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Giudice di Pace: quando la denegata giustizia inizia con l’avvocato

Napoli, 19 Dicembre – Udienze dal giudice di pace: il degrado della professione d’avvocato. La vanificazione degli anni trascorsi all’università e di quelli giocati alla roulette dell’esame di abilitazione. La mortificazione dell’ideale di giustizia maturato dallo studente in giurisprudenza durante il proprio percorso di studi.

Non sembra davvero placarsi il clima di polemiche in merito alla situazione che si vive presso gli uffici dei giudici onorari napoletani, dove regna la più assoluta disorganizzazione. Non si tratta più solamente dell’emergenza, ormai atavica, delle carenze strutturali. Il problema è anche e soprattutto legato alle garanzie processuali minime e al diritto di difesa del cittadino. Che in questa sede sembrano non trovare adeguata attuazione e soddisfazione.

Sotto il primo profilo, è noto ai più che le aule d’udienza sono ambienti soffocanti! Non sono altro, infatti, che minuscole stanze, ognuna delle quali ospita due giudici. Inevitabile, pertanto, la calca intorno alle scrivanie, considerando la mole di lavoro quotidiana. E che dire degli uffici: antiquati, polverosi e pericolosi. Attrezzature di primaria importanza e utilità  sono, quasi sempre, obsolete. Se non addirittura inesistenti.

Tuttavia, l’ elemento che desta maggiore preoccupazione è la totale assenza di controlli all’ingresso. Ciò comporta che nelle cancellerie possa furtivamente introdursi chiunque, consultare liberamente i fascicoli e finanche sottrarli alla loro destinazione.

Ma è soprattutto nelle aule di udienza che si consumano le scene più imbarazzanti. Più che a un rituale processo, sembra di assistere a un teatrino. Dove ognuno recita un copione e gli attori, quasi sempre, non sono professionisti de mestiere. Un esempio? Le “filastrocche” dei testimoni escussi danno la prova di un canovaccio scritto e studiato poco prima di entrare in aula, magari davanti al bancone del bar. Registi della commedia sono avvocati che, in alcuni casi, non esitano a verbalizzare la deposizione senza le garanzie minime del contraddittorio o una formale intimazione. In questo modo è evidente come i principi e le regole fondamentali del diritto processuale risultino apertamente violati.

Spesso, inoltre, si assiste a un imbarazzante “scambio di ruoli” tra forze dell’ordine e avvocati. Questi ultimi, non potendo contare sui controlli efficaci all’ingresso degli uffici giudiziari, sono costretti a improvvisare doti investigative avendo intuito che il procuratore della controparte è in realtà solo il perito o il segretario o un laureando che usurpa il nome di un conoscente già abilitato o addirittura un praticante non abilitato.

Questa situazione di apparente legalità rischia di pregiudicare l’iter del processo che dovrebbe giungere alla conclusione in modo naturale, cioè senza alcuna forma di condizionamento esterno. A scongiurare ipotesi di denegata giustizia o di aperta violazione del diritto è solo il rigore dei magistrati napoletani, capaci di preservare la terzietà e l’imparzialità del proprio ruolo in condizioni di equilibrio sempre più precario.

E proprio le storture del nostro sistema giudiziario rischiano di costringere gli stessi magistrati a farsi carico di funzioni che loro non spettano, a cominciare dalla verifica delle tessere professionali in sede di udienza. Non resta che auspicare, dunque, controlli sempre più stringenti tanto all’ingresso quanto all’interno degli uffici giudiziari: in gioco ci sono la dignità della professione forense e – valore ancor più prezioso – la credibilità del sistema giudiziario.

Avv. Riccardo Vizzino

 

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