Cultura

“I fuggiaschi di Padova”, il nuovo libro di Alessandra Romano: intervista all’autrice

Napoli, 5 Settembre – Vi consigliamo la lettura di un libro fresco di stampa: “I fuggiaschi di Padova”, di Alessandra Romano, edito da Opera Indomita e acquistabile su Amazon. L’autrice, laureata in Lettere Moderne, è nata a San Giorgio a Cremano nel 1995 e fa parte dell’Ordine dei Giornalisti della Campania; ha già pubblicato “L’Isola di Agata” e in questo secondo lavoro ci propone una storia emozionante.

I fuggiaschi di Padova narra la vicenda di alcuni ragazzi che desiderano conquistare indipendenza e spazi personali al di fuori del protettivo e amorevole guscio familiare che li avvolge. Riassunta così la trama sembrerebbe non avere nulla di originale, ma le cose stanno diversamente perché i fuggiaschi sono persone speciali alle quali la vita ha riservato una prova difficile: la convivenza con la neurofibromatosi di tipo 2, una malattia genetica, che, entrata prepotentemente nelle loro vite, ne diventa elemento di disturbo, con ripercussioni sull’aspetto fisico e sulla capacità sensoriale. La malattia però non toglie ai fuggiaschi la voglia di andare incontro alla vita, di innamorarsi, di fare esperienze nuove.

Le parole di Alessandra plasmano personaggi con i quali si entra subito in empatia attraverso la descrizione di sentimenti, qualità d’animo, stati emotivi. Per realizzare un sogno che sembra impossibile i protagonisti “fuggono” da Padova, città dove si trova il loro ospedale di riferimento, e, con la complicità di un amico medico, intraprendente quanto loro, si stabiliscono in una dimora segreta a Napoli, dove sperimentano limiti e opportunità della loro condizione.

La struttura del testo si articola in tre parti, funzionali alla presentazione dei personaggi, al racconto della fuga, all’epilogo. Ricco di citazioni letterarie (il Decameron di Giovanni Boccaccio in primis), il testo scorre piacevolmente, anche grazie a una vena umoristica che bilancia la complessità della tematica trattata.

 

Nel consigliarvi la lettura – e nel sottolineare che i proventi della vendita del libro saranno devoluti a favore di un’associazione che si occupa di neurofibromatosi – vi parliamo de I fuggiaschi di Padova attraverso una conversazione con l’autrice.

Alessandra, quando hai pensato di scrivere questo libro? Ti ha incoraggiato qualcuno, o avevi già dentro di te la fiducia e l’autostima che occorrono per un’iniziativa del genere?

“Era da alcuni anni che volevo scrivere un libro sulla neurofibromatosi, con cui convivo, ma non riuscivo a farlo: mettere tutto nero su bianco era sempre troppo doloroso. Avevo già pubblicato un libro mio e avevo maturato una certa autostima per pubblicare ancora, eppure mi mancava la spinta. Poi la mia psicologa mi ha incoraggiato e così ho osato. In un mese il libro era pronto. L’ho voluto fortemente: desidero far conoscere la neurofibromatosi”.

I personaggi del tuo libro sono inventati, o sono reali?

“I personaggi sono inventati, anche se hanno qualcosa di reale: ognuno rappresenta una parte di me”.

La dottoressa Zanoletti, che riesce a motivare i ragazzi, esiste realmente, o hai creato il personaggio ispirandoti a una dottoressa che conosci?

“La dottoressa esiste, mi ha visitata una volta che sono andata a Padova. In realtà però è un mio amico, affetto dalla mia stessa patologia, a conoscerla meglio. Per parlare di lei mi sono ispirata anche ad altri medici che ho conosciuto nel mio percorso. Il ruolo degli specialisti è fondamentale nella nostra situazione”.

Tra i protagonisti del libro quale senti più simile a te?

“Clara, la letterata del gruppo, mi rappresenta di più. Anche i suoi genitori sono simili ai miei. C’è poi una parte di me anche in Nicola: il suo rapporto con la nonna è molto simile al mio con le mie nonnine. Mi sono molto cari anche Angela e Riccardo, che vivono il mio sogno segreto di diventare madre, ma anche la mia paura che un figlio possa nascere con la mia stessa malattia”.

Le sigarette. Nel racconto aiutano a caratterizzare i personaggi, i quali, fumando, si prendono spazi e tempo per pensare, stemperano l’ansia e analizzano le emozioni. Anche tu fumi?

“No, io non fumo.  Ci ho provato, tempo fa, ma non è cosa per me. Ho utilizzato il fumo come pretesto narrativo per definire i personaggi, per farli riflettere. Elena in particolare, che non accetta l’idea di doversi sottoporre a un intervento rischioso, acquisisce un che di trasgressivo attraverso il suo fumo”.

Ti fa sorridere l’idea che alcuni ragazzi fragili facciano una valigia, prendano un treno e si rifugino a casa di uno sconosciuto? È una trovata più ingenua, o più coraggiosa?

“Sì che mi fa sorridere. Mi sembra un’idea coraggiosa, anche se azzardata”.

Pensi che sarebbe realmente possibile una “fuga” come quella che hai descritto?

“Una fuga forse sarebbe ancora possibile all’inizio della malattia, ma quando questa avanza le difficoltà aumentano. Credo comunque che l’amore e la motivazione rendano possibile anche ciò che sembra impossibile”.

Una riflessione sulla la paura e sulla fuga di Elena, sul rischio al quale si espone. Hai qualche osservazione in merito?

“Possiamo scappare quanto vogliamo ma alla fine i problemi vanno affrontati, se no rischiano di diventare enormi, se non letali”.

Nella dedica del tuo libro ringrazi i tuoi familiari che ti sono vicini nelle difficoltà quotidiane che la malattia ti costringe ad affrontare. Se tu fossi Elena, o Clara, o uno degli altri protagonisti lasceresti familiari in ansia e senza notizie?

“No, credo proprio che non avrei il coraggio di lasciare le persone che mi stanno vicino, soprattutto i miei genitori che, per quanto asfissianti e ansiosi, rappresentano quell’amore indispensabile che aiuta ad andare avanti”.

Alessandro: un giovane medico che – direi – s’intrufola nella quotidianità dei protagonisti del libro. Nella realtà un “Alessandro” sarebbe un amico piacevole, o irritante? Potrebbe risultare in qualche modo invadente?

“Un amico come Alessandro Sarebbe piacevole: rappresenterebbe un amico incuriosito dalla malattia; no non lo troverei invadente, ma d’aiuto”.

Quanto è importante parlare e scrivere di svantaggio, di malattia e di disabilità?  

“È molto importante, sia per chi vive realmente queste difficoltà e sia per chi apprende non avendone esperienza. Chi sta bene in salute dovrebbe trattare con naturalezza gli altri, perché la normalità è un primo elemento di empatia e d’incoraggiamento”.

Nei primi capitoli del libro il nome della “neurofibromatosi di tipo 2” suona come un avvertimento, poi il racconto si apre a spiragli di speranza, di propositività e lascia spazio all’allegria. Quanto è importante essere fiduciosi e di buon umore per affrontare i problemi e le paure?

“La mia terapeuta direbbe che la positività aiuta molto. A me risulta difficile essere positiva perché ho paura di restare delusa. Questo libro dimostra però che in fondo la penso come lei”.

Stai seguendo le Paraolimpiadi? Trovi che in qualche modo il tuo libro abbia qualcosa in comune con i risultati degli atleti?

“Nel mio immaginario i miei protagonisti sono speciali quanto gli atleti delle famose Olimpiadi dedicate ai disabili; anche se non ci ho mai pensato, sportivi tanto particolari potrebbero essere un loro modello”.

Infine una curiosità: la divertente burla dell’acqua, che racconti in un capitolo, è ispirata a un fatto realmente accaduto?

“Si è una burla che è stata fatta da mia nonna quand’era piccola. Un pesce d’aprile. Lei me la racconta sempre e ho preso ispirazione da questo suo scherzetto.

Grazie, Alessandra. Nel salutarci indichiamo ai lettori dov’è possibile documentarci per saperne di più sulle finalità dell’associazione alla quale sarà devoluta la somma ricavata dalla vendita del libro:  http://linfaneurofibromatosi.it/chi-siamo/”.

 

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