Cultura

Tunisia, in che direzione naviga il timoniere di una “democrazia in fasce”?

Potrebbe anche andare a sbattere su scogli illiberali.

Napoli, 3 Agosto – Una navicella con bandiera e lingua araba naviga nel Mediterraneo? Tutti la osservano, da lontano, per capire dov’è diretta: il porto è affidabile oppure rischia di andare a sbattere su scogli che la danneggerebbero non poco? Studiare l’ambiente come insieme di natura e cultura deve non sottovalutare anche il crescente sistema digitale e i relativi flussi relazionali che entrano ed escono dal territorio esaminato. Ciò premesso rimando all’ambiente di circa 70 anni fa, in molte parti d’Europa e nel Mezzogiorno d’Italia, i bambini, mediamente prima di un anno d’età, venivano fasciati e poi sfasciati alcune volte nelle 24 ore per i bisogni fisiologici. L’espressione di democrazia in fasce, fu un’analogia usata da un mio collega del Liceo Tecnologico “Transilvania” di Deva in Romania (Grigor Hasa), che insegnava storia ed era autore di non pochi saggi dell’ambiente politico del suo Paese. Sua nipote, Isabella Hasa, ne rinnova la memoria anche con una casa editrice che porta il suo nome. Grigor mi riferì che la loro democrazia, uscita dalla dittatura comunista di N. Ceausesco nel 1989, rispetto a quella italiana era “ancora in fasce”. Me lo disse nel 2004 quando sui media si scriveva di possibili brogli elettorali nel rinnovo della presidenza della Repubblica di Romania. Ecco perché, sempre per analogia, scrivo che anche la democrazia in alcuni Paesi ad economia più attardata, come molti di quelli arabi, la democrazia potrebbe essere ancora in fasce. a Tunisia deve ritrovare rapidamente la “via della democrazia”, ha detto ieri sera un alto funzionario della Casa Bianca a Kais Saied pochi giorni dopo che il presidente tunisino ha preso il potere esecutivo e sospeso per un mese l’attività del Parlamento. In una telefonata di un’ora con Saied, il consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente americano Joe Biden, Jake Sullivan, ha espresso il suo sostegno alla “democrazia tunisina basata sui diritti fondamentali, su istituzioni forti e sull’impegno per lo Stato di diritto”, secondo una dichiarazione della Casa Bianca. Il 25 luglio Saied ha congelato il Parlamento e ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi. Ha ordinato un giro di vite sulla corruzione contro 460 uomini d’affari e un’indagine su presunti finanziamenti illegali ai partiti politici. Saprà condurre la navicella Tunisia verso porti non angusti e dove non si parli solo arabo sognando l’impossibile realtà di un ristabilito impero ottomano? Sono trascorsi troppi anni da allora e la realtà è ben diversa dell’Europa, non più con nobili e servi della gleba, ma cittadini che frequentano le scuole dell’obbligo al 100% e non con analfabetismo arabo che supera il 25% e con ancora molto popolo e poco di cittadini pensanti e non creduloni verso sogni tra il fantastico e il mistico, che già tanto terrore hanno seminato nel mondo. Studiare l’ambiente di territori arabi non è facile perché si è trascurata molta le lettura anche scientifica per quella linguistica, artistica e d’epica storica. Poco conosciamo, a mio giudizio, della storia naturale e della composizione dell’ambiente sociale e del Pil dei ceti di territori arabi con una diversa sensibilità religiosa rispetto a quelli europei e d’altrove. Un mio ex studente, arabo e islamico d’origine, da decenni in Italia e padre di 4 figli, mi ha inviato dei saluti in lingua araba simboleggiati da una colorata nave che riporto nel titolo di quest’altro contributo mediatico per capire l’ambiente tunisino in anticamera tra democrazia e dittatura. Tre anni fa conobbi a Tunisi un anziano artista, che non ho più rivisto vivo quest’anno, era morto anche se mi aveva parlato di un’ operazione al cuore a cui si era sottoposto in ospedale tunisino con cardiologi francesi. Sul buon amico tunisino, Bey Bashir, ho già scritto in questo media, ormai storico per il tempo d’esistenza e per lo stile d’informare la realtà di un così vasto territorio, spesso trascurato.

Bashir fu il mio Genius loci tunisino e dunque un punto di riferimento e voce narrante tunisina con saggezza, tolleranza e simpatia per l’Italia, idem è stato Mohamed, commerciante tunisino e l’emigrato a Milano e poi rientrato a vendere pesce a La Marsa, a nord di Tunisi. La capitale della Tunisia, Tunisi si trova nella parte settentrionale del territorio tunisino, ad ovest della vicina Cartagine e del pittoresco borgo (con case colorate in bianco e blu) di Sidi Bou Said. Con il suo mix di stili architettonici, ampi viali e stretti vicoli attraversata dal tram, Tunisi è un po’ l’emblema e racchiude il patrimonio del Mediterraneo meridionale e settentrionale. La quasi metropoli fondata nel IX secolo, Medina, non ha più le sue mura vecchie in pietra ma le strade, i souk, le moschee e le strutture storiche rimangono come un patrimonio mondiale dell’Unesco. In netto contrasto con l’antica città, la Ville Nouvelle (Città Nuova) di Tunisi ha una rete stradale più ordinata e pulita in stile ed eleganza coloniali dei francesi. Non poco del centro di Tunisi è stato rinnovamento e riportato a splendere di luci le sue belle sale in stile liberty, gli edifici del mercato franco-arabo e le cattedrali coloniali costruiti in stile bizantino romano. Della città sono intressanti da visitare i musei come il Musée National du Bardo, il Dar Ben Abdallah, ecc.. Il Corriere della Sera con L. Cremonesi, “Intervista a Hela Ouardi” autrice del libro «Gli ultimi giorni di Maometto», che le è costato minacce di morte da parte degli estremisti islamici: «Il presidente non aveva alternative».«Dimettere il governo e congelare il Parlamento è paragonabile ad un’operazione chirurgica, ma necessaria. Era diventata urgente, come suturare un’emorragia». Hela Ouardi ricorre alla metafora medica per descrivere le mosse drastiche del Presidente Kais Saied. Ouardi, Docente di Letteratura francese all’Università di Tunisi, non nasconde il suo sostegno per Saied. «È il nostro chirurgo nazionale, il Paese sta con lui». Non è un colpo di Stato? Un’offesa per la democrazia nata dalla «primavera araba» del 2011? «Dal punto di vista tecnico è certamente un colpo di Stato. Anche l’articolo 80 della Costituzione, cui fa ricorso Saied per giustificarsi, non contempla il blocco del Parlamento. Ma sul piano politico Saied non aveva alternative. La Tunisia stava affondando come il Titanic, non si poteva tenere in vita la legislatura sino alle elezioni del 2024. Eravamo giunti a 200 morti quotidiani per il Covid, terribile in un Paese con meno di 12 milioni di abitanti. La disoccupazione reale sfiora il 40%. I salari pubblici sono bloccati per mancanza di fondi. La corruzione dei parlamentari era giunta a livelli insopportabili. La macchina dello Stato era inceppata». Chiara Clausi da Il Giornale.it, scrive:” Il presidente tunisino Kaïs Saïed continua il suo giro di vite e prende di mira i politici corrotti. Ma lo scontro con l’opposizione rischia di trasformarsi in tumulti nel giorno della preghiera del venerdì di oggi. Il paese è in massima allerta. I tafferugli sono iniziati da quando Saïed ha preso il controllo del paese invocando l’articolo 80 della costituzione tunisina. Una mossa giustificata dalla crisi causata dall’instabilità politica e dalla crisi economica, aggravata dalla pandemia di coronavirus. Dopo il suo annuncio, Saïed ha licenziato il primo ministro Hichem Mechichi e altri membri del governo, ha promesso cambiamenti radicali del sistema politico e di sradicare la corruzione. Ha esteso il coprifuoco e imposto il divieto di assembramento a gruppi di più di tre persone. Ha anche vietato a politici e notabili di lasciare il paese. Da allora, la Tunisia è caduta in un silenzio inquietante che potrebbe essere interrotto in modo drammatico oggi. Ma Saïed non è riuscito ancora a nominare un primo ministro ad interim e la promessa di lotta alla corruzione non è così dura come promesso. Finora nessun politico o uomo d’affari è stato arrestato. La stampa ha però annunciato diverse inchieste. Il portavoce del tribunale di primo grado ha dichiarato: «Il 14 luglio di quest’anno, il giudice per i crimini finanziari ha aperto un’inchiesta sul finanziamento delle campagne elettorali a tre partiti politici». Questi includono il gruppo islamista Ennahda che detiene la maggioranza in parlamento e rischia per questo un ridimensionamento, la formazione Qalb Tounes, guidata dal magnate dei media Nabil Karoui, e il raggruppamento Aych Tounes che non è riuscito a conquistare alcun seggio alle elezioni. Karoui stesso è stato rilasciato solo di recente dal carcere perché sotto inchiesta per accuse di frode. Saïed sulla questione però si è sbilanciato. Ha dichiarato che il numero di coloro che hanno saccheggiato il denaro del paese ha raggiunto 460, pari a 13,5 miliardi di dinari (4,8 miliardi di dollari), e ha aggiunto di avere un elenco dei nomi di coloro che hanno rubato. Saïed ha anche accusato i deputati di nascondersi dietro l’immunità parlamentare e ha precisato che i fondi sottratti devono essere restituiti al popolo tunisino. Inoltre, ha confermato che chi tenterà di distruggere i documenti se ne assumerà la responsabilità davanti alla magistratura. E ha annunciato la preparazione di un testo normativo per la restituzione dei fondi trafugati. Secondo molti analisti le azioni del presidente sembrano essere una mossa per rassicurare coloro che potrebbero avere dubbi sulle misure estreme adottate negli ultimi giorni. Nel frattempo le purghe continuano. Saïed ha licenziato pure il direttore della televisione pubblica nazionale Mohamed Lassaad Dahech, e lo ha sostituito con un giornalista che in precedenza aveva ricoperto già questo incarico ad interim, Awatef Dali. Ma oltre che dal tumulto politico, la nazione nordafricana è afflitta da una paralizzante crisi economica, dall’aumento dell’inflazione e da un’elevata disoccupazione, nonché dal moltiplicarsi delle infezioni da Covid-19. La giovane democrazia è stata spesso citata come l’unica storia di successo della Primavera araba. Ma un decennio dopo, molti nella nazione di 12 milioni di persone affermano di aver visto pochi miglioramenti negli standard di vita e si sono infuriati per il prolungato stallo politico causato dalle lotte intestine tra l’élite al potere. L’ambiente tunisino, come tutti gli ambienti arabi, ha una stratigrafia sociale con molti poveri e un ceto di classe media in bilico tra la crescita e la decrescita del proprio Pil. L’ambiente politico, invece, ancora una volta, è agitato nella ricerca di una via conciliante tra innovazioni necessarie e tradizioni volute da politici con feudi elettorali consolidati. Il presidente della Repubblica semipresidenziale della Tunisia, Kais Saied, ha sospeso il Parlamento, rimosso il premier Hichem Mechichi, sfilato provocatoriamente sull’avenue Bourguiba, circondato la sede dell’Assemblea con i mezzi blindati e schierato l’Esercito «a difesa della Costituzione». Appare lo scontro frontale fra i laici che sostengono il presidente e gli islamisti della Fratellanza Musulmana che appoggiano Ennahda. Il dibattito politico infuocato appare nell’anticamera di un colpo di Stato, reso ancor più rovente dalla precaria situazione economica e dalla devastazione sociale provocata dalla malattia pandemica Covid19. Di ciò gli islamisti sono clamorosamente responsabili: alla corruzione e all’inettitudine della classe politica al potere si assomma una disoccupazione al 20% a fronte di un piano vaccinale che ha raggiunto appena il 7% dei tunisini, con oltre 18mila vittime per il virus. Sembra, a molti osservatori, che Ennahda goda del sostegno esterno di Turchia e Qatar (non a caso Saïed si è premurato di spegnere le parabole della qatariana Al-Jazeera), attivi nell’agitato ambiente politico nordafricano. L’ambiente politico instabile della vicina Libia, la cui contiguità fisica con la Tunisia apre la non troppo fantasiosa possibilità che l’incendio possa estendersi e propagarsi in qualche modo nel già dilaniato Paese confinante. Elvira Ragosta, da Città del Vaticano, scrive: ”Ridha Gharsallaoui è il nuovo ministro dell’Interno tunisino. È stato nominato dal presidente Kais Saied, dopo che diverse organizzazioni della società civile, oltre Paesi esteri, hanno invitato il presidente a formare un nuovo governo. Intanto, un recente sondaggio commissionato da media Business News e Attessia, rileva che l’87% dei tunisini afferma di approvare le decisioni del presidente, che da domenica scorsa è anche a capo dell’esecutivo. Saied, che ha già licenziato per decreto il primo ministro, una ventina di alti funzionari governativi e il procuratore generale militare Ayouni, ha sostituito anche il direttore della televisione pubblica nazionale. Per rispondere alla critica situazione sanitaria del Paese a causa del Covid, il presidente ha anche annunciato l’istituzione di un’unità di crisi per gestire la pandemia, supervisionata da un alto ufficiale militare. Sempre dal media vaticano leggiamo: ”Ci aspettiamo che ci sarà un mese di transizione in cui verranno prese delle decisioni”. Così a Vatican News, Luciano Ardesi, esperto di questioni nordafricane, secondo cui il presidente Saied dovrà, come ha promesso, nominare un nuovo capo del governo. Per lo studioso, inoltre, l’ordine pubblico e l’andamento dell’economia sono due dei tanti temi da tenere sotto controllo: “La Tunisia – dice – ha sofferto molto per il Covid, che ha messo in crisi il turismo, una delle sue principali fonti di valuta estera. I rilievi degli ultimi mesi, infatti, annunciano una diminuzione del venti per cento delle entrate relative a questo settore”. Per Ardesi, i partiti in Tunisia sono il punto debole del sistema costituzionale. Congelato per trenta giorni dal presidente, il parlamento tunisino era uscito abbastanza frammentato dalle scorse elezioni del 2019 in cui nessuna forza politica era riuscita a ottenere la maggioranza assoluta: “Questo ha creato un conflitto tra il presidente e il partito di maggioranza relativa, Ennahda, che ha alimentato un corto circuito istituzionale. Basti pensare che il governo ha avuto un rimpasto all’inizio dell’anno, ma Saied non ha mai voluto accogliere il giuramento dei ministri, che hanno avuto la fiducia dal Parlamento, perché alcuni di loro erano accusati di corruzione”. E poi sugli effetti della crisi tunisina sulla società, scrive ancora: ”Proprio la lotta alla corruzione è stata invocata spesso nelle manifestazioni che hanno attraversato il Paese negli ultimi mesi. Nel ricordare che la società tunisina è abbastanza vivace e partecipe – come dimostrato dalla rivolta che più di dieci anni costrinse alla fuga l’allora presidente Bel Ali, uomo forte della Tunisia, a lasciare il Paese – Ardesi osserva che allo stesso tempo essa è attraversata da una profonda crisi. A preoccupare è l’alto tasso di disoccupazione giovanile e la pandemia di Covid-19 ha colpito in particolare il commercio ambulante, che è uno dei principali mezzi di sussistenza della gioventù. Questo – conclude Ardesi – “sarà veramente il punto delicato di tutta la gestione della crisi, cioè in che modo ridare fiducia ai giovani, non solo a parole, ma dando una speranza di lavoro e futuro alla parte più numerosa della società”. L’ambiente politico libico stenta a uscire dal caos dopo oltre dieci anni di guerra civile e una frattura fra Tripolitania e Cirenaica che pare insanabile nonostante le buone intenzioni dell’Onu e l’opera discreta e incessante dell’Italia perché le fazioni si avvicinino e accettino – come stanno tentando di fare – di recarsi alle urne il 24 dicembre prossimo per eleggere un Parlamento e un Presidente. L’articolo 80 invocato dal Presidente tunisino in carica, Kais Saied, gli conferisce per Costituzione tunisina il potere di sciogliere il Parlamento cosa che ha fatto senza esitazioni prolungate. Il giurista Saied, il potere di sospendere Parlamento, governo, stampa, emittenti tv in caso di «pericolo grave e malfunzionamento» lo ha esercitato appieno. La sospensione dovrebbe durare solo un mese? Il popolo tunisino, spesso fatto di sudditi e non di tutti cittadini come in Europa ed altrove nel nord del mondo, tuttavia s’infiamma, gli islamisti minacciano una protesta fino alle estreme conseguenze. E’ risaputo che il popolo si infiamma e riempie le piazze e le strade quando un manipolo di agitatori vuole. Sempre il popolo di sudditi, ingenui e più ignoranti di altri cioè i cittadini che riflettono e pensano il da farsi, viene strumentalizzato e spinto verso il passato oppure verso l’utopia e non verso il futuro democratico. Intanto i media italiani informano che ”Dopo le manifestazioni dei cittadini per il siluramento del premier e la sospensione del Parlamento, il presidente tunisino ha imposto un decreto che prevede il coprifuoco notturno per un mese e il divieto di assembramenti.” Difficile immaginare l’assenza di assembramenti lungo le stradine pittoresche delle medine tunisine, dove anche i turisti cercano il tipico tradizionale dell’habitat arabo-tunisino. Scrive G. Ferrari su Avvenire.it che “Quello tunisino è un quasi-golpe. E al tempo stesso una miccia accesa…L’articolo 80 della Costituzione tunisina assegna a Saied – un giurista, considerato uomo probo, seppure non estraneo a un certo sovranismo integralista – il potere di sospendere Parlamento, governo, stampa, emittenti tv in caso di «pericolo grave e malfunzionamento». La sospensione dovrebbe durare solo 30 giorni. La piazza tuttavia s’infiamma, gli islamisti minacciano una protesta fino alle estreme conseguenze”. Ben Ali segui H. Bourguiba e ospitò Bettino Craxi in fuga dall’Italia dove il Magistrato di Pietro lo indagava con altri politici del Psi, che allora aveva milioni di fan. Si rifugiò in Tunisia il Premier italiano e là fu sepolto, ad Hammamet con la frase sulla scarna tomba: ”La mia libertà equivale alla mia vita”, mentre vicino al cancelletto d’ingresso cimiteriale c’è la riconoscenza parentale e in nome del popolo italiano dell’ospitalità tunisina in tre lingue: italiana, francese ed araba. In realtà in ambiente sociale tunisino gli italiani, anche grazie a Bettino Craxi, sono ben visti. Il politico Bettino Craxi fu Primo ministro della Repubblica Italiana che ebbe il coraggio di parlare di sistema di corruzione che attraversava tutti i partiti, invece, fu punito soprattutto il suo partito con la quasi scomparsa dei non pochi milioni di voti che rappresentava anche in memoria di più di un secolo di storia socialista e non solo quella dopo il 1921 con la scissione di Livorno in due rami distinti.

Diceva un mio amico socialista, Ispettore de lavoro e Avvocato, già Sindaco di Letino, +Luigi Stocchetti “tra Socialisti e comunisti c’è un abisso di differenze”. In ambiente tunisino Craxi come tutti gli italiani sono ben visti e non credo sia solo perché molti furono presenti a la Goulette durante il protettorato francese. L’italia appare al comune sentiure tunisino come una terra amica di cui fidarsi di più, a me pare. Ma entriamo nell’ambiente politico d’attualità tunisina e globale. Il presidente attuale della Tunisia, ha imposto un coprifuoco dalle 19 alle 6 per almeno un mese, fino al 27 agosto. L’ordinanza è stata annunciata ieri sera attraverso un post sulla pagina Facebook del presidente e vieta qualsiasi spostamento di veicoli o persone, eccetto per motivi di salute gravi o lavoro, durante gli orari stabiliti. Vietati anche gli spostamenti tra le città al di fuori degli orari di coprifuoco, tranne che per soddisfare bisogni primari o per ragioni urgenti di salute, e gli assembramenti di più di tre persone nelle strada o piazze. Ogni volta che al cittadino vengono private o ridotte le libertà di pensiero, di voto e di movimento interno al proprio territorio, c’è da stare allerta. Il diritto internazionale, di stampo liberale, non consente tali privazioni. Quest’anno a fine giugno i turisti in Tunisia non erano molti, come quelli di 3 anni fa. Ho rivisto dall’esterno, perché chiuso al pubblico, il museo-tempio dove fu martirizzato il 14 settembre 258 d. C. il colto vescovo (per 9 anni) di Cartagine dal 249 d. C., Cipriano (Cyprien), mentre era attiva la chiesa a Sidi Boud Said, dedicata a San Cyprien. mi dicevano i fedeli, con il dinamico prete cattolico plurilinguista tra cui l’italiano. Nell’ambiente politico tunisino, con la democrazia in fasce, si osserva che il Presidente, Kais Saied, ha disposto anche la sospensione del lavoro nelle amministrazioni centrali per alcuni giorni per poter consentire ai dirigenti l’organizzazione del lavoro a distanza dei propri agenti. Lo riferisce il sito Tunisie Numerique, precisando che il blocco non riguarda le forze dell’ordine, l’esercito, i lavoratori delle dogane ed il personale sanitario. Il decreto segue la crisi politica iniziata dal Presidente, di licenziare il Primo ministro, Hichem Mechichi, bloccando (temporaneamente?) l’attività del Parlamento con la conseguente sospensione dell’immunità dei parlamentari tunisini. K. Saeid ha annunciato di aver assunto temporaneamente la guida del governo “fino alla nomina del nuovo Primo ministro che guiderà il futuro governo tunisino”. Non è facile governare in Democrazia, appare più facile farlo con altre forme sorde al cittadino e dal buon udito per il popolo ben fatto agitare dal sovrano di turno! In ambiente democratico, invece, appare più difficile procedere tra scelte innovative socioeconomiche e tradizionali. Tra innovazione e tradizione da perseguire vi è sempre più di qualche indecisione personale e politica e dunque del governo della res publica. Conservazione non sempre significa tradizione se si conserva ciò che è positivo in società come la laboriosità, l’onestà, la carità, il pagare le tasse, l’imparzialità dei servizi pubblici la non corruzione pubblica,ecc. Innovare non sempre significa  trasformare in bene se non si procede lungo la via della trasparenza democratica, la parsimonia nella spesa pubblica, l’integrità dei politichi che amministrano le cose e governano le persone, ecc.. Una cattiva opera di conservazione è come un’altrettanto cattiva opera di trasformazione se ai termini gli si danno applicazioni negative per lo sviluppo equilibrato e la crescita del reddito di tutti i cittadini, senza danneggiare chi opera di più e premiare chi si gratta la pancia soltanto e invoca diritti d’assistenza pubblica che non merita spesso e volentieri. Il politico onesto ed avveduto cerca sempre un equilibrio possibile ta l’ambiente da innovare e quello da conservare, soprattutto in Democrazia, basata su tre poteri: legislativo del parlamento, esecutivo del governo e giuridico della magistratura. In Tunisia la corruzione è più vistosa di altre parti e il potere della Magistratura va rafforzato da norme migliori. Il 2.11.2020 l’emittente privata tunisina El Hiwar Ettounsi manda in onda un’inchiesta su un carico di rifiuti arrivato da Salerno nel porto di Sousse. Si parla di quantità ingenti: 282 container tra fine maggio e inizio luglio 2020, per circa 12.000 tonnellate di rifiuti non conformi agli accordi internazionali, bloccati dalla dogana di Tunisi. Il giorno stesso, il Governo tunisino annuncia l’apertura di un’inchiesta giudiziaria per traffico di rifiuti. Le connivenze affaristiche tra malavita organizzata o mafiosa e i poteri politici degli Enti Locali (comune, provincia regione) italiani ma anche tunisini o di qualunque altro stato, sono una triste piaga anche della democrazia nostrana. Non è stato ancora risolto a favore dello Stato il braccio di ferro tra mafiosi e politici onesti e democratici. Le mafie italiani, in modo meno evidente sono presenti anche in Africa e in Tunisia che è più vicina anche a ditte per costruzioni di case, palazzi, strade e ponti. Un italiano di circa 60 anni, spostosi con una tunisina più giovane, mi diceva, in periferia nord di Tunisi, che in Tunisia non paga il pizzo per tutelare gli automezzi. Cosa che gli avveniva normalmente in Sicilia dove suo fratello è rimasto a costruire? Nel Mezzogiono italiano, ma non solo, la lotta tra Stato e mafia, in Sicilia in modo speciale, continua senza sosta e in molte scuole d’Italia si fanno incontri e corsi di legalità e antimafia. Vediamone, dalla cronaca reale del coraggioso media “Caserta24ore –il Mezzogiorno quotidiano di Terra di Lavoro”: “Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani in occasione del 29° anniversario della morte di Rita Atria, la più giovane collaboratrice di giustizia morta suicida dopo il 26 luglio del 1992 dopo la Strage di Via d’Amelio, intende ricordare la sua integrità morale e il suo rifiuto a tutte le regole antiche dell’assoggettamento mafioso. Rita Atria diciassettenne di Partanna la mafia l’aveva conosciuta fin da bambina, a 11 anni perse suo padre, pastore affiliato a Cosa Nostra, ucciso in un agguato mafioso. Dopo la sua morte, Rita si legò ancor più a suo fratello Nicola, anch’egli mafioso, ucciso nel 1991. Troppo dolore per una ragazza così giovane e così lontana interiormente da quella Sicilia di sangue alla quale non apparteneva e non voleva appartenere. Rita scelse la strada del Bene.

Insieme a sua cognata, Piera Aiello la moglie di Nicola Atria, cercò nella magistratura la giustizia per quegli omicidi inaccettabili che la segnarono per sempre. E la Giustizia si materializzò in Paolo Borsellino…Con il giudice Paolo Borsellino nacque fin da subito un legame fortissimo. Come ha più volte affermato sua sorella, il giudice palermitano provava nei confronti della giovanissima donna un grande affetto paterno. Rita era per lui la sua picciridda e Borsellino era per lei il suo confessore segreto, il tutore delicato e amorevole, il padre che la mafia le aveva negato e che la Giustizia, ora, le stava dando”. Negli 8mila comuni italiani quanti appalti pubblici sono svolti in modo corretto o legittimo? Tutti? Oppure più di pochissimi i concorsi sono truccati da sibilline procedure e cavilli legali che favoriscono questo o quel concorrente? La Corte dei Conti registrava e registra ancora circa 60 miliardi di corruzione annua in Italia. Dunque non siamo messi bene democraticamente se una parte consistente di politici accetta le tangenti e si lascia corrompere. Nell’ambiente (insieme di natura e cultura) è prevalente quello politico perché interessa il governo della res publica. Essa già dai tempi del Senato di Roma caput mundi era governata da senatori di due tipi d’estrazione reale e ideale: populares e optimates o conservatori. In Tunisia attualmente chi governava in Parlamento: i populares o gli optimates? Bisognerebbe essere tunisino da decenni per saperlo bene, ma da ciò che ho potuto vedere ed appurare sul campo della ricerca ambientale, in ambiente politico tunisino c’è una gara tra optimates che parlano in nome del popolo. Si ricorda che anche Giulio Cesare era un senatore populares pur discendente di una famiglia nobile, Julia. Negli ultimi decenni, dopo il leader storico H. Bourguiba che ha governato la Tunisia fino a formare un suo partito unico nel panorama democratico tunisino, perciò fu sostituito da chi ospitò anche Bettino Craxi ad Hammamet, dove c’è la sua tomba. Poi da circa 3 decadi l’instabilità politica tunisina è in crescendo fino all’arrivo delle primavere arabe o dei gelsomini (in Tunisia abbondano i gelsomini) con scioperi e tumulti popolari per il carovita principalmente. Ed ora un presidente della Repubblica che invoca l’art. 80 della Costituzione e scioglie il Parlamento privando i suoi membri delle garazie dell’immunità di parlamentari. Lo ha fatto per pochi mesi, come decretava il Senato di Roma quando era necessario un dittatore temporaneo per sedere gli animi e le rivolte interne. Da una recente vacanza in Tunisia, rifatta dopo tre anni, ho potuto vedere ed ascoltare non poco dall’ambiente sociale e culturale tunisino. Qualcuno della ceto commerciale vorrebbe un uomo solo al comando, altri delle arti liberali vorrebbero una democrazia più matura con minore potere religioso e politico di periferia, altri rappresentano il popolo al quale si lascia dire ciò che si vuole da parete di piccoli gruppi di politici populares soprattutto. Vox populi vox dei, dicevano due millenni fa i Latini. Si sussurra e vocifera in ambiente sociale tunisino che l’attuale Presidente abbia subito un tentativo di avvelenamento. Nulla di nuovo nelle democrazie in fasce e nei palazzi del potere, nell’antico ambiente di congiure. In quel tipo d’ambiente la lotta politica di successione anticipata è sempre presente storicamente. Molti, troppi, degli imperatori romani sono morti prematuramente dentro e fuori del Palazzo del potere imperiale.Tanti altri prima e dopo di Roma caput mundi sono morti analogamente. Ciò sia in ambiente di governo della res publica in modo monarchico (compreso il presunto veleno pronto anche per il papa che poi si è dimesso oltre a Giovanni Paolo I) che repubblicano soprattutto se è in fasce. In ambiente arabo in generale, l’economia meno avanzata e dunque una società più tradizionale, non permette ancora una sufficiente istruzione popolare, che lo rende più composto di sudditi che di cittadini. Ne consegue che quelle democrazie potrebbero essere ancora in fasce, analogamente a ciò che intendeva lo storico e colto mio collega transilvano prima citato. Lo studio dell’ambiente comprende anche quello sacrale e artistico visto che nel passato medievale l’arte sacrale era dominante. Nell’ambiente del territorio della Tunisia abbondano monumenti, dipinti e reperti di colonne, mura, ponti, case, chiese e moschee. Nel Museo del Bardo di Tunisi vi è un concentrato di memoria storica-artistica imponente ed interessante da vedere anche per capire meglio il substrato culturale tunisino e degli altri Paesi arabi nordafricani in particolare. A sentire alcuni tunisini c’è una corsa tra presidenza della repubblica e parlamentari verso il popolo al quale fanno dire: “vogliamo più islamizzazione del paese”! E’ cosi? Non c’è da meravigliarsi perché il popolo è in genere poco colto, informe, anonimo, ingenuo e gli si fa dire quello che pochi agitatori desiderano che dica. E’ sempre stato così, purtroppo. Sto per pubblicare un saggio ambientale: ” Canale di Pace. Evoluzione del suddito in cittadino”. In esso delineo che il suddito non è solo il servo della gleba medievale o lo schiavo romano oppure arabo, ma può essere il cittadino asservito al feudo elettorale moderno dove i politici fanno favori in cambio di voti. Se è così in Europa, figuriamoci in un ambiente ad economia meno avanzata dove le dipendenze del povero dal ricco sono maggiori. Nel cortile del 1500 dell’Università di Padova sono appesi gli stemmi araldici delle famiglie dei nobili di mezza Europa che la frequentavano. Segno evidente che nel passato solo i nobili frequentavano le università, non altri strati sociali. Dalla rivoluzione francese in poi si può dire che anche i figli dei borghesi, viventi nel borgo del feudatario nobile, hanno formato, in prevalenza le arti liberali: notai, medici, avvocati, ingegneri, commercianti. Oggi molti lo dimenticano, ma all’Università non tutti possono permettersi di andare anche se l’ambiente sociale è molto cambiato in Europa dopo il boom economico, ma in ambiente arabo come sta il fenomeno d’accesso ale università? In Tunisia a soffrire maggiormente è il ceto medio perché più cosciente ed istruito il valore sul valore della Democrazia e dei diritti e doveri del cittadino. Nell’ambiente tunisino si rilevano caratteri basilari di modernità europea intrisi di venature tradizionaliste che spingono verso la provincia islamizzante. E si sa che quando subentra la religione nel governo della res publica le cose si complicano. Nell’ambiente tunisino sono presenti, in sottofondo culturale, circa 7 secoli di Cartagine, 6 secoli di Roma, poi un periodo d’ambiente politico instabile tra la presenza dei vandali di Genserico e i bizantini di Costantinopoli e infine il lungo dominio arabo e dell’Islam, nato più di mezzo millennio dopo l’altro messia venerato in modo emblematico a Roma capitale di due stati: italiano e vaticano. Si ricorda che nella religione monoteista maomettana, il potere religioso spesso è associato inscindibilmente con quello politico (sembra quasi un conservatorismo storico quando l’Imperatore, di Roma caput mundi, rappresentava anche il divino o Dio, ma anche i precedenti Faraoni lo facevano). Anche il monoteismo cattolico rappresentato dal Vescovo di Roma non brilla per innovazione e la tradizione è il suo punto di riferimento storico-politico. Ad esempio eclatante: si ostina a tenere il celibato dei ministri di culto pur in presenza di una grave penuria di preti. La storia sembra ripetersi nella lotta tra innovatori e conservatori e tra populares e optimates politici? In ambiente tunisino la lunga presenza araba ha impresso nella memoria superficiale locale del popolo la lingua, che gran parte del ceto medio pare preferisca sostiture con il francese derivato da quasi un secolo di protettorato francese fino alla liberazione del 1956, prima ancora dell’Algeria e senza sparimento di sangue grazie a H. Borguiba. Come evolverà l’ambiente tunisino tra il braccio di ferro del Presidente che usa i militari, come sempre avviene in mancanza di garanzie democratiche, e gli scioperi già programmati e annunciati come quello dei pescatori. Forse il nuovo Governo tunisino permetterà lo sciopero dell’Unione tunisina dell’agricoltura e della pesca (Utap) che ha annunciato una giornata di agitazione per il prossimo 30 settembre da parte dei pescatori? Questi osserveranno sit-in tutti i porti del Paese per denunciare il deterioramento della situazione della loro attività, a causa del rifiuto dell’autorità di controllo di far rispettare le disposizioni degli accordi firmati. I media informavano il cittadino che la prevaricazione del ministero di vigilanza aveva determinato “l’aggravarsi dei problemi del settore, soprattutto con lo sviluppo della pesca illegale, il deterioramento delle infrastrutture e dei servizi portuali, la non applicazione delle disposizioni dell’accordo sul monitoraggio satellitare delle imbarcazioni e l’assenza di un sistema di sicurezza sociale equo”. L’Utap aveva anche annunciato l’organizzazione di una ‘giornata nazionale della rabbia’ il 14 ottobre prossimo. (ANSA). Se la classe media tunisina, che non appare ingenua come il popolo meno istruito, prenderà l’iniziativa c’è da sperare in un’innovazione dell’ambiente socioeconomico tunisino, viceversa la fuga esasperata verso un passato misero non lascierà scampo. E’ nel ceto medio che ci sono i cittadini capaci di pensare democraticamente e che non invocano l’uomo solo al comando, che il popolo osanna sempre? Dovrebbe essere così, ma la collocazione nordafricana araba induce ad esere cauti. Perché? Perché la guerra fredda tutt’ora in essere, come sempre nella storia dell’Homo sapiens soprattutto dopo il neolitico con il sorgere dello Stato confederale e tribale, porterebbe il mito panarabo fondamentalista. Esso era presente in alcuni dei Paesi arabi, e, Gheddafi ed altri dittatori propagandavano, poi alcuni neo-califfi, in sordina, armavano gruppi di giovani non solo arabi di nascita ma anche proseliti non arabi perché pagati bene. Nell’ambiente arabo in generale sono pochi gli stati che superano i 100 milioni di residenti e ancora meno sono quelli ad economia avanzata. La Tunisia è dunque in bilico tra democrazia avanzata o ritorno al passato più islamizzato! Sembra, secondo alcuni cittadini tunisini, che anche questo Presidente non sia esente dal mito suddetto come, invece, fa apparire di più il primo ministro deposto. Potrebbe essere una mossa politica per conquistare più cosensi nel ceto medio? Così il nuovo governo è più vicino al pensiero presidenziale? E se poi il nuovo premier lo sorpasse? In molte democrazie occidentali è quasi normale che i due rami del parlamento abbiano maggioranze diverse, e la democrazia, in quel caso, funziona con una buona opposizione che gratifica il cittadino. Ma in Tunisia come in tutti i paesi arabi la democrazia è in fasce (usando l’espressione del colto collega citato prima) siamo ai tempi di Bourghiba che poi fece un partito unico prima di essere allontanato perché non più in odore democratico? Il congresso internazionale sul decennio 2010-2020 tenutosi all’Università di Tunisi: “Il decennio delle mutazioni sociali in Tunisi 2010-2020: pensieri di dinamica sociale”, mi ha permesso di dedurre ed osservare in qualche università periferica tunisina, che l’ambiente soffre di secolarizzazione o indifferenza al servizio pubblico da erogare qualitativamente e in modo obiettivo, la burocrazia nasconde (più ancora delle nostrane italiane che pure hanno ancora nepotismi per cattedre e sprechi), non poco di inefficienze. La cultura è vincente sempre ovunque, ma in ambiente tunisino dovrebbe essere più libera dalla tradizione che affossa tutto con l’omertà e la religione, che oltre 6 volte al giorno obbliga a sentire le preghiere dai numerosi minareti. Tra Democrazia e Dittatura corre un filo sottile di separazione, che solo il cittadino può rendere spesso e invalicabile con la partecipazione democratica alla res publica. Concludo con l’articolista dell’Avennire prima citato: ”Solo la Tunisia aveva sorpreso per la rapidità con cui congedando l’estenuato Ben Ali aveva imboccato – grazie anche alla secolare influenza culturale francese – la strada della Repubblica costituzionale semipresidenziale. La moderazione mostrata all’epoca dal partito islamico Ennahda, e un’impensata accelerazione sulla parità di diritti donne-uomini, hanno fatto del relativamente piccolo Paese affacciato sul Mediterraneo un modello. Che altre nazioni arabe hanno giudicato pericoloso, proprio perché dimostrava che si può uscire dagli schemi delle satrapie magrebine e mediorientali senza precipitare nel fondamentalismo (anche jihadista). Se non una democrazia compiuta, quella tunisina appariva un faro nel deserto del diritto che dal Nord Africa arriva sino all’Iran”. Si, dietro la porta della Tunisia, come di tutti gli ambienti dei territori arabi, bussa insistente il mito dell’unità islamica e araba che non è un male, ma quando è jihadista è una corsa verso l’utopia semplicistica ed infantile del fondamentalismo. Non siamo più nel medievo con crociate e infedeli, bisogna che ci attrezziamo come cittadini, e non popolani, per essere fedeli alla Democrazia partecipata. Nel mio saggio, citato, ne parlo ampiamente per un futuro stato globale, liberale e federato degli attuali circa 200 esistenti. In merito al termine popolo, che anche in Italia i padri costituzionalisti 73 anni fa, a maggioranza, scelsero di scrivere e non il termine cittadino pur proposto da altri. Già Platone ammoniva nella sua Repubblica:” Quando un popolo divorato dalla sete della libertà, si trova ad avere a capo dei cocchieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni”. Secondo Piero Messina in ”Tunisia, democrazia e Primavera araba”: ”Non occorreva una sfera di cristallo per indovinare che qualcuno avrebbe presto rotto lo stallo istituzionale a Tunisi. Il presidente Saied conta sulla Francia, gli islamisti di Ennahda sulla Turchia. L’Italia non può restare a guardare. La Tunisia è a un passo dal default economico, sociale e politico. Il destino del paese dei gelsomini sarà più chiaro nei prossimi trenta giorni. Resta infatti un mese di tempo per evitare la guerra civile e l’insolvenza del debito pubblico. Tutto accadrà entro il 27 di agosto, quando scadranno i provvedimenti emergenziali emanati dal presidente della Repubblica Kaïs Saïed (Kais Saied). Da lunedì il paese è sotto coprifuoco dalle 19 alle 6 di mattina. Vietati gli assembramenti con più di tre persone e gli spostamenti tra i governatorati”. Per concludere direi che nelle “democrazie in fasce” il popolo ha sete! Nelle democrazie svezzate, come quella italiana, i politici da troppi decenni rincorrono il popolo per dargli o meglio promettergli tutto, ma non dargli niente e a soffrirne è il ceto medio quasi distrutto per la pesante scure fiscale su chi ha beni immobili, e, il cittadino, costretto quasi a zittire anche per i media consenzienti e filogovernativi a partire da quelli televisivi coordinati da persone di parte populista? La Tunisia è ad un bivio storico, scegliere se cedere alle sirene ammaliatrici dell’islamizzazione estremista del Paese o restare e potenziare la sua vocazione occidentale e liberista come non pochi cittadini tunisini vorrebbero, a parte il popolo che si lascia istigare spesso nel modo del sommo poeta italiano, Dante Alighieri, (Paradiso, nella Divina Commedia) “poca favilla gran fiamma asseconda”! La frase, utilizzata come proverbio, vuole esprimere l’invito a valutare tutto lo spettro delle conseguenze delle proprie azioni perché anche un piccolo gesto può provocare immensi danni. “La crisi in atto nel Paese nordafricano, che rischia la guerra civile, dovrebbe farci aprire gli occhi: abbiamo un serio problema di sicurezza ma sembriamo non rendercene conto”, scrive A. Panebianco su Il Corriere della Sera ed aggiunge: ”Che cosa dovrebbe suggerirci la crisi in atto in Tunisia, un Paese che, da un momento all’altro, potrebbe precipitare nel caos della guerra civile? La crisi tunisina dovrebbe costringerci ad aprire gli occhi. L’Europa ha un serio problema di sicurezza ma non sembra rendersene conto. Lo sanno i professionisti che nei Paesi europei, a vario titolo, se ne occupano ma non lo hanno ancora capito le opinioni pubbliche. Il problema di sicurezza dell’Europa può essere così riassunto: Mamma America sembra intenzionata ad abbandonare i cuccioli al loro destino, non sembra più disposta a proteggerli dalle minacce incombenti. È cambiata l’America e sono cambiate le minacce. Consideriamo l’Italia, il Paese europeo più esposto rispetto a quanto accade nel fianco Sud del Vecchio continente. La visita in Libia del ministro degli Esteri, che segue quella del premier di qualche tempo fa, mostra l’attenzione e la preoccupazione del governo italiano. Siamo alla mercé di possibili ondate migratorie imponenti  se il Mediterraneo è sempre più un mare controllato da potenze ostili: Russia, Turchia? Saranno loro nei prossimi anni a sorvegliare/amministrare il traffico di esseri umani fra Africa ed Europa se non lo faranno altri. C’è poi il rischio terrorismo di nuovi califfi che bramano potere e visibilità anche se per ora sono in penombra: nel Maghreb, Tunisia e Libia in testa, come in altre parti dell’Africa, non si contano i jihadisti che aspettano un’occasione per menar le mani. Prepara la guerra se vuoi la pace e viceversa, è l’antico monito dei saggi Latini di oltre 2 millenni fa! Monito da me ripreso nel saggio in c. di s. “Canale di Pace. Evoluzione del suddito in cittadino per uno stato globale”.

 

 

 

 

Giuseppe Pace, (già prof. in Italia ed estero, esperto di Ecologia Umana, Università di Padova)

 

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