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Ricerca – Babbo Natale ucciso da Internet: i bambini non ci credono più. Anche la Coca-Cola lo abbandona

Internet e i new media, portano i bambini ad essere sempre più disillusi, e i brand puntano su altri valori. Gli psicologi: “Oggi già dagli 8 anni iniziano a chiedersi se davvero esista”

Napoli, 17 Dicembre – I bambini non ci credono più, la Coca Cola lo abbandona: Babbo Natale sembra passare un pessimo momento. Lo certifica la ricerca realizzata da Zwan, azienda specializzata in corporate reputation, attraverso ReputationRating, l’unico motore di ricerca e comparazione di Brand basato su un algoritmo che offre una valutazione completa, il cui brevetto è registrato al Ministero dell’Economia. L’analisi, solitamente applicata sulle organizzazioni per comprendere la variazione nel tempo del loro capitale reputazionale, è stata ironicamente applicata attorno alla chiave di ricerca “Babbo Natale”, mostrando un “calo reputazionale” del 16.26% rispetto al Natale 2020 e un sentiment sempre più negativo nei confronti di Santa Claus.

Secondo i più recenti studi condotti sul tema, l’età media in cui si smette di credere in Babbo Natale è intorno agli 8 anni, soglia sempre più in calo negli ultimi anni. Internet, e più nello specifico i new media, dipingono un contesto complesso per i bambini di oggi. Basti pensare a ai social media, ai quali sempre più bambini – anche indirettamente – sono esposti. Questo, non fa che alimentare la loro naturale predisposizione alla ricerca della verità sulle cose che scoprono. Le informazioni su Babbo Natale circolano ad una velocità incontrollabile attraverso i news media, e se uniamo a questo l’aumento della distrazione dei genitori nell’uso di Internet, la situazione è più che drammatica, lasciando sempre meno spazio a favole e fantasia.

Questo dato è condiviso anche al di fuori dei confini nazionali e le campagne promozionali dei brand rispondono a questa tendenza. Babbo Natale, nel corso degli anni, compare sempre meno negli spot natalizi, ma un esempio ancor più vivido ci arriva dall’ultima campagna natalizia di Coca-Cola.

Esiste addirittura un mito popolare secondo il quale l’iconografia di Babbo Natale deve il suo aspetto proprio alle pubblicità della Coca-Cola. Il legame tra loro risale fin dalla prima apparizione nel 1931 e Santa Claus accompagna da sempre il marchio nelle sue campagne Natalizie, con una provvidenziale assonanza cromatica. Tuttavia, è innegabile come negli ultimi anni la loro comunicazione si sia sempre più orientata su terreni distanti da questa iconografia, trattando temi come l’inclusione, la socialità e la lotta alle discriminazioni. Insomma, l’adeguamento ai criteri ESG sta incidendo sulla creatività degli spot natalizi, e Babbo Natale sembra avere un appeal troppo debole per guidare da solo una campagna promozionale.

Davide Ippolito, Cofondatore e Ceo di Zwan e Reputation Rating, ha spiegato: «Se persino Babbo Natale deve temere per il crollo della sua Reputazione, immaginiamo aziende importanti, con molti meno anni di storia, che attenzione maniacale devono avere per questo tema. È chiaro che argomenti relativi alla sostenibilità, al gender gap, all’inclusione e al rispetto delle istituzioni, devono essere centrali. Babbo Natale, uomo bianco occidentale in sovrappeso non è un più una figura che unisce, e la domanda giusta da porsi è: come bisogna evolversi per restare al passo con i tempi e non diventare vittime di una cancel culture dilagante?».

Scendendo più nel dettaglio dell’ironica ricerca del Reputation Rating, notiamo che ad incidere è principalmente la sentiment analysis degli utenti in rete, che ha registrato una sentiment neutra del 57%, e negativa del 15%. Da questa analisi, i genitori sembrano partecipare al clima di disillusione dei più giovani, dove il contesto pandemico sembra compromettere l’umore generale.

Samantha-Vitali

Joe Casini, cofondatore di Zwan e ReputationRating, commenta così questo risultato: «Secondo i più recenti studi psicologici sul tema, i bambini sono in grado di distinguere fin dall’età di 3 anni tra “bugie cattive” e “bugie buone”. Questo ci indica che non si deve avere timore nel far credere ai propri figli favole come queste, che aiutano la loro crescita psicologica, stimolandoli sempre più a porsi domande e a scoprire il mondo».

Cosa ne pensano gli psicologi? La Dott.ssa Samantha Vitali, psicologa, psicoterapeuta collaboratrice L.I.D.A.P. (Lega Italiana d’Attacchi di Panico) e docente al MAPS di Milano, commenta: «Durante l’infanzia è importante lasciare spazio alla creatività del pensiero magico, in quanto alleato capace di incoraggiare nella crescita i bambini, che solo dai 10-11 anni e nel corso dello sviluppo, avranno accesso al pensiero razionale.

La tendenza delle ultime generazioni (compresa quella alpha, dei nati dopo il 2010) di entrare nella pre-adolescenza ancora prima, anticipa, come logica conseguenza, lo svelamento all’identità di Babbo Natale, complice anche la tecnologia, parte integrante della loro realtà, che dà prematuro accesso a stimoli ed informazioni una volta acquisiti solo qualche anno più tardi. Non è difficile dunque, da genitore sentirsi fare domande volte a confutare la veridicità dell’esistenza o meno di Santa Klaus, già dagli 8 anni in su».

 

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