Cultura

Cosa fanno gli avvocati? A Casoria la presentazione del libro “Mi presento: avvocato Antonio Capone, Napoletano” di Margherita Savastano

Napoli, 26 Giugno – Il calo significativo dei contagi da Covid-19 – nonostante il dilagare di qualche variante altamente contagiosa, ma certamente non letale, oggetto di allarmismi inutili e criminali da parte di qualche giornalista e/o medico da copertina – ed il successo strepitoso riscosso dalla campagna vaccinale (specialmente in Campania) ha consentito la graduale ripresa degli eventi in praesentia: chi pazientemente mi legge – stimandomi oltremodo – è ben consapevole che nutro mai il proposito di autoesaltarmi, ma, avendo parlato in pubblico per la prima volta de visu, senza che un maledetto schermo mi separasse dalla platea, direi che ho debuttato piuttosto bene, nonostante la mia ben nota sensibilità mista ad una mosaica balbuzie, la quale ultima si manifesta allorquando la tensione prende il sopravvento sulla determinazione.

Fare la conoscenza dell’avvocato Savastano, signora dentro e fuori, mi ha nuovamente convinto che i parassiti della nostra società (come stereotipi, raccomandazioni, mala amministrazione, et cetera) vanno sconfitti lottando strenuamente o, per meglio dire, ponendo in atto quella rivoluzione copernicana che ciascuno si attende: è esattamente questo che fa Antonio Capone, protagonista dei tre racconti gialli scritti dalla valentissima conlega maior.

Invito, dunque, tutti i Lettori di “sciscianonotizie.it” ad acquistare prontamente il libro presentato ieri, frutto di un estro sublime e di un incondizionato amore per Napoli e per la letteratura.

Riporto di séguito l’intervento da me tenuto ieri alla Villa Comunale di Casoria, ove evidenzio le indefettibili qualità che un buon avvocato, a parer mio, deve possedere.

Pregiatissime Autorità, egregi Colleghi, Signore e Signori qui presenti, giunga a ciascuno di Voi il mio cordiale e riconoscente saluto: discutere di letteratura e diritto immersi nel verde stimola, indubbiamente, la concentrazione, come accadeva per molti poeti attivi in Inghilterra nel periodo romantico (tra cui Wordsworth e Coleridge).

Mi preme, poi, ringraziare la conlega maior Margherita Savastano e la carissima Vittoria Caso, Presidente dell’Associazione “Clarae Musae“, ed il dott. Sergio D’Anna, fondatore dell’omonima, neonata casa editrice, per la manifestazione di fiducia nei miei riguardi: sebbene sia ancora alle prime armi nel mondo del diritto pratico, ho, oramai, la piena consapevolezza che, girovagando per i corridoi di un ufficio giudiziario – od anche passeggiando per le strade cittadine – ci si può aspettare praticamente di tutto: ecco perché mi risulta alquanto ostico rispondere in maniera precisa alla domanda “cosa fanno gli avvocati?” .

Nel corpus dei tre affascinanti racconti di Margherita Savastano – che questa sera sono profondamente onorato di presentare -, l’eloquenza – propria del linguaggio forense – si coniuga con la colloquialità insita nel modo in cui il partenopeo comune suole interagire nel corso delle proprie giornate-tipo.

A mio sommesso parere, il connubio poc’anzi enunciato rappresenta la modalità più chiara per far comprendere ai cosiddetti “non tecnici” – ed a coloro che, stoltamente, reputano la nostra una “bella vita” – il modo in cui, oggigiorno, si svolge la classica giornata di un professionista forense, ponendone in evidenza tanto gli aspetti positivi quanto le cosiddette “rogne” (ovvero le stressanti incombenze) che egli, a fronte di molteplici ragioni, è puntualmente chiamato a sbrigare.

Considerata l’esiguità dell’intervallo di tempo a mia disposizione, soffermerò la mia attenzione su tre aspetti della vita personale e lavorativa di un legale, emergenti in maniera lapalissiana dalla prosa dai racconti dell’avvocato Capone, alla cui lettura mi son dedicato con enorme piacere.

Dal primo racconto, intitolato “Rosso Pompeiano“, si evince ictu oculi la costante voglia di conoscenza che anima il protagonista (ancora studente) e, al tempo stesso, il suo intuito e fiuto investigativo, doti fondamentali per svolgere la professione di avvocato: se ne deduce, va da sé, che chi non è desideroso di apprendere, ovvero non investe adeguatamente nella propria formazione, non può di certo ritenersi portato per l’avvocatura.

Nel corpus del racconto “Il mistero di Castel Capuano“, da me ritenuto il più toccante ed attuale di questa raccolta, l’autrice sottolinea un problema piuttosto serio cui, purtroppo, non s’è ancora ovviato: mi riferisco alla pessima organizzazione del nostro sistema giudiziario, infestato dalla sempre più crescente mancanza di impegno in capo a coloro che operano al suo interno, oltreché da una sfilza di riforme rivelatesi tutt’altro che utili, attraverso cui s’è finito col sortire gli effetti contrari: un siffatto andazzo ha implicato, come è noto, una forte tendenza a farsi giustizia da sé, spesso anche mediante il compimento di azioni contrarie alle previsioni di legge.

Di fronte a situazioni del genere, Signore e Signori, il buon avvocato ha il sacrosanto dovere, da un lato, di invitare il proprio assistito a mantenere la calma – in altri termini, a non commettere stupidaggini che gli potrebbero far perdere la lite -, tramutandosi, seppur soltanto per qualche istante, in psicologo honoris causa; dall’altro, sarà d’uopo ch’egli si armi di pazienza e sangue freddo, considerata l’assoluta imprevedibilità del comportamento degli operatori (cancellieri, magistrati, burocrati d’ogni genere, et cetera).

Altro connotato indefettibile dell’avvocato è la curiosità, come è possibile dedurre dal racconto “Il Monastero di Santa Patrizia“, ove Antonio Capone, sfruttando la smisurata passione per la storia della sua amata Napoli, decide di addentrarsi in un sotterraneo, correndo seri rischi per la propria incolumità.

Nessuna causa, credetemi, è “vinta” o “persa” in partenza: talvolta – anzi, direi spesso! – l’ostinazione di un difensore può giocare un ruolo di notevole pregnanza per le sorti della lite. Occorre, in altri termini, uno studium, ossia quell’ineffabile zelo tanto caro agli antichi Romani, consistente nell’ascoltare con attenzione il proprio cliente e cercare, facendo leva tanto sulle conoscenze acquisite quanto sul costante aggiornamento, di incidere significativamente sul convincimento del giudice.

Con il personaggio di Antonio Capone, l’avvocato Savastano è riuscita con la maestria che la contraddistingue a render chiare le difficoltà con cui attualmente gli avvocati del Bel Paese son costretti, loro malgrado, a fare i conti e, parallelamente, ha voluto stimolare i legali del futuro a non dare mai segnali di resa.

Complimenti vivissimi all’illustre Collega, e grazie infinite a ciascuno di Voi per l’attenzione.

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