Napoli, 7 Ottobre – Preferendo la poetica di Gabriele D’Annunzio a quella del Pascoli (ma di certo non la penso allo stesso modo riguardo alla personalità del Vate rispetto a quella del professor Romagnolo), mi son sempre dimostrato restio all’impiego delle espressioni onomatopeiche nel corpus dei miei scritti.
Eppure, complice la tragica pandemia che imperversa in ogni dove, quell’ “etciù“, riproducente con fedeltà l’idea dello starnuto, continua a picchiettare nella mia testa.
“Adrià, ma si asciut’ scem?” (It.: “Adriano, ma Ti è andato di volta il cervello?”), potrebbero legittimamente chiedersi i Lettori; ma, nonostante il pizzico di apparente stramberia che connota ogni onomatopea, quest’oggi intendo esser più serio che mai.
La seconda ondata di contagi, ritenuta da taluno un’illusione, è – ohi noi – una realtà più che tangibile: già nella seconda metà di agosto, mentre diversi Concittadini si sollazzavano tra spiagge, ristoranti, localini, et cetera, noncuranti di ciò che stava verificandosi, le infezioni da Covid-19 han raggiunto nuovi picchi, preoccupando non poco Istituzioni e Popolo.
Eppure, v’è ancora chi, fortemente influenzato dalle parole (e dalle azioni) di qualche imbecille dalla scatola cranica vuota, continua a contravvenire alle disposizioni di cui alla decretazione d’emergenza, mettendo a serio repentaglio il benessere degli altri consociati e la salubrità degli ambienti comuni.
Iersera, appena rincasato da una giornata stracolma di impegni, ho dato uno sguardo fugace alle news del pomeriggio, giusto per farmi un’idea di quanto accaduto nel lasso di tempo in cui mi trovavo fuori per commissioni: ebbene, atteso che in quel frangente s’era tenuta una seduta della Camera dei Deputati, diversi giornalisti hanno avuto la brillante idea di porre l’accento su un severo monito dell’Onorevole Lisa Noja, che ora intendo rivolgere a chi ci legge. Costei, nel discorso tenuto in aula, ha esortato i colleghi e gli Italiani tutti ad indossare correttamente la mascherina protettiva, aggiungendo che, se lo fa lei – affetta da una grave patologia (l’amitrofia spinale), che da anni la costringe su una carrozzina con motore elettrico -, possiamo benissimo farlo noi tutti.
La gente, tuttavia, pare volersene abbondantemente infischiare: lo si evince con facilità nel quotidiano, camminando per le vie di ogni città, i cui marciapiedi continuano a brulicare di volti e nasi completamente scoperti.
Vogliamo capirlo, o no, che – oltre a ridurre drasticamente il rischio di contagio – la mascherina, se ben calzata, può preservare la salute altrui, od addirittura salvare vite?
È scientificamente provato che un “etciù“, pur volendosi attenere scrupolosamente alle regole, può essere un pericoloso canale di infezioni, dato che le particelle che si sprigionano all’atto dello starnuto si diffondono in un nanosecondo: se facciamo aderire per benino la mascherina al viso (oltre, ovviamente, a starnutire nella piega del gomito), possiamo perlomeno sperare che le goccioline rimangano sulla manica delle nostre rispettive giacche, senza colpire alcuno.
La situazione, purtroppo, è davvero nera: sebbene ogni paragone con le atrocità di una guerra sia da ritenersi improprio, oggigiorno vi sono esseri umani che, da un giorno all’altro, son costretti alla degenza nosocomiale ed all’intubazione, trovando, nel peggiore dei casi, la morte.
Non v’è, dunque, alcuna scusa che possa reggere (calore, mancanza di respiro, oppressione e piagnistei simili): mettimmoc’ ‘ste ‘mmascherin, e piantiamola di fare i “finti immuni”!
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