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Gragnano, scoperto un secondo acquedotto di epoca romana nell’area stabiese

Massimo Santaniello (Pres. Archeoclub d’Italia – Castellammare di Stabia): “Scoperto un secondo acquedotto romano, nell’area stabiese. Questa volta si tratta di Gragnano. L’acquedotto non sarebbe di origini Medievali. Ora siamo sulle tracce di un terzo possibile acquedotto.  Questi siti interessanti dal punto di vista archeologico saranno location di un Press Tour a breve organizzato da Archeoclub d’Italia”.

E a Settembre Press Tour tra Ville Romane, Acquedotti Romani, vie dell’acqua, paesaggi naturalistici dell’area stabiese.  Ma dal 18 al 20 Giugno le “Giornate Europee dell’Archeologia” con escursioni anche serali!

 

Gragnano, 4 Giugno – “Anche l’acquedotto di Gragnano è di origine romana. Presenta le stesse caratteristiche costruttive dell’acquedotto di Quisisana a Castellammare di Stabia. Questa ulteriore scoperta rivoluziona tutti gli studi sul territorio stabiese. Si tratta di un acquedotto di circa 6 km di cui 3,00 perfettamente conservati. Con questo sono già due gli acquedotti che alimentavano le ville di Stabiae, ma ce ne potrebbe essere addirittura un terzo sulla cui ricerca stiamo lavorando. Tali risultati sono figli di un’attività di ricerca che stiamo portando avanti con la guida escursionistica Wolfgang Martin Murmann che mi segue con dedizione in tutte le esplorazioni dei Monti Lattari.  L’acquedotto della Valle dell’Imbuto a Gragnano che fino ad oggi era considerato di epoca Medioevale è invece identico per tipologia costruttiva a quello di Quisisana, quindi è un’ulteriore prova che i Romani avessero realizzato questi capolavori di ingegneria idraulica sfruttando le sorgenti dei Monti Lattari e seguendo le valli sono giunti fino alla zona collinare di Stabiae”. Lo ha annunciato Massimo Santaniello, Presidente di Archeoclub d’Italia sede di Castellammare di Stabia, autore di questa importante ricerca. I primi risultati vengono resi noti solo oggi.

E Santaniello racconta tutti i dettagli della ricerca ed anche il come sia stata condotta con cautela, costanza e pazienza.

“Le attuali conoscenze degli acquedotti romani nell’area vesuviana sono attestati fino ad Ercolano e Pompei, le quali venivano servite dall’acquedotto di Serino, dopo aver percorso decine di chilometri. Ma di come venisse alimentata la città di Stabiae e il territorio dell’ager stabianus non è stato mai oggetto di studio. Ovviamente a noi dell’Archeoclub Stabiae ha suscitato un notevole interesse, e quindi abbiamo voluto dare un contributo per riscrivere la storia del nostro territorio. Ricordiamo che l’ager stabianus era molto esteso – ha proseguito Santaniello –  esso si estendeva nei territori degli odierni comuni di Gragnano, Casola, Pimonte, Santa Maria la Carità e Sant’Antonio Abate, fino a Vico Equense. Quindi possiamo immaginare quanto fosse importante la risorsa idrica per una città le cui dimensioni dell’abitato principale e il numero di abitanti non sono ancora noti. Ecco che si accende la curiosità di chi ha letto di studi sull’acquedotto medioevale di Gragnano e le notizie relative all’acquedotto di Quisisana, ritenuto dalla storiografia di origine borbonica. Di recente abbiamo condotto degli studi approfonditi sull’acquedotto di Quisisana ritenendo che la tipologia costruttiva possa ricondursi all’epoca romana. La nostra curiosità, in particolare del sottoscritto, ha inizio nel 2007 quando con un gruppo di colleghi invia un documento alla Soprintendenza ai BBAA di Napoli per chiedere di effettuare uno studio sull’acquedotto di Quisisana. Poi il 25 luglio 2010 un indizio importante che emerge durante una visita agli scavi di Villa Arianna, prima dell’atrio Tuscanico era ben visibile una condotta in piombo con un ripartitore di acqua, da cui derivano le due tubazioni dirette verso Villa Arianna e il cd II Complesso. La direzione della tubazione era in direzione est, verso il rivo San Marco, nei pressi della valle che raccoglie le acque provenienti dai Monti Lattari, e precisamente da Gragnano”.

E a fine Settembre, Press Tour di Archeoclub d’Italia nell’area stabiese per visitare le ville romane ma anche gli Acquedotti romani. Archeoclub d’Italia sostiene pienamente la candidatura dell’Italia a sede del Decimo Forum Mondiale dell’Acqua. Un percorso di chilometri e chilometri analizzato centimetro per centimetro anche con numerose fotografie.

“L’abitato dell’antica Stabiae era in parte situato nei pressi della fascia costiera, tra via Regina Margherita e via Gesù, dove sono state ritrovate abbondanti testimonianze della presenza di un abitato romano, probabilmente risalente all’epoca successiva all’eruzione pliniana. Ebbene questo abitato poteva essere rifornito dalla grande quantità di acqua della sorgente di Fontana Grande, che ancora oggi serve migliaia di stabiesi residenti nel centro antico. Sappiamo che l’abitato di Stabiae si sviluppava anche sulla zona collinare dove sorgono i borghi di Sant’Andrea, della Sanità, di Privati, Mezzapietra, Scanzano, Fratte e di Pozzano. Nei pressi della località di Pozzano, in un luogo ancora imprecisato, venne rinvenuta una fistula acquaria che reca il nome di Publius Sibidius Pollio”.

L’iscrizione del senatore romano è stata datata al 30 d.C., quindi nel periodo Giulio-Claudio e precisamente con l’imperatore Tiberio. La fistula è stata rinvenuta insieme ad altri resti durante gli scavi di un villa, associata ad una cisterna. Quindi l’idea che un acquedotto potesse servire la zona collinare è abbastanza concreta – ha continuato Santaniello –  in quanto sappiamo dal Decameron del Boccaccio, che a Quisisana già nel periodo Angioino, il Re si recava presso l’abitato del Degli Uberti, ove vi era una grande vasca, forse una peschiera, all’interno del quale il Re ammirava le due bellissime figlie del Degli Uberti fino ad innamorarsene. Quindi una testimonianza del primo nucleo del Palazzo Reale già agli inizi del XIV secolo, molto prima dei Borbone. Poiché dell’acquedotto, definito borbonico, che alimentava il Palazzo Reale ingrandito da Ferdinando II e poi da Francesco I di Borbone, alcune tracce sono state rinvenute su alcuni muri del sottostante abitato di Sant’Andrea è lecito pensare che l’abitato venisse rifornito di acqua già in epoca Angioina. Nella zona collinare sono almeno due le cisterne ritrovate, una nei pressi del castello Angioino e un’altra di sicura epoca romana si trova alle spalle della chiesa di Santa Maria di Loreto”.

Dunque l’Acquedotto sarebbe non di origine Medievale ma di origine Romana e potrebbe essercene anche un terzo!

Quindi l’ipotesi che l’acquedotto non sia borbonico ma di origine romana è molto probabile sia per i materiali impiegati che per la presenza di strutture romane sulla collina. Ritornando alla Stabiae costruita sulla collina di Varano, l’unica opzione possibile è l’alimentazione dall’acquedotto di Gragnano. Quindi, dopo accurati sopralluoghi lungo l’antico acquedotto che transita nella Valle dell’Imbuto – ha concluso Santaniello – abbiamo scoperto con nostro stupore che anch’esso è molto ben conservato e presenta le stesse caratteristiche costruttive dell’acquedotto di Quisisana. Chi progettò l’acquedotto di Quisisana potrebbe aver progettato anche quello della valle dell’Imbuto. Infatti, egli dovette seguire l’orografia dei luoghi, adagiando lo speco su un percorso sinuoso che seguiva l’andamento delle curve della montagna per poi scendere lungo la valle. Nel tratto più impervio segue la stessa tecnica costruttiva dell’acquedotto di Quisisana, con lo speco costituito dal fondo e da due spallette in cementum, perfettamente intonacate e ricoperte da pietra calcarea. Per cui anche nel caso della valle dell’Imbuto si può ipotizzare che l’acquedotto sia di origine romana.

Una volta superato il tratto più impervio, l’acquedotto supera alcuni forti dislivelli con delle bellissime arcate, e nel punto indicato al centro della foto, attraverso un pozzo verticale effettua un salto di circa 5 m per continuare a correre verso valle ad una pendenza costante. Abbiamo seguito l’acquedotto fino alla sorgente, su cui oggi esiste un bottino di presa della società GO.RI. Spa che ha la gestione del moderno acquedotto ed alimenta l’abitato della frazione collinare di Gragnano. Finalmente dopo circa 2 ore di cammino si giunge alla sorgente della Valle dell’Imbuto, una fatica ripagata dallo scenario naturalistico molto bello. Infatti, l’acqua viene captata dalla GO.RI. Spa attraverso la rete idrica viene trasportata all’abitato, ma subito si può assistere ad uno scenario molto suggestivo.

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