si mimetizzavano nelle città occupate, gli alleati dovevano bombardare e bombardare a tappeto (la micidiale tecnica del carpet-bombing). In pratica per conseguire l’obiettivo strategico previsto, non si badava troppo ai danni collaterali. In Normandia ci furono grandi città, come Caen o Le Havre, che furono in gran parte distrutte dai bombardamenti alleati, causando migliaia di vittime innocenti. A volte utilizzando quantitativi di bombe forse in “eccesso” rispetto ai bisogni strategici e con danni collaterali per… gli stessi attaccanti! E’ il caso di Le Havre, l’ultima città normanna a essere conquistata dagli alleati (settembre 1944). Il grande porto in acque profonde della città era considerato dagli alleati un obiettivo irrinunciabile per la totale conquista della regione. I bombardamenti alleati tuttavia furono così intensi che alla fine finirono per distruggere lo stesso porto, già in parte danneggiato dai tedeschi in fuga. Come successe del resto nella mia città di origine, Pescara. Situata al di là della linea difensiva tedesca Gustav, la città fu bombardata ben 4 volte (agosto/settembre 1943) per distruggere la sua stazione, snodo ferroviario essenziale per i rifornimenti tedeschi. Non solo però la stazione fu distrutta, ma anche gran parte della città e le vittime si contarono a migliaia! Era proprio necessario? Molto storici si sono fatti la domanda, ma non so se abbiano trovato la risposta.”

Quale di questi uomini valorosi è più “vicino” a lei?

“Non avendo un background militare, non saprei dare apprezzamenti “tecnici” sul comportamento di questo o quel generale. Dal punto di vista politico invece, devo confessare che nutro una particolare ammirazione per il generale De Gaulle. Nonostante la sua precaria situazione politica (fu riconosciuto capo del governo francese solo nel settembre 1944), riuscì a destreggiarsi egregiamente tra i grandi del momento, Churchill, Eisenhower, Roosevelt, imponendosi come capo della Francia Libera. Ottenne così che i primi liberatori di Parigi fossero gli uomini della 2a divisione corazzata di Leclerc. Aveva detto alla radio che la battaglia di Normandia sarebbe stata la “battaglia di Francia e della Francia”. E così fu per i francesi. De Gaulle, insomma, seppe assicurare a Parigi un posto di primo piano nei vari consessi internazionali del dopoguerra. A cominciare da quello di membro permanente nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, privilegio accordato ai soli paesi vincitori della 2° guerra mondiale (Urss, Usa, Cina, Regno Unito e Francia). De Gaulle in definitiva evitò che il suo paese fosse umiliato da un’amministrazione militare americana, seppe conferire una nuova dignità alla Francia e offrì ai francesi nuove prospettive di pace, di prosperità e, soprattutto, di libertà e di democrazia.  Credo che la Francia e francesi debbano  molto a Charles de Gaulle!”

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