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San Gennaro Vesuviano, è tempo di vendemmia all’Istituto “Caravaggio”: l’inebriante sapore della terra

San Gennaro Vesuviano, 9 Ottobre – Anche per l’azienda agricola del “Caravaggio” di S. Gennaro Vesuviano è arrivato il momento della vendemmia, cioè quel momento in cui l’uva del vigneto, coltivata durante tutto l’anno, viene raccolta e portata in cantina per iniziare il processo di vinificazione, che trasformerà il mosto in vino.

Ebbene il vitigno di Via Poggiomarino ha una estensione di circa 4000 mq, ed è costituito da 31 filari, dei quali la maggior parte dedicati alla varietà Piedirosso, mentre i restanti filari sono dedicati in parte alla Falanghina ed in parte all’Aglianico. In questo fine settembre, alcune classi dell’Istituto Agrario, unitamente ai propri docenti e tecnici agrari, hanno preso parte attivamente alla raccolta come attività pratica formativa, seguendo un programma di vendemmia ben preciso, portando a termine il compito assegnato con discrezione e professionalità. Il processo che porta l’uva a trasformarsi in vino ha bisogno di vitigni, suoli e condizioni climatiche ottimali, nonché di corrette tecniche di conduzione del vigneto e di tecniche agronomiche ad hoc.

Sulla base dell’esperienza viticola di questa Azienda e, secondo i pareri tecnici scientifici del settore, si ritengono impropri a questa coltura i terreni eccessivamente umidi, argillosi, calcarei, troppo superficiali e con eccessiva stanchezza. Non solo, ma queste caratteristiche pedologiche sono estremamente fondamentali per la riuscita di una produzione ottimale e di qualità, quindi, nell’impianto di un vigneto è senza dubbio prioritario conoscere l’esatta composizione minerale e fisica del terreno che verrà utilizzato. Altri fattori di notevole importanza sono rappresentati dalla varietà della vite utilizzata e dalle condizioni climatiche che potrebbero condizionare in modo positivo o negativo le fasi fisiologiche della coltura. Per quanto riguarda le varietà impiantate nel vigneto del Caravaggio, è importante conoscere un po’ di storia.

L’Aglianico è il vino rosso più importante e pregiato del Sud Italia, in realtà non sappiamo nulla sulla sua origine, poiché potrebbe essere etrusco o greco, da cui il nome Hellenico con cui era chiamato, ed essere arrivato con i primi coloni greci che fondarono Cuma. Potrebbe fare parte della grande famiglia delle Aminee di cui ci parla Plinio, potrebbe essere originario della Spagna e giunto nel regno di Napoli con gli Aragonesi, non lo sappiamo. La prima citazione si trova solo nel 1500, ma tutto ciò non ha molta importanza. Quella che sappiamo è che l’Aglianico è un grande vino rosso, di estrema eleganza, strutturato, tannico, corposo e adatto a sfidare gli anni con un invecchiamento glorioso. Il fatto che abbia carattere e una concentrazione zuccherina molto alta e sia molto longevo potrebbe far propendere per l’ipotesi del Falerno, ma lasciamo pure correre la fantasia. E anche se non fosse lo stesso vitigno, sicuramente la zona di produzione è la stessa, quindi cambia di poco la questione. L’Aglianico è un vino di collina, anzi vulcanico, non a caso le zone più vocate sono il Vulture in Basilicata sulle pendici dell’omonimo vulcano e l’Irpinia, con il Taurasi ancora vulcanico e le marne dell’Aglianico del Taburno, che sta facendo passi da gigante. Altro vitigno del “Caravaggio” è il Piedirosso, detto anche “per ‘e palummo” per via del graspo a zampetta di piccione. Nel giro di pochi anni è passato dall’essere il simbolo di vino da dimenticare, acetoso al naso e tenuto in piedi solo dall’acidità, a nuovo modello di rosso da inseguire e c’è perfino chi lo paragona al pinot nero in alcune sue espressioni più riuscite. Esso è complicato in vigna come in cantina, si è sempre al limite tra l’odore cattivo e le sensazioni olfattive accattivanti di geranio e frutta rossa. Richiede attenzione e molta competenza.

La delicatezza dei tannini consente di lavorarlo agevolmente solo in acciaio, come succede del 99% dei casi e di abbinarlo con facilità anche alla cucina di mare, o di usarlo d’estate perché può essere rinfrescato anche sino a 14 gradi come un bianco strutturato. Non ha dolcezze da esprimere, è molto secco e salato. Per quanto concerne la Falanghina, occorre precisare che nonostante esista un’ottima versione prodotta nella zona dei Campi Flegrei, il vitigno tipico è quello del Sannio. La denominazione di origine controllata di quest’amatissimo bianco è “Sannio Falanghina”, la cui produzione è consentita nella sola provincia di Benevento. La composizione deve essere di uve Falanghina per un minimo di 85%, ma possono essere presenti uve da altri vitigni a bacca bianca non aromatici, sempre della provincia di Benevento, fino a un massimo del 15%. La provincia di Benevento produttrice di Falanghina si divide in quattro sottozone tipiche: Solopaca, Guardia Sanframondi o Guardiolo, Taburno, Sant’Agata dei Goti. Le caratteristiche organolettiche di questi vini sono il colore giallo paglierino intenso, l’odore moderatamente fruttato e il sapore secco, fresco, lievemente acido. La sua limpidezza può trarre in inganno, ma si tratta di un bianco dalla buona personalità che mostra le sue migliori qualità in abbinamento con piatti di pesce, specialmente crostacei. Sembra che queste speciali uve Campane si siano insediate nel territorio già in epoca romana e si siano subito adattate al clima e alla composizione del terreno di quest’area geografica.

La Falanghina nel tempo ha sviluppato un’eccellente capacità di adattarsi a diversi tipi di terroir ed arricchirsi di aromi peculiari, mantenendo però la propria personalità. Il successo che la Falanghina è riuscita ad ottenere è legato in particolare alla vinificazione “in purezza”, cioè utilizzando uva Falanghina al cento per cento. Il nome della Falanghina del Sannio DOC nasce in epoca antica dall’uso di “falange”, pali usati per sostenere le viti. Gli esperti sostengono che si tratti di un vitigno contemporaneo agli altri autoctoni della zona, Greco e Coda di Volpe, risalenti al I secolo A.C. Elogiato da Plinio il Vecchio e celebrato da illustri poeti, era il vino degli imperatori, immancabile nella corte reale di Napoli e inserito nella prestigiosa carta dei vini papale. Nell’ultimo decennio, il vino Falanghina ha incontrato il favore della gran parte dei consumatori, e le prospettive di commercializzazione sono giudicate positivamente anche dagli esperti del settore. Nella classifica dei migliori Falanghina di oggi, sono al primo posto le Falanghine del Sannio Beneventano e le sorelle dei Campi Flegrei (Napoli).

Nelle diverse fasi fenologiche della vitis vinifera, che vanno dalla crescita, allo sviluppo, alle pratiche agronomiche applicate fino alla raccolta, per poi giungere alla produzione del “nettare degli Dei”, è importante sapere che molti sono gli artefici che attraverso le competenze e le professionalità, con grande fatica coltivano questa passione riuscendo, come nell’azienda dell’I.S. Caravaggio, ad ottenere grandi risultati. Basti pensare che il Dirigente Scolastico Prof. Carmine Strocchia è un agronomo, il quale da qualche anno ha preso a cuore questa pregiata coltura. Altri agronomi, come il responsabile del settore agrario prof. Carlo Borrelli, come il prof. Cozzolino Giancarlo responsabile del vigneto e la prof. Patrizia Maddaluno, con passione e professionalità portano avanti, insieme agli alunni e tecnici agrari Montanino, Palma e Suarato, la filosofia di una didattica formativa sul campo, insieme agli insegnanti tecnico pratici come il prof. Sebastiano Muto  e la prof. Anna Aliberti.

“La nostra – afferma il prof. Carlo Borrelli –  è una scuola all’avanguardia che prepara tecnici in grado di operare con successo nel settore primario. Questo vale anche per il settore enologico e il nostro Istituto fornisce le competenze di base che poi serviranno a chi prosegue gli studi in questo campo. Pertanto, siamo orgogliosi che un nostro ex alunno, Antonio Giugliano, laureato in enologia, segue, in qualità di specialista, i nostri allievi in un percorso didattico che approfondisce gli aspetti vitivinicoli utilizzando il vigneto e la cantina della scuola”. Di sicuro si prospetta una grande annata che “rispetto alla media degli scorsi anni, – sottolinea il dott. Antonio Giugliano –  ma grazie alla buona produzione del 2019, possiamo valutare e considerare buona o addirittura eccellente, a seconda delle zone di valutazione. Questo ci permette di guardare avanti, prospettando grandi vini”.

Andrea Montanino

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