Napoli, 10 Gennaio – Big Tech rimuove Parler dai server. I social “accreditati” censurano e quelli liberi vengono rimossi dai server. È di ieri, e conseguente ai fatti di Capitol Hill, la notizia che Amazon, Apple e Google hanno rimosso la piattaforma social libera Parler.
A cominciare la “cancellazione” è stata la Apple che ha così giustificato la rimozione di Parler: “Abbiamo trovato su Parler98 post che rimandavano direttamente alla violenza ed alla sommossa. Abbiamo sempre sostenuto che i diversi punti di vista dovessero essere rappresentati sull’App Store, ma non c’è spazio sulla nostra piattaforma per la violenza e l’attività illegale”. Secondo i portavoce del colosso “Parler non ha preso le misure adeguate per affrontare il proliferare di queste minacce sulla sicurezza della gente”.
A ruota Google ed Amazon. Ma cosa hanno voluto davvero rimuovere le big della comunicazione sociale? Cosa è Parler? Un social media network nato nel 2018 grazie a John Matze e Jared Thomson, con un finanziatore conservatore Rebekah Mercer e proprietari che non sono tutti noti, si conosce per sua stessa ammissione il nome di Dan Bongino, noto commentatore politico conservatore. Il social funziona come i suoi omologhi Twitter e Facebook e gli utenti iscritti possono seguire altri utenti.

I giornalisti americani hanno salutato la nuova piattaforma sin dal suo nascere come la più valida alternativa ai super-controllori Twitter soprattutto e Facebook. Ma risulta quantomeno bizzarro che a cercarne oggi la definizione e la categorizzazione su Wikipedia (uno dei mezzi più utilizzati dalla media degli internauti, e chi gestisce il web questo lo sa bene) si legge: “Una base significativa di utenti è composta da sostenitori di Donald Trump, conservatori, cospirazionisti, estremisti della destra americana, sostenitori di QAnon”. Insomma, il network viene già bollato ed etichettato come mezzo per diffondere messaggi di violenza e tanto basta a motivarne la morte per Big Tech (o Big Brother?) E così, se entro domenica notte il social non troverà un server hosting libero e disponibile scomparirà dalla rete, e con esso più di 10.000.000 di utenti ed il loro libero pensiero.
Il CIO John Matze ha lanciato questo messaggio: “un modo orribile di difendere la democrazia e placare la violenza. Amici non vi preoccupate, tutto quello che sta accadendo è una questione di potere. Se pure non potete per il momento più scaricare la piattaforma, saremo di nuovo presenti ed attivi da lunedì a mezzogiorno per continuare a poter usare il nostro social. E’ stato un abuso di potere e di cattivo modo di gestire una concorrenza che fa paura alle società che per ora detengono il monopolio dei social e quindi di ciò che si può o non si può dire.” Vero è che Parler ha raccolto milioni di utenti (e il numero dovrebbe far riflettere molto) bannati o censurati o limitati da Facebook, Twitter e Instagram. Ed è altrettanto vero che il social media ha visto nelle ore successive ai fatti di Washington un numero impressionante di downloads che sicuramente hanno attirato l’attenzione delle forze politiche anti-Trump come delle aziende della Big Tech che non hanno atteso per attivarsi e sospendere una dopo l’altra la app dai solo server.
Evidente che Parler si è configurata come una minaccia alla linea seguita nell’ultimo periodo da Twitter, Facebook, Instagram: la censura ad alcune categorie di post, la forte limitazione imposta all’azione di alcuni profili, la rimozione e l’oscuramento di pagine e gruppi di membri della società civile trattanti argomenti categorizzati come “sensibili” dai CEO dei suddetti social. E ciò lascia pensare che ci saranno ulteriori strette all’espressione del libero pensiero visto che da alcuni giorni, all’accesso a Whatsapp, sta comparendo la schermata che preannuncia per l’8 febbraio un aggiornamento che di fatto è obbligatorio e che non lascia scelta all’utente: o si accetta o non si potrà più usare il programma di messaggistica.
E la modifica non è affatto banale: si parla di condizioni della privacy, di forzata, obbligatoria condivisione dei contenuti whatsapp con la sorella maggiore Facebook e le sue aziende. In sostanza, se voglio usare whatsapp sono obbligato ad accettare che tutto quanto passi sull’app venga incamerato nei server e database Facebook che può farne l’uso che preferisce, senza consenso, senza limitazioni. La conseguenza è immaginabile, solo in parte. Alla fantasia di ognuno il seguito della storia.
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Carolina Pastore: Formazione umanistica, da sempre impegnata nell’organizzazione del lavoro, curiosa per indole. Ha sviluppato la pratica dell’ascolto e l’ha trasferita nella sua passione: il giornalismo. “Costruiamo ponti, ci porteranno dall’altra parte del mondo”