Cultura

“Il cimitero delle bambole”, racconto di tante storie che abbracciano 40 anni di vissuto: intervista all’autrice Maria Iervolino

Napoli, 9 Giugno – Maria Iervolino, classe1968, vive a Poggiomarino in provincia di Napoli. Diplomata in ragioneria, gestisce un’azienda di import-export. Ama scrivere, da sempre, per passione e per ricerca, per protesta o per amore, e lo fa bene. I suoi scritti sono pubblicati in diverse antologie e romanzi collettivi. “Il cimitero delle bambole” è il suo romanzo d’esordio, pubblicato da “Io Scrittore”, un marchio editoriale di Gruppo editoriale Mauri Spagnol.

La storia si snoda a Boccapianola, un paesino nelle vicinanze di Napoli. L’emancipazione fa fatica a farsi strada: ci si vergogna a far trapelare i propri sentimenti e si fa fatica a far valere i propri diritti. Le donne subiscono l’uomo, perché sono donne, quasi sia scontato tacere. Le bambine crescono in fretta, accompagnate dal senso di pudore con i propri sogni, sono fanciulle e giovinette che si spezzano nel quotidiano in un entroterra di camorra, droga, morti ammazzati e sangue. Melina e le sue

La scrittrice Maria Iervolino

amiche, le donne dell’intreccio, ci conducono per mano, con una gradevole suspense o brividi di paura raccontandoci le storie di tutti i giorni con sentimenti ora di rabbia, ora di sconforto, ora di coraggio e vivono, soffrono, si emozionano.

Vanno oltre, per riscattarsi da un ambiente che opprime le loro vite con le debolezze che segnano ogni essere umano. Anche gli uomini lasciano il segno nel lettore, che sia ‘mostro’, ‘vecchio’, ‘padre’, ’giovane’ innamorato, ‘di camorra’ o altro. Nessuno resta in ombra. Nessun personaggio viene trascurato dalla penna facile della scrittrice. La lettura va fatta lenta, goduta, per l’ascolto delle voci delle donne a cui Maria Iervolino con la sua penna lascia l’impronta di una carezza.

Il romanzo di Maria Iervolino non è il racconto di una storia, ma di tante storie che abbracciano quarant’anni di vissuto in un’area geografica difficile. L’ambientazione è quella del sud, vita semplice fatta di valori, di bene, di famiglia che tiene alle tradizioni, di amori, di “fatica”, di giogo alla sottomissione, all’omertà. Il benessere è il lavoro sudato, quello della camorra porta solo guai. Scorre tra le pagine del romanzo la vita di tutti i giorni con l’altalenarsi di innamoramenti, di segreti, di rinunce, di ribellione, del movimento sessantottino, che sconvolge menti e fatti, attraversa lo stivale, ma a Boccapianola non attecchisce.

C’è arretratezza di idee, idee ancorate a vecchi sistemi, eppure gli anziani nella loro semplicità formulano visioni sagge. La felicità è la conquista di un amore, di un matrimonio. Riusciranno Melina e le amiche a raggiungere le loro ambizioni? Le amiche crescono, si raccontano, si innamorano, si perdono dietro l’amore. Finiranno per prendere la loro strada dando retta chi alla mente, chi al cuore. Sullo sfondo domina la camorra, con le sue vite affogate, ma anche la volontà di rinascita. È un romanzo di denuncia per certe pagine, un romanzo di coraggio dell’autrice, che ha saputo mettere in luce fatti e misfatti della Terra dei Fuochi.

Temi importanti di Il Cimitero delle bambole, trivellati e catturati dall’autrice con sentimento autentico. Nonostante il dolore, la paura delle anime che il lettore sensibile avverte, vuole sapere e andare avanti pagina dopo pagina, soffermandosi a conoscere i personaggi e incamminarsi con loro, va fino in fondo, sente il bisogno di “scoprire”, di “curiosare”. Maria Iervolino è brava a lasciare con il fiato sospeso.

Il cimitero delle bambole si snoda con scrittura chiara, asciutta, senza orpelli, fluida e forte, impreziosita da termini dialettali e proverbi che la scrittrice ha cura di inframmezzare là dove si addicono, con garbo e maestria. E giunti alla fine del romanzo si avverte un senso di malessere perché si vorrebbe procedere ancora nella lettura. Ci si accorge che Boccapianola ci appartiene, ci ritroviamo nei personaggi, nelle tre amiche, nelle loro vicissitudini che la Iervolino ha saputo regalarci.  

 

Alla scrittrice Maria Iervolino chiediamo:

Com’è nato il romanzo?

“Non c’è un momento preciso, ci sono storie ed episodi che continuavano a ripresentarsi nella mia mente. Non mi davano tregua. Una su tutte la scena di una donna assassinata. Il turbamento che mi aveva provocato il ritrovamento di questo corpo a poche centinaia di metri dal luogo in cui lavoro. E da questa scena nella mia testa si è formato il titolo. Dopotutto a Napoli esiste un posto in cui le bambole vengono curate: “L’ospedale delle bambole”. Dove andranno invece le bambole che non possono essere curate?”

Il titolo è molto particolare. È metafora?

“Il titolo nasce appunto dall’idea di cui sopra. E ha continuato a perseguitarmi finché non ho cominciato a scrivere. L’intenzione non era di farne metafora che rappresentasse la vita delle protagoniste. Però credo che il processo di scrittura spesso inconsciamente elimina le barriere tra il consapevole e l’inconsapevole. Alla fine della prima stesura ho compreso che c’era nel complesso una doppia valenza di senso. La bellezza della scrittura forse risiede proprio in questo aspetto: per quanto ci si diano delle regole, oltre a quanto stabilito, c’è sempre altro che pretende di essere dissotterrato”.

La giornalista Adelina Mauro

I fatti narrati sono realmente accaduti?

“Ci sono fatti realmente accaduti che hanno ispirato la narrazione, spunti, ma nessuno di essi è completamente fedele alla realtà”.

Nei personaggi c’è anche lei stessa?

“Sì, in quasi tutti i personaggi. Non è la prima volta che chi scrive risponde a questa domanda allo stesso modo. Ma è così: io sono Melina quando si rifiuta di crescere, Daniela quando vuole ribellarsi, Virginia mentre affronta il suo pavor. E sono anche Gennaro che vive le gioie e i dolori in perfetta solitudine. Potrei citarne altri ancora, ma ripeto soltanto sì, ogni personaggio in certi aspetti rappresenta una parte di me”.

Ha una lunga esperienza di scrittura?

“Di scrittura e di lettura, sì. L’una non può esistere senza l’altra. Almeno vent’anni di frequentazioni, di prove. Racconti, antologie, romanzi inediti. L’ho sempre fatto con passione e senza cercare la pubblicazione a tutti i costi.  Poi le cose, come dico spesso, accadono. E questa pubblicazione è arrivata, lasciandomi sorpresa e felice. La vita non smetterà mai di stupirmi”.

Ha scelto per l’epigrafe letteraria che introduce il romanzo due versi de Il violinista Jones di Spoon River, per quale motivo?

“I due versi de Il violinista: “La terra emana una vibrazione là nel tuo cuore, e quello sei tu” mi hanno riportato alla mente mio padre, con cui il pranzo si parlava sempre di fatti e fattarelli legati al nostro territorio. Il più delle volte ascoltavo in religioso silenzio. E da ‘grande’ ho compreso metabolizzando a lungo quello che mi disse una volta mentre eravamo al nostro tavolo: Scrivi sempre, ma che scrivi, i fatti qua devi scrivere. Ebbene, mi aprì il varco nella comprensione che le radici sono i luoghi da cui partire. Ed iniziai a scrivere della nostra terra. Parole semplici e sagge quelle di persona grande e di padre che a modo suo faceva trapelare il suo bene per la figlia”.

Progetti per il futuro?

“Da giorni si sta insinuando il pensiero del dopo. Chissà che non possa nascere il sequel. Al momento è solo un’idea”. 

Noi aspettiamo. Il libro è bello. Bello assai. La scrittura prende e porta il lettore a scoprire le storie della storia. Buona lettura!

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