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Apple, Amazon e Google rimuovono Parler dai server: la piattaforma anti-censura scelta dal tycoon rischia di sparire dal web

Napoli, 10 Gennaio – Big Tech rimuove Parler dai server. I social “accreditati” censurano e quelli liberi vengono rimossi dai server. È di ieri, e conseguente ai fatti di Capitol Hill, la notizia che Amazon, Apple e Google hanno rimosso la piattaforma social libera Parler.
A cominciare la “cancellazione” è stata la Apple che ha così giustificato la rimozione di Parler: “Abbiamo trovato su Parler98 post che rimandavano direttamente alla violenza ed alla sommossa. Abbiamo sempre sostenuto che i diversi punti di vista dovessero essere rappresentati sull’App Store, ma non c’è spazio sulla nostra piattaforma per la violenza e l’attività illegale”. Secondo i portavoce del colosso “Parler non ha preso le misure adeguate per affrontare il proliferare di queste minacce sulla sicurezza della gente”.
A ruota Google ed Amazon. Ma cosa hanno voluto davvero rimuovere le big della comunicazione sociale? Cosa è Parler? Un social media network nato nel 2018 grazie a John Matze e Jared Thomson, con un finanziatore conservatore Rebekah Mercer e proprietari che non sono tutti noti, si conosce per sua stessa ammissione il nome di Dan Bongino, noto commentatore politico conservatore. Il social funziona come i suoi omologhi Twitter e Facebook e gli utenti iscritti possono seguire altri utenti.
Differenza significativa : Parler non utilizza nessun algoritmo che selezioni, per mostrarli, alcuni post e ne ometta altri. I post o meglio i parleys sono tutti visibili cronologicamente così come vengono postati. Il social contava al 2019 più di 1.000.000 di iscritti che si sono vertiginosamente moltiplicati nel novembre 2020 quando, in occasione delle elezioni USA, moltissimi utenti sono stati bannati dalle classiche app social per le loro idee e la loro libera espressione; si è così posizionata in uno spazio anti-censura. Grande favore ha trovato presso la destra americana e lo stesso TRUMP più volte bannato e limitato dai social networks “ufficiali” è ricorso a Parler.
I giornalisti americani hanno salutato la nuova piattaforma sin dal suo nascere come la più valida alternativa ai super-controllori Twitter soprattutto e Facebook. Ma risulta quantomeno bizzarro che a cercarne oggi la definizione e la categorizzazione su Wikipedia (uno dei mezzi più utilizzati dalla media degli internauti, e chi gestisce il web questo lo sa bene) si legge: “Una base significativa di utenti è composta da sostenitori di Donald Trump, conservatori, cospirazionisti, estremisti della destra americana, sostenitori di QAnon”. Insomma, il network viene già bollato ed etichettato come mezzo per diffondere messaggi di violenza e tanto basta a motivarne la morte per Big Tech (o Big Brother?) E così, se entro domenica notte il social non troverà un server hosting libero e disponibile scomparirà dalla rete, e con esso più di 10.000.000 di utenti ed il loro libero pensiero.
Il CIO John Matze ha lanciato questo messaggio: “un modo orribile di difendere la democrazia e placare la violenza. Amici non vi preoccupate, tutto quello che sta accadendo è una questione di potere. Se pure non potete per il momento più scaricare la piattaforma, saremo di nuovo presenti ed attivi da lunedì a mezzogiorno per continuare a poter usare il nostro social. E’ stato un abuso di potere e di cattivo modo di gestire una concorrenza che fa paura alle società che per ora detengono il monopolio dei social e quindi di ciò che si può o non si può dire.” Vero è che Parler ha raccolto milioni di utenti (e il numero dovrebbe far riflettere molto) bannati o censurati o limitati da Facebook, Twitter e Instagram. Ed è altrettanto vero che il social media ha visto nelle ore successive ai fatti di Washington un numero impressionante di downloads che sicuramente hanno attirato l’attenzione delle forze politiche anti-Trump come delle aziende della Big Tech che non hanno atteso per attivarsi e sospendere una dopo l’altra la app dai solo server.
Evidente che Parler si è configurata come una minaccia alla linea seguita nell’ultimo periodo da Twitter, Facebook, Instagram: la censura ad alcune categorie di post, la forte limitazione imposta all’azione di alcuni profili, la rimozione e l’oscuramento di pagine e gruppi di membri della società civile trattanti argomenti categorizzati come “sensibili” dai CEO dei suddetti social. E ciò lascia pensare che ci saranno ulteriori strette all’espressione del libero pensiero visto che da alcuni giorni, all’accesso a Whatsapp, sta comparendo la schermata che preannuncia per l’8 febbraio un aggiornamento che di fatto è obbligatorio e che non lascia scelta all’utente: o si accetta o non si potrà più usare il programma di messaggistica.
E la modifica non è affatto banale: si parla di condizioni della privacy, di forzata, obbligatoria condivisione dei contenuti whatsapp con la sorella maggiore Facebook e le sue aziende. In sostanza, se voglio usare whatsapp sono obbligato ad accettare che tutto quanto passi sull’app venga incamerato nei server e database Facebook che può farne l’uso che preferisce, senza consenso, senza limitazioni. La conseguenza è immaginabile, solo in parte. Alla fantasia di ognuno il seguito della storia.
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