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Il futuro che vogliamo: essere adolescenti al tempo del Covid-19

I giovani pronti a riprendersi la propria vita e a far sentire a gran voce i piani per il futuro: memori dell’esperienza vissuta nessuno è più in grado di fermarli

 

Napoli 29 Gennaio – Il futuro che vogliamo è la campagna UNICEF nata a seguito della prima ondata della pandemia da Covid-19 per ascoltare i giovani sulla loro percezione del periodo di emergenza sanitaria e sulle possibili soluzioni da mettere in campo nel futuro post Covid. Gli adolescenti coinvolti hanno dai 15 ai 19 anni e fanno parte di un campione di 2000 individui sul territorio nazionale. Sono stati coinvolti anche i minori fuori famiglia, minori stranieri non accompagnati, giovani rifugiati, migranti e richiedenti asilo.

In Italia sono 2.501.147 i casi registrati dall’inizio della pandemia, da fine gennaio 2020 a fine gennaio 2021. Con un incremento dei contagi dai ritmi molto veloci, nel giro di pochi mesi si è arrivati ad un lockdown severo, che ha ridotto a zero ogni possibilità di spostamento.

Dagli inizi di giugno, il Paese ha riaperto i confini insieme a molte delle attività sospese e in concomitanza dei mesi estivi il numero di nuovi casi è risultato nel complesso più contenuto rispetto ai mesi precedenti. La fine dell’estate, però, ha segnato l’inizio della cosiddetta seconda ondata autunnale, che altro non è che il progressivo aggravamento della situazione epidemiologica con un’impennata dei casi positivi, tra cui si è rilevata una maggiore frequenza anche nelle fasce di età più giovani. Con l’arrivo dei mesi invernali si è deciso in direzione di lockdown regionali in base a fasce di rischio, con misure più restrittive nelle regioni più colpite, coprifuoco nazionale dopo le ore 22 e ritorno alla didattica a distanza (DAD) per le scuole superiori in tutta Italia.

In uno scenario fatto di privazioni, divieti e misure restrittive a pagarne di più sono appunto i bambini e i giovanissimi. Tra i 15 e i 19 anni, ragazze e ragazzi vivono il delicato periodo di transizione che segna il passaggio dall’infanzia all’età adulta, all’autonomia. Tutto ciò avviene attraverso step cruciali che investono la loro sfera cognitiva ed emotiva. È infatti quella fase della vita segnata dallo sviluppo delle capacità di pianificazione e organizzazione dei propri tempi e spazi, è un periodo di cambiamenti repentini nelle emozioni, caratterizzato da un aumento dello stress e della vulnerabilità. In questa fase è la socializzazione a svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo del minorenne.

Ma le abitudini e gli stili di vita di tutti in questo ultimo anno sono cambiati radicalmente. Tutte le attività e i momenti di socialità si sono spostati dietro uno schermo, in uno spazio virtuale. Interrompendo la socialità e ostacolando rapporti fondamentali nel processo di crescita in quella fascia d’età, la pandemia ha acuito in alcuni casi i sentimenti di apatia e solitudine nonché le fragilità della fase adolescenziale, costituendo un ostacolo per il consolidamento delle relazioni familiari, amicali e sociali. Per questo motivo la percezione della comunità da parte del campione preso in esame è di un 5,6 (in una scala da 1 a 10) nel periodo successivo alla prima ondata. A quanto pare la privazione delle relazioni rende al contempo più evidente la loro importanza.

Secondo i dati emersi dal rapporto dell’Istat sul BES del 2019, gli indicatori relativi alle relazioni sociali hanno registrato una sostanziale stabilità negli ultimi anni rispetto alla soddisfazione per le relazioni familiari e amicali – rispettivamente al 33,2% e 23,2%, con valori più elevati per la fascia d’età 14-19 anni (40%).

Nella quotidianità dopo la prima ondata sono stati registrati risultati positivi per le relazioni sociali con le persone che non si potevano vedere durante il lockdown: anzi per quasi 1 persona su 3 le relazioni sono migliorate in quanto la connettività ha permesso di mantenere stabili i rapporti anche con le persone non conviventi, di dedicare più tempo allo scambio, alle telefonate, ai collegamenti telematici. Anche se, nonostante il grande aiuto dello strumento informatico, quasi la metà degli adolescenti che hanno risposto al sondaggio FWW non sostituirebbe la socialità online con quella in compresenza. Il 46% degli adolescenti pensa infatti che in futuro servano maggiori occasioni per stare insieme, più luoghi di ritrovo e ritmi più lenti per migliorare le relazioni nella comunità in cui si vive.

Volontà della campagna UNICEF è quella di dar modo agi adulti del domani di far sentire la propria voce e di prender parte alle decisioni volte alla risoluzione dell’emergenza e delle sue implicazioni. Già prima dell’incalzare della pandemia da Covid-19 gli adolescenti di tutto il mondo hanno rivendicato la necessità di assumere un ruolo attivo nella società in cui vivono, basti pensare al coinvolgimento nel movimento Fridays for Future, in cui sono diventati protagonisti assoluti della lotta ai cambiamenti climatici oppure alla partecipazione ai movimenti di Black Lives Matter, manifestazioni internazionali contro il razzismo e le forme di violenza che ne derivano.

Anche durante l’emergenza COVID-19, è emersa la capacità di resilienza e di adattamento ai mutamenti, propria di questa età. Sono numerose le storie di intraprendenza e cittadinanza attiva di molti giovani, che hanno saputo rendersi partecipi nella gestione dell’emergenza in molteplici modi, offrendosi come volontari a servizio della comunità, tramite varie attività di assistenza e aiuto ai più vulnerabili (es. per la consegna a domicilio di spesa e medicinali e per la sensibilizzazione sulle misure di contenimento).

La campagna analizza il benessere, le relazioni sociali con la famiglia, amici e comunità, sicurezza a casa, scuola e formazione professionale, salute, ambiente e digitale.

Ogni area si articola su tre piani di analisi:

1) I dati sulla situazione pre COVID-19;

2) Il vissuto e percezioni degli adolescenti durante il lockdown;

3) Le richieste e prospettive degli adolescenti sul futuro post COVID-19.

Secondo l’indagine dell’Istat sul Benessere Equo e Sostenibile (BES) del 2019, condotta nel biennio precedente su tutta la popolazione a livello nazionale, l’andamento degli indicatori rispetto agli anni precedenti segnala “un deciso miglioramento del benessere”, con oltre il 50% degli indicatori che hanno registrato un miglioramento in tutte le aree del Paese. A conferma di questa tendenza, secondo i dati relativi al benessere soggettivo, si è innalzata la quota di individui ottimisti ed è diminuita quella relativa a un atteggiamento pessimista. In generale, i fattori di soddisfazione per la propria vita registrano spesso le punte più alte in età adolescenziale, come nel caso della soddisfazione per il tempo libero, di cui quasi l’84% tra i giovani di 14-19 anni si sono dichiarati molto o abbastanza soddisfatti, con una progressiva diminuzione al crescere dell’età (media: 66%).

Rispetto alla dimensione del benessere, i risultati del sondaggio FWW mostrano che gli adolescenti, nel periodo di uscita dalla fase più acuta dell’emergenza, hanno rivelato soddisfazione, anche se non piena, per la vita in generale (6,5 su scala di 10), così come per la scuola, il lavoro e la dimensione economica.

L’ambiente in cui essi vivono si dimostra essere l’aspetto di cui sono più soddisfatti, valutato con un 8+. Durante il lockdown, infatti, la natura e le tematiche ambientali si sono poste al centro dell’attenzione.

L’87% degli adolescenti propone come comportamento virtuoso da mantenere anche dopo l’emergenza la diminuzione dell’inquinamento riducendo i consumi. Otto adolescenti su 10 pensano che bisognerebbe usare di più la bicicletta o altri mezzi poco inquinanti ed ecosostenibili e continuare a nutrirsi in modo sano, con meno cibi preconfezionati e facendo spesa a km 0. Tra i comportamenti da adottare in futuro per prendersi cura dell’ambiente e diminuire l’effetto dei cambiamenti climatici, al primo ci sono la raccolta e lo smaltimento differenziato dei rifiuti, seguito da un minore consumo di plastica, di politiche ambientali adeguate, dalla riduzione dei consumi inutili e, infine, dall’attivismo e dalla partecipazione.

“Il 2020 ci ha fatto vedere con i nostri occhi chiusi, abbiamo parlato mentre le nostre labbra non si muovevano, abbiamo girato le città senza uscire, ma solo guardando dalla finestra, soprattutto, abbiamo capito il danno che abbiamo causato alla natura senza che nessuno ce lo dicesse.”

 I dati sul grado di soddisfazione in famiglia evidenziano quest’ultima come uno degli aspetti di cui gli adolescenti sono più soddisfatti (7,6). Dalle consultazioni online è infatti emerso che trascorrere più tempo insieme durante il lockdown ha fatto bene a genitori e figli, permettendo il recupero di spazi andati persi e di tempi di qualità che la vita frenetica di tutti i giorni in precedenza non consentiva. Pur sapendo che per molti la convivenza stretta è stata difficile, la quarantena ha regalato ai più giovani anche la possibilità di scoprire cose semplici ma per molti inusuali del rapporto con familiari e conviventi: il valore dello stare a tavola insieme, del farsi aiutare nei compiti o semplicemente il tempo per parlarsi.

Per quanto riguarda il percorso di istruzione e formazione professionale, in Italia, come riportato dai dati Istat pre COVID-19, la percentuale di studenti che non raggiungono il livello minimo di competenza in lettura (i low performer) è del 23,3%. Percentuale simile per la literacy matematica (23,8%), mentre il dato aumenta per la literacy scientifica, con quasi il 26% dei quindicenni che non possiedono un livello minimo di competenze scientifiche. Le differenze regionali risultano molto ampie, con quote di low performance più intense nel Mezzogiorno. Nel 2019, in Italia, la percentuale di adolescenti e giovani che non erano né occupati né inseriti in percorsi di istruzione o formazione – i cosiddetti NEET (dall’inglese Not in Education, Employment or Training) si attesta al 10,7% per gli adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Uno scenario allarmante già in fase pre COVID-19 che dimostra non solo la necessità di investire su un’offerta educativa e formativa più equa e inclusiva, ma anche la stretta connessione tra la dimensione dell’istruzione e quella del lavoro.

L’emergenza sui sistemi di istruzione ha provocato uno shock tale da costituire una vera e propria rottura strutturale nei percorsi di sviluppo dei sistemi di apprendimento – sebbene si possa ravvisare anche l’effetto positivo di evidenziare che era già possibile avviare un necessario cambio di passo, imparando a sfruttare su larga scala le tecnologie disponibili. Ma il divario digitale tra i diversi territori della penisola è emerso con prepotenza.  Un terzo delle famiglie è privo di computer o tablet in casa: tra i bambini e gli adolescenti in età scolastica (6-17 anni), oltre il 12% non possiede un computer o un tablet, mentre il 57% lo condivide con il resto della famiglia, creando disagi ai nuclei familiari in cui sono presenti più studenti con l’esigenza di seguire giornalmente le lezioni a distanza.

Preoccupano i dati sull’impatto dell’emergenza sui piani futuri degli adolescenti: quasi 3 studenti su 10 hanno dichiarato che l’emergenza COVID-19 ha influenzato i piani di studio per il futuro, causando cambiamenti significativi, che vanno dalla rinuncia agli studi fuori sede al dubbio sulla possibilità di continuare gli studi per ragioni economiche. I ragazzi suggeriscono modalità di supporto da parte delle istituzioni affinché nessuno possa rimanere indietro nel percorso di formazione culturale. Tre adolescenti su 10 chiedono più borse di studio e l’integrazione del bonus cultura esistente, in modo che contempli la possibilità di acquistare tablet e computer.

E la salute? a detta dei ragazzi: “Il COVID-19 ha dimostrato che le crisi sanitarie possono renderci tutti vulnerabili, indipendentemente da provenienza, condizione economica, pensiero politico o status sociale; dunque, forse ha cambiato qualcosa di profondo all’interno della nostra società. Su questa scia si auspica un modello di futuro ideale, al centro del quale vi è la persona e il suo valore in quanto tale.”

La percezione di insicurezza e fragilità legata alla pandemia, ha fatto in modo che la soddisfazione rispetto alla salute non raggiunga la sufficienza (5,9). Recenti studi evidenziano le ripercussioni negative che il lockdown ha avuto in tanti casi sulla salute mentale, aumentando i sentimenti negativi di stress, apatia, solitudine. I bollettini quotidiani con numeri di malati e morti, le curve di diffusione in crescita, le storie di chi ha perso i propri cari senza poterli neppure salutare, sono emerse nelle consultazioni online per il sondaggio FWW come vissuto traumatico condiviso che ha sicuramente contribuito a creare in tutti noi la percezione di una minaccia incombente e di uno stato di salute generalmente compromesso, che genera timore per sé e per i propri cari. L’emergenza ha messo a dura prova il Servizio Sanitario Nazionale nel suo complesso. Forse è per questo motivo che il 65% degli adolescenti rispondenti al sondaggio pensa che un sistema sanitario pubblico, gratuito e accessibile a tutti sia il fattore indispensabile per mantenere un buono stato di salute.

Il messaggio di giovani e adolescenti alle figure istituzionali è il seguente: “Risulta chiara la piega che il futuro dovrà prendere per adattarsi alle esigenze delle nuove generazioni che, troppo spesso, non vengono coinvolte nei processi decisionali che li riguardano in prima persona.  Inclusione sociale per promuovere la parità e politiche green sono tra le priorità per costruire un avvenire accessibile e soprattutto sostenibile a lungo termine, allo scopo di promuovere salute fisica e mentale, stabilità economica anche nelle classi meno abbienti, partecipazione attiva e comune sostegno cittadino.  Il Paese deve ripartire dai giovani e investire su di loro, ascoltandoli e accogliendoli nel sistema come parte integrante di presente e futuro allo stesso tempo. Come sostenuto da molti, il valore di una nazione si misura anche in proporzione all’investimento sui propri ragazzi”.

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