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I VOW TO THEE, MY COUNTRY: l’incoronazione di Re Carlo III del Regno Unito e l’importanza della figura del monarca

Napoli, 7 Maggio – Sulle note dell’inno “I was glad”, tratto dal Salmo 122 e musicato da Sir Hubert Parry, il monarca del Regno Unito, Carlo III, fa il suo ingresso trionfale nell’Abbazia di Westminster per ricevere, dalle mani dell’Arcivescovo di Canterbury, le insegne regali (dunque, non soltanto la classica corona di Sant’Edoardo, ma anche gli altri Gioielli della Corona, tra cui il Globo sormontato da una croce – che identifica il re come Difensore delle Fedi, ossia di garante della libertà di credo, e non solo quale Capo Supremo della Chiesa Anglicana -, le spade e gli scettri).

Nonostante lo scetticismo di alcuni British, testimoniato dai principali quotidiani del Bel Paese, la folla festante all’esterno della collegiata era decisamente copiosa: eran presenti, infatti, non soltanto gli appartenenti alle vecchie generazioni – tra cui un signore, tale Jeff, il quale, intervistato dagli inviati Rai, ha dichiarato che si trovava ivi anche settant’anni fa, quando fu incoronata la compianta Elisabetta II -, bensì anche diversi giovani, segno evidente che, per Divina Grazia, v’è ancora qualcheduno che studia con passione la storia del meraviglioso paese che è la Gran Bretagna.

La cerimonia che ha avuto luogo ieri mattina è, infatti, antichissima, poiché affonda le proprie radici in epoca altomedievale e, col trascorrere dei secoli, s’è tramandata – sia pur con significativi cambiamenti – sino all’epoca attuale. Essa si compone di quattro fasi, che ci si accinge ad illustrare succintamente: la ricognizione ed il successivo giuramento (con il sovrano che si presenta dinanzi al popolo, che lo riconosce formalmente; dopodiché, con la mano sulla Bibbia, giura fedeltà a Dio ed al suo paese), l’unzione con l’olio proveniente dall’Orto degli Ulivi – durante la quale viene intonato il celeberrimo inno “Zadok the priest”, composto da Händel, che pone in evidenza l’unione tra Dio ed il sovrano e tra quest’ultimo ed i sudditi (ora non più tali, seppur così ancora denominati) – e, infine, l’investitura, momento nel quale l’Arcivescovo di Canterbury, figura di maggior rilievo della Chiesa Anglicana dopo il monarca, pone la St. Edward’s Crown sul capo di quest’ultimo.

La cerimonia si conclude, ovviamente, con l’esecuzione dell’inno nazionale, il cui testo cambia in funzione del sesso del sovrano: dopo più di settant’anni, i Britannici hanno ripreso a cantare “God save the King!” (It.: “Dio salvi il Re!”).

Auspico che l’evento di ieri serva da lezione non soltanto agli imbecilli che, secondo le fonti mediatiche Italiane, hanno invocato il ritorno alla repubblica (che poi si rivelò una dittatura, con Cromwell che sparse sangue dappertutto), bensì anche all’intera popolazione mondiale: tra i corali ispirati al patriottismo Britannico ve n’è uno, risalente al 1921, intitolato “I vow to thee, my country!” (It.: “Giuro a te, mio paese), frutto della creatività di Sir Cecil Spring Rice (per il testo) e Gustav Holst (che ne ha composto la musica), il quale pone in evidenza il servizio strettamente connesso con la carica che si è chiamati a ricoprire.

In altri termini, se si vuol essere una buona guida per i propri concittadini, occorre metter da parte i propri interessi personali (tra cui figura anche il prestigio) e farsi in quattro per assicurare un’esistenza libera, serena e dignitosa a tutti. God save the King!

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