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A Marigliano rivive l’antica tradizione dei sepolcri e il giro notturno delle undici chiese. Scopri il tour del Giovedì santo

Marigliano, 3 Marzo – Una forte intensità mistica ma anche un notevole impatto culturale sono le componenti del Giovedì Santo a Marigliano dove da secoli si rinnova il rito della visita notturna ai “sepolcri” i “sebbulcri” in dialetto locale, riferito agli scenografici apparati degli altari addobbati nelle tante chiese della città per accogliere il SS. Sacramento dopo la messa serale dell’Ultima Cena.

Dinanzi a questi altari della reposizione, insieme a fiori, un tempo coltivati in casa come fresie o tuberose e tanti lumi, vengono posti “e’ teste e rano” costituiti da piatti bassi di terracotta, in cui si sono seminati chicchi di grano con pochi semi di lenticchie, cicerchie, piselli, ceci. Tenuti al buio fino al giorno dell’offerta in chiesa, così da crescere chiari ed esili secondo delle rigide e secolari istruzioni, i vasi di grano e la loro offerta per i Sepolcri rappresentano – in una città di antiche tradizioni agricole- un retaggio degli antichi culti pagani in onore della terra nel risveglio di Primavera. Un’azione propiziatoria, dunque, che veniva svolta per la rinascita della vegetazione e su cui il Cristianesimo innesterà il tema della Resurrezione di Gesù che diventa metafora di una generale ritorno alla vita salvata dal peccato e dalla morte.

Infatti, terminato l’uso liturgico il grano per la sua vicinanza al SS. Sacramento veniva piantato negli orti e nelle campagne per benedire l’esito dei raccolti, o tenuto in casa dietro gli usci delle porte per custodire il benessere e l’armonia della casa: degli uomini come degli animali. La tradizione mariglianese prevede di visitare un numero dispari di sepolcri variante da un minimo di tre (in riferimento alla Trinità), cinque (le piaghe di Cristo), sette (i dolori della Madonna), nove (l’ora del sacrificio) fino a un massimo di undici in ricordo degli Apostoli rimasti dopo la Cena e prima della Passione di Cristo. Nell’itinerario di pellegrinaggio erano contemplate numerose soste, che oggi si tende a rimodulare in base agli orari e alla fatica fisica del camminare a piedi.

Tassativa era ed è la partenza dall’Insigne Collegiata per poi passare allo scenografico apparato della congrega del Santissimo Sacramento a via Montevergine (oggi commissariata e non più attiva) e a seguire la cappella del Castello ducale, la chiesa dell’Addolorata delle Suore d’Ivrea dell’Immacolata Concezione a via Giordano Bruno (oggi inagibile e dismessa), la congrega della Pietà e San Lazzaro a Corso Vittorio Emanuele III (oggi inagibile, di proprietà dell’ECA), la chiesa di San Vito dei Francescani minori, la chiesa della Santa Croce a San Nicola, la chiesa di Santo Stefano protomartire a Casaferro, la chiesa di San Giovanni Battista a Faibano, la chiesa San Marcellino a Lausdomini e il santuario di Santa Maria di Pontecitra, a cui si sono aggiunte, negli ultimi secoli, anche la cappella dell’orfanotrofio “Cuore Eucaristico di Gesù” delle Suore Serve dei Poveri a via Benedetto Bonazzi, la cappella del Sacro Cuore a Palazzo Anselmi dei Missionari Divina Redenzione e la chiesa di San Sebastiano a Miuli.

In genere le chiese rimangono accessibili fino alle 23-24 per consentire la visita e l’adorazione ma in un passato non troppo lontano (40-50 anni fa), prima che la comoda modernità contagiasse tutti, il giovedì e il venerdì santi le chiese di Marigliano rimanevano aperte ininterrottamente. Anche dopo mezzanotte. Oltre 48 ore consecutive per offrire ai fedeli la possibilità della preghiera. Dall’una di notte, poi, le confraternite della città e delle frazioni (oggi quasi completamente azzerate o estromesse dalle parrocchie) con i loro sacchi e mozzette colorate, torce, candele e stendardi, al suono rauco delle troccole o crotali (le campanelle non potevano essere suonate fino allo scioglimento col canto del Gloria nella messa di Pasqua e il bacio della terra) iniziavano le loro mistiche processioni penitenziali con le loro pratiche di devozione popolare, in riparazioni di colpe individuali e sociali, richiamando fiumane di persone.

L’atmosfera di attesa e commozione continuava all’alba e per tutta la mattina del venerdì fino praticamente a sera allorquando si animavano gli struggenti cortei processionali di partecipazione al dolore del Cristo morto e della Vergine Addolorata con statue che avanzano e si incontrano, o dei Misteri. Manifestazioni religiose, che da generazione in generazione tramandavano un’armonia di suoni, immagini, fede, profumi, sacrifici. E sullo sfondo ancora le chiese di Marigliano, che rimanevano sempre aperte, accoglienti, premurose, rispettose. Quando la religione preferiva ancora la strada, la piazza, il contatto reale con il popolo piuttosto che i cinguettii su twitter o le raffinate prediche virtuali che nessuno ascolta o capisce, perché disincarnate dalla vita quotidiana.

Quando si usciva dai recinti delle elite per portare a tutti la misericordia in modo semplice e concreto. Quelle porte spalancate e le veglie notturne del Giovedì e del Venerdì Santi rappresentavano l’occasione di riscatto e speranza per tutti: persino i vagabondi, i fuggitivi, i manigoldi, i libertini, gli invisibili, gli ultimi peccatori della società potevano mettere in atto davanti ai Sepolcri gesti di pentimento e di contrizione, garantiti dalle tenebre della notte o dalle nebbie mattutine, lontano dai giudizi o dai pregiudizi umani.

Anita Capasso

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