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Poste Italiane, è giusto bloccare qualcuno sui social?

Roma, 22 Settembre – Il più grande datore di lavoro in Italia è finito di soppiatto al centro di uno scandalo, dai contorni ancora non definiti, che coinvolge centinaia di giovani lavoratori precari, ritrovatisi nella condizione di dover lavorare molte più ore rispetto all’orario contrattuale senza essere pagati.

Mentre spuntano casi di straordinario non pagato alle Poste in tutta Italia, sembra essere calata una coltre protettiva di indifferenza attorno all’azienda, alimentata dalla stampa nazionale – puntuale nello sciorinare le gesta finanziarie del Gruppo guidato dalla presidente Silvia Rovere e dall’ad Matteo del Fante, ma disattenta nell’indagare il controverso modus operandi nella gestione del personale – e dalle istituzioni che, pur essendo state allertate sulla situazione, non sono finora pervenute: i ministeri latitano, l’ispettorato tergiversa, gli enti pubblici previdenziali e assicurativi ignorano. Ahi serva Italia!

Nel marasma generale, Poste Italiane, attraverso i suoi canali social, l’autorevole Tg Poste e una stampa sempre molto benevola nei suoi confronti, per tutta l’estate ha trasmesso le foto di giovani portalettere felici e spensierati sullo sfondo delle più belle spiagge italiane. Una propaganda degna di un mondo al contrario, irrispettosa verso i lavoratori dal momento che non rispecchia affatto il lavoro quotidiano svolto nella maggior parte dei casi. Se questo è giornalismo, parafrasando Levi, verrebbe da dire.

Raccontarsi sui social significa esporsi sia alle lodi che alle critiche, ammesso che lo si faccia in modo rispettoso. Ma Poste, forse, non lo sa. Sembra così che alcuni utenti, portatori di “scomode” verità può darsi, si siano ritrovati nell’impossibilità di interagire con i post di una campagna pubblicitaria in cui si esalta il tanto decantato benessere lavorativo che in azienda c’è per pochi.

Care Poste, si possono bloccare le persone ma non le idee. In fondo, vi siete fregate da sole: gli orari di entrata e uscita dei dipendenti precari, rilevabili attraverso la verifica delle timbrature, dimostrerebbero inequivocabilmente i turni più lunghi, irregolari e non pagati. La coscienza sporca si lava con la verità, non con il silenzio. La reputazione aziendale si costruisce a partire dall’ascolto e dalla comprensione di bisogni ed esigenze dei lavoratori, non con la repressione del dissenso. Sono le persone il vero cuore pulsante dell’azienda, non i signori azionisti di un capitalismo per lo più clientelare.

Gli straordinari non pagati sono un illecito ai danni dello Stato e dei cittadini contribuenti. Ma Poste, forse, non lo sapeva. La Procura e la Guardia di finanza farebbero bene a portare alla luce le verità nascoste di Poste Italiane. Del resto, come si suol dire, non c’è miglior disinfettante della luce del sole.

Carmine Pascale

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