Cultura

Per una diversa rappresentazione ambientale di Casal di Principe

Napoli, 3 Giugno – Il suddito, o “camorrista”, non sempre si evolve a cittadino se non si rimuovono le cause che ne ostacolano il processo storico-sociale. La solitaria lotta di eroi delle istituzioni religiose e repubblicane non basta più in quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia, inficiato da un’endemica malavita organizzata. Nel passato romano il territorio della Campania Felix era costellato di ville consolari con molti schiavi e liberti: Capua, Bacoli, Ercolano, Literno, Oplonti, Pompei, ecc.. Nella bassa vale del Volturno le paludi deltizie erano, ed in parte lo sono ancora, con scarso reddito e con rischio elevato di malaria. Nel medievale attorno al castello del feudatario (tra cui nel XV sec. il Casal del principe Stanislao, figlio del re d’Ungheria Mattia Corvino ammogliatosi, in seconde nozze, con la figlia del re di Napoli Ferdinando I d’Aragona) sorgeva il borgo e in esso le arti liberali i cui figli e nipoti si sono evoluti appieno in liberi cittadini, artefici di gran parte del loro futuro e non più con un destino imposto dalle circostanze ambientali locali e generali. Anche a Casal di Principe i nobili e i possidenti non erano rari con cognomi ancora persistenti tra i casalesi. Fino all’epoca napoleonica i nobili hanno costituito un colto ceto, ma non sempre illuminato dalla comprensione verso i non nobili e verso chi la pancia non la poteva giornalmente riempire: dunque era più applicabile l’antico monito che “il sazio non crede al digiuno”! Con il procedere lento della Storia e con l’accelerazione del boom economico italiano, 1953-73, l’ambiente sociale è notevolmente cambiato, ma non dappertutto il suddito (inteso da Ignazio Silone, in “Fontamara”, come “cafone”) si è evoluto a cittadino. Ancora oggi le dipendenze economiche, culturali e dei servizi pubblici inefficienti non permettono al cittadino di ottemperare appieno l’art. 4 della Costituzione. Di recente ho scritto un saggio “Canale di Pace” che delinea l’evoluzione del suddito a cittadino a partire da Roma Caput Mundi, con nobili o gentili fino ai giorni nostri. Nell’ambienta campano i nobili romani avevano non poche ville e cittadine prospere con tanti schiavi, poi divenuti servi della gleba medievali. Oggi siamo tutti cittadini, ma quanti sono quelli che collaborano con lo Stato perché è un loro obbligo dettato anche dalla fiducia nelle Istituzioni e quanti invece preferiscono “farsi i fatti propri” e far finta di non vedere ciò che gli accade attorno? Studiare l’ambiente di qualsivoglia territorio (comunale, provinciale, regionale ed anche più ampio) è come esaminare un complesso sistema costituito da due parti non sempre scindibili di natura e cultura. L’ambiente di Casal di Principe, che ha, troppo spesso, rilevanza nazionale ed oltre per la cronaca camorristica, è ancora meno facile da esaminare se si vuole perseguire il vero, il giusto e l’oggettivo, valido per tutti e non solo per pochi. Dell’ambiente sociale più che naturale da alcuni decenni si dà un’immagine distorta e si fa di tutta un’erba un fascio. Non pochi casalesi si lamentano di essere rappresentati all’esterno del proprio territorio come poco di buoni. A Casal di Principe e non solo nell’area casertana i cittadino stenta ad essere rappresentato per quello che è e lo si confonde con il popolo, termine generico e fuorviante poiché rappresenta una platea ampia e indistinta. A dissentire sula rappresentazione dei casalesi e di altri comuni della bassa valle del fiume Volturno sono anche i sacrati.Una ventina di parrocchie, non solo casalesi, con i loro ministri di culto, protestano e scrivono: ”Con il presente comunicato stampa, i parroci, gli altri sacerdoti, i diaconi, i religiosi del Litorale Domizio e dell’intera Forania del Basso Volturno, intendono farsi interpreti del desiderio di riscatto e verità che giunge sempre più forte ed urgente dalla popolazione onesta e lavoratrice che vive in questa terra benedetta da Dio, ma offesa continuamente dalla mano dell’uomo e in questi ultimi tempi oltraggiata da una martellante e denigratoria campagna di alcuni mass media (stampa e televisione) locali e nazionali. Il degrado ambientale, umano e sociale di queste terre è ormai noto e dibattuto da oltre 20 anni. Nonostante ciò, alla denuncia puntuale e dettagliata di innumerevoli personalità di ogni campo e soprattutto allo sforzo della Chiesa nelle sue articolazioni educative e caritatevoli, nonché di tante associazioni di volontariato, nulla o quasi nulla è mai seguito in termini di riforme e interventi strutturali. Quello che resta di tanti anni di battaglie e di sforzi eroici è solo un continuo e crescente assalto mediatico, che salve rare eccezioni, non si ferma alla osservazione del male, ma spesso lo amplifica e mistifica dando un’immagine distorta della realtà. Essa, infatti, è molto più ricca e complessa di quella che si vuole far apparire. Alla mafia nigeriana che gestisce, in concorrenza o combutta con le camorre locali, lo spaccio di droga e la tratta delle donne a scopo sessuale, corrisponde la presenza di migliaia di immigrati che vivono onestamente e alacremente spesso sfruttati sui luoghi di lavoro e nelle abitazioni abusive. Tutto questo non appare, travolto dalla smania dello scoop e del macabro che arriva anche ad ipotizzare improbabili traffici di organi. Il risultato è una generalizzazione che genera pregiudizi e paure ingiustificate, alimentando il disagio, spianando la strada a rassicuranti scorciatoie militaristiche e creando facili giustificazioni alla mancanza di interventi sociali che sono la vera emergenza del territorio. Per questi motivi, accanto all’impegno delle Forze dell’ordine, sempre da sostenere e intensificare, vogliamo ribadire che solo una seria ed efficace politica di interventi in campo sociale e ambientale può dare rilancio ad una realtà che ha enormi ed uniche potenzialità di cui vi sono non pochi segni evidenti e concreti, come, il grande presidio ospedaliero Pineta Grande, il centro IMAT, il progettato porto turistico, i campi da golf, il Centro Sportivo del Calcio Napoli, l’Oasi faunistica dei Variconi, il Centro Immigrati Campania “Fernandes”, con il suo Centro Studi Internazionale, per non parlare delle associazioni impegnate nei diversi ambiti del sociale e delle tante comunità etniche che con le loro variegate culture proiettano il paese in un orizzonte mondiale. Alla luce di tutto ciò, la nostra Chiesa locale, pur consapevole del male che affligge queste terre, non si stanca di vedere il tanto bene che emerge per contrastare i seminatori di odio e dare speranza a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Allo stesso tempo chiede alle Istituzioni un programma di interventi urgenti e straordinari per Castel Volturno, tante volte promessi, ma mai realizzati perché la speranza non si traduca in rassegnazione con tutto quello che da essa può conseguire”.Nel passato di Casal di Principe ed in particolare nel XV sec. vi era una realtà ambientale sociale dominata dai nobili Aragonesi con Beatrice, moglie di Mattia Corvino. Ferdinando d’Aragona, del ramo di Napoli, universalmente noto col nome di Ferrante I detto anche Don Ferrando e Don Ferrante, era l’unico figlio maschio, illegittimo, di Alfonso I di Napoli e regnò nella seconda parte del 1400. Ferrante fu un re molto influente in Europa del XV sec. perché fu anche un’importante figura del Rinascimento italiano. Nei suoi 20 di regno portò pace e prosperità a Napoli. Emanò varie leggi di stampo sociale che di fatto minavano lo strapotere dei Baroni, favorendo i piccoli artigiani e contadini. Quest’opera di modernizzazione e la resistenza che oppose contro di loro portarono allo scoppio della famosa rivolta dei baroni, che venne soffocata nel sangue al Maschi Angioino, dove nel salone dei baroni si riuniscono i membri della Governance campana.

Nel riammirare recentemente un piccolo vaso ricevuto in dono al castello del XV sec. di Hunedoara, il più grande castello gotico romeno del Principe, Mattia Corvino, divenuto re d’Ungheria. Da quel vaso è come se avessi tirato fuori la leggenda del figlio, quasi parricida, del principe magiaro e cattolico con la figlia Beatrice, maritata a Ferrante d’Aragona, re di Napoli. Poi ho tirato dal cassetto digitale 3 foto, una del castello dei Corvino in Transilvania, una mia insieme a studenti e colleghi italiani (F. Masi di Galatina) e romeni (V. Sorin e D. Sintoma del C.T.”Transilvania” di Deva) in visita al castello  nel 2006 e una carta d’identità di Casal di Principe, con sopra scritto ”nascere a Casal di Principe terra di camorra”. Studiare l’ambiente di Casal di Principe del XV sec. in Europa, in pieno Rinascimento (con Raffaello, Donatello, Leonardo, Cosimo e Lorenzo dei Medici, Mantegna, ecc. ma anche con le resistenze all’espansionismo ottomano da parte dei principi Vlad III, Mattia Corvino e G. Castriota Scanderberg) è stimolante, ma può apparire lontano dall’attualità odierna, che, invece, ci appassiona di più. Trattare dell’ambiente attuale però si corre il rischio di disturbare qualcuno di quell’ambiente locale, con altre certezze e magari immerso in una scia politica sia pure provvisoria che rispecchia l’eco e le voci di pochi con potenti altoparlanti visivi, mediatici e vocali. Al lettore la scelta di chi si avvicina di più al vero e al giusto per capire l’ambiente in oggetto, che è quello di Casal d Principe di cui non esiste una vasta letteratura a parte riferimenti di glottologia e del lavoro di Giovanni Corvino, Storia di Casal di Principe, Napoli. Il suo territorio comunale, ubicato nella bassa valle del fiume Volturno, ha un ambiente locale più stimolante da analizzare per chi persegue la sola gratificazione di dire la realtà con una ricerca libera da condizionamenti vari di gruppi di qualsivoglia potere. Stimolante anche perché quasi tutte le informazioni inerenti i suoi abitanti, i casalesi, sono inficiate da una minoranza che alimenta la cronaca nera, mai azzurra. Anzi, volendo stare sulla metafora colorata, una sola volta lo fece con il parlamentare e sottosegretario all’economia, N. Cosentino, ma fu un azzurro nerastro, che continua con processi nei vari gradi di giudizio, come un cumulo-nembo politichese. Casal di Principe ha le seguenti coordinate geografiche: 41 gradi, 00 primi e 39 secondi di latitudine nord e 14 gradi, 07 primi e 55 secondi di longitudine Est. Il suo territorio esteso 23,49 kmq sta a soli 16 metri di quota, la popolazione, al 30.11.2020, registra 21.483 cittadini  e la densità abitativa di 914,56 ab./Kmq. La natura casalese è di pianura non più paludosa e si associa con i territori comunali confinanti di Grazzanise, San Cipriano d’Aversa, San Tommaro, Santa Maria la Fossa, Villa Briano, Villa Literno. Il comune è ubicato quasi a metà strada tra Napoli e Caserta, anzi di pochi km più vicino a Napoli. Casal di Principe è situato nel bel mezzo della pianura casertano-napoletana specificamente tra il bacino inferiore del fiume Volturno e il cosiddetto agro aversano in zona bonificata, a soli 3 chilometri a sud dei Regi Lagni, corsi d’acqua minori che corretti ed inalveati in occasione delle opere di bonifica, costituiscono insieme al fiume Volturno la rete idrografica della zona. L’ambiente naturale dei Regi Lagni è rappresentato da un reticolo di canali rettilinei, perlopiù artificiali, il cui bacino si estende in un’area di 1.095 kmq in 99 comuni della città metropolitana di Napoli e delle province di Avellino, Benevento e Caserta. Il suo bacino conta un numero di ab. equivalenti (sia d’ambito civile sia industriale) pari a circa 2.796.360. I Regi Lagni sono frutto di un’opera di bonifica idraulica avviata nel 1610 e terminata nel 1616 per porre fine ad un problema secolare: le frequenti inondazioni del fiume Clanio che tormentavano le popolazioni locali e impedivano lo sviluppo urbanistico sin dall’epoca pre-romana. Il primo lagno costruito fu il “Lagno Vecchio”. Con la delibera della G. R. n.1344/2009, ha stanziato 50 milioni di euro per un piano d’azione di chiusura o risanamento ambientale e riqualificazione dei Regi Lagni. Di soldi ne sono stati spesi per opere di bonifica dell’ambiente naturale del basso Volturno, ma quello che più sembra essere un’emergenza è l’ambiente sociale dell’ambiente locale male rappresentato. Esso, secondo me, non si dovrebbe differenziare troppo da altri a parti sia vicine che del più vasto territorio campano e del Mezzogiorno d’Europa, dove i disservizi pubblici sussistono e resistono con la necessità degli eroi, anche tra sacrati o ministri di culto.

Di questo ambiente, tra l’altro, è importante registrare, almeno uno dei primati: la produzione di mozzarella DOP, che viene esportata globalmente. La mozzarella di bufala è un prodotto di eccellenza di tutto o quasi il territorio campano e di Casal di Principe in modo elettivo per la qualità delle materie prime e per la meticolosità della lavorazione artigianale, che comincia ad avvalersi di moderni sistemi di vendita in ambito non solo locale, né solo regionale con i competitor. Nel settentrione d’Italia non c’è più una pizzeria, un ristorante ed un albergo che non venda mozzarella di bufala campana, senza escludere il mercato analogo degli USA, Gran Bretagna, Francia, Cina, ecc.? Spicca nel’agricoltura casalese la coltivazione della barbabietole da zucchero, dei pomodori, del granturco e degli ortaggi; la frutta più coltivata è la mela “annurca” e la pesca anche detta nel dialetto “percoca”. Non mancano realtà economiche legate al settore secondario come l’industria del gas, quella della produzione di fili elettrici e affini all’elettricità e le vernici. Nel XV sec. l’ambiente dell’antica Terra Loboris, oggi di Caserta, aveva come protagonisti sociali i nobili, più o meno fedelissimi del re di Napoli. Poi vi era il clero, i militari e il popolo detto popolino volgare. Tra i nobili, tutti istruiti, circolavano idee provenienti anche da lontano. Due di questi nobili lontani, in Romania, allora suddivisa in 3 principati, migrarono per cause diverse nell’ambiente del regno di Napoli. Uno era la figlia del principe Vlad III e l’altro il figlio di Mattia Corvino, che si apparentò con il re di Napoli. Per il primo nobile, Maria Vlad maritata al conte Ferrillo, ci sono più articoli anche miei sui media e poco altro. Mentre dell’altro figlio di principe romeno c’è l’enciclopedia Wikipedia, che riporta anche il nome del comune di Casal di Principe, e informa: ”Da fonti non meglio identificate sembra che il nome Casal di Principe derivi da un evento risalente al periodo 1458-1490 durante il quale Mattia Corvino fu re d’Ungheria. Sembra che un suo figlio naturale di nome Stanislao abbia attentato alla vita del padre per subentrargli sul trono. Scoperta la tresca, Mattia, che era imparentato con Ferdinando I d’Aragona re di Napoli per averne sposata la figlia Beatrice, fa arrestare il figlio insieme con i complici e, per non ammazzarlo, li espelle dal regno chiedendo per essi ospitalità a Ferdinando I. Viene a loro assegnato un vecchio casale ubicato in una zona malsana e acquitrinosa dell’entroterra, appunto perché doveva essere una punizione. Da quel momento nasce, quindi, Casal di Principe, cioè il casale dove vive il principe. Al di là della veridicità o meno del fatto, oggi troviamo molteplici coincidenze con esso: i nomi Mattia e Stanislao, questo di chiare origini slave, sono molto diffusi a Casal di Principe ed il cognome Corvino è addirittura il più diffuso”. Ad accreditare quanto scritto sulla citata enciclopedia c’è il racconto del 1944 di un partigiano, nato a Casal di Principe, allora denominato Albanova (NA). Di Albanova esiste un romanzo scritto da Enzo Jovine: ”Il professore e il camorrista”. Ma ora mi sembra interessante soprassedere al romanzo per ribadire ciò che lega parte della storia di alcuni nobili del passato di Casal di Principe, Napoli e la Transilvania occidentale, di cui conosco l’ambiente anche per ragioni di servizio, poco prima della quiescenza. Riporto il racconto seguente tratto dal sistema digitale: “Seduti intorno al fuoco, ciascuno racconta di se, e della propria terra. Fra gli altri un giovane meridionale, conosciuto come “ Francesco il Napoletano”. Di lui i compagni sanno solo che è nato in un paesino della Campania, Albanova, allora provincia di Napoli (Albanova è il nome che Mussolini diede ai comuni unificati di Casal di Principe e San Cipriano, durante il periodo fascista) Francesco ci tiene a far sapere ai compagni che il suo è stato sempre un popolo fiero, che mal sopporta vessazioni e domini, dove fin da bambini si insegna a non calar la testa, a non portarsi schiaffi e offese a casa, a non farsi mettere le mani sulla spalla (modo per definire il dominio di un  qualcuno sull’altro. Per accompagnare la notte che passa in attesa dell’ultimo giorno della propria vita, Francesco racconta di Casal di Principe ai tempi di Ferrante d’Aragona. Tempi difficili. Tempi cruenti, come l’alba che s’avvicina. Fra la fine del 400 e l’inizio del 500, a Napoli regnava Ferrante d’Aragona. Il re era solito passare molti mesi all’anno nel feudo di Casal di Principe, non lontano dalla fortificata Capua, al riparo dai complotti di palazzo e dei suoi baroni (è di questi anni la storica congiura dei Baroni, ricordata da una lapide nella sala del Consiglio del Maschio Angioino). Nei codici aragonesi sono conservate le lettere che il sovrano scriveva alla figlia Beatrice, sposa del re di Ungheria Mattia, detto Corvino. Mattia Corvino fu il nobile magiaro che bloccò l’avanzata degli arabi nei Balcani, anche grazie all’aiuto di un conte della Transilvania (Vlad Tepes) famoso per la sua crudeltà che ispirò, in seguito, i racconti su Dracula il Vampiro. Un figlio illegittimo di Mattia, Stanislao, che mal sopportava il governo tirannico del padre, congiurò contro di lui. Scoperto fu inviato in esilio nel regno di Napoli, in accordo col suocero di Mattia, Ferrante. Quest’ultimo relegò il giovane Stanislao nell’agro di Casal di Principe (ancora oggi, in questa Città, frequenti sono gli Stanislao e i Mattia Corvino). Nello stesso periodo giunse a Casale un altro nobile ribelle, Pasquale Coppola, conte di Sarno, figlio di Francesco Coppola, accusato dal sovrano di aver partecipato alla congiura dei Baroni (1485/06) e condannato a morte mentre il figlio Pasquale fu esiliato a Casal di Principe. La casa di Pasquale Coppola fu eretta nel centro della cittadina. Francesco Coppola era stato uno dei maggiori banchieri d’Italia, ed aveva finanziato la costruzione della flotta reale, quella che si scontrò con gli arabi nella famosa battaglia di Lepanto bloccando l’avanzata islamica nel mediterraneo (ricordiamo che negli stessi anni, a fine 400, i reali di Castiglia e di Aragona misero fine alla dominazione araba in Spagna). Ferrante d’Aragona, affida il feudo di Casal di Principe a tre suoi parenti: i fratelli Gargano, discendenti di una nobile famiglia normanna di Aversa. I fratelli Gargano, in ossequio alle esigenze belliche del loro re, imposero tasse e tributi esosi alla popolazione del feudo, riducendola alla fame. Ben presto i casalesi, insofferenti verso la tirannia dei feudatari, si organizzano per una rivolta, e trovano come loro condottieri i due nobili ribelli: Pasquale Coppola e Stanislao Corvino. Presso la casa Coppola, si riuniscono i capifamiglia per organizzare le sortite contro gli armigeri di casa Gargano e contro gli aragonesi. Non tutti e tre i fratelli erano malvagi; l’ultimo, il più piccolo , era di animo gentile. Questo ragazzo si innamora di Preziosa, una fanciulla del popolo, il cui padre partecipa alla lotta di “ resistenza” contro gli oppressori. Quando i due maggiori feudatari scoprono questo amore, fanno uccidere il padre di Preziosa e mandano via dal feudo il terzogenito e, in accordo con il sovrano, lo inviano in terra aragonese in Spagna. Il giovane partecipa alla spedizione di Cristoforo Colombo alla scoperta dell’America. Intanto la lotta di Coppola e Corvino contro il feudo, subisce gravi sconfitte e fin’anche il giovane Corvino cade in battaglia. Dopo alcuni anni ritorna in patria il più giovane dei Gargano, ed è proprio lui a prendere in mano la guida della resistenza casalese, sconfiggendo, alla fine del doloroso conflitto, i due fratelli, in questo favorito anche dalla morte di Ferrante il cui figlio ed erede al trono, Alfonso, ha uno sguardo più benevolo verso i popoli della Campania (anche perché le “attenzioni” esterne, dal pontificato dei Borgia, ai principi del Nord, diventano troppo pressanti per permettersi il lusso di ribellioni e faide interne. Alla fine della storia il feudo è assegnato al più giovane dei Gargano, che può, così, anche sposare Preziosa e contestualmente istituire un fondo per finanziare il corredo delle ragazze povere (la targa con cui viene comunicata questa decisione è ancora leggibile nella Chiesa del SS. Salvatore nel centro Storico di Casal di Principe). Francesco finisce il suo racconto con le prime luci dell’alba, quando da lontano si sentono arrivare i tedeschi. La battaglia lascia sul campo 19 partigiani, oggi ricordati da una lapide nel Comune di Molazzana in provincia di Lucca. Fra gli altri: “Francesco” detto il Napoletano da Albanova (NA) 70 anni dopo la morte di Francesco e oltre 500 anni dopo la ribellione dei casalesi contro gli oppressori di Ferrante d’Aragona, nella casa che fu di Pasquale Coppola, ed in cui si riunivano i cospiratori, c’è oggi la sede di Libera della provincia di Caserta, del Comitato don Diana, e di varie altre Organizzazioni che hanno combattuto e combattono contro i moderni oppressori, la camorra ed i suoi alleati. Chi ha riportato il raccontare del partigiano, R. F. Natale, scrive:il racconto si basa su alcune notizie storiche. Ferrante dimora spesso a casale: lo dimostrano le lettere scritte alla figlia Beatrice che si ritrovano raccolte nei codici aragonesi. Anche la congiura dei baroni e la partecipazione ad essa di tale Francesco Coppola, conte di Sarno, è un fatto storicamente accertato. Vi sono atti notarili che dimostrano l’arrivo da Napoli di Pasquale Coppola ai primi del 500, e la sua casa aveva sotto le fondamenta la sua tomba. La storia di Stanislao Corvino manca, invece, di solide prove storiche, ma è nel racconto popolare della nostra terra da sempre. Pure la rivolta dei casalesi contro i Gargano è storicamente definita. Francesco detto il Napoletano, eroe della resistenza, è realmente esistito: lo dimostrano le due lapidi erette sul luogo dell’eccidio nazista, a Molezzano, in provincia di Lucca”. Per tentare di entrare nel bandolo della matassa storica dinastica e dintorni dei reali al tempo di Stanislao di Casal di Principe, bisognerebbe leggere anche il libro seguente: “Amanti e bastardi di re Ferrante il Vecchio. Da Diana di Sorrento alla duchessa di Amalfi (con ampia appendice sulla moglie Giovanna) 1465-1485 di A. Bascetta S. Cuttrera. Forse fu più potente del padre Alfonso d’Aragona, di certo ne seguì le orme, il pensiero. Da lui apprese l’arte della guerra e l’arte dell’amore. Le amanti furono tante e alcune divennero concubine. Re Ferrante il Pidocchio fu un giovane dalle mille energie e amò Diana Guardato lasciando Sorrento sottosopra. Da lei ebbe Ilaria, Giovanna e Maria e tutte lasciarono un fantasma: chi aleggia a Vico e chi fra Atrani e Amalfi, quasi a tandem con gli spiriti della Vicaria di Stabia. Poi il Re divenne Ferrante il Vecchio e il posto di Diana fu occupato da Giovanna Caracciolo e Donna Eularia. Altri figli, il nepotismo e storie pittoresche legate ad Enrico e al figlio cardinale avvelenati coi funghi. Altri fantasmi, altre storie. Poi il matrimonio con Giovanna III d’Aragona. Ma a me spetta la ricerca del solo filo che entra nell’ambiente del passato di Casal di Principe per capire un po’ l’attualità.

Ne deriva che dopo le citazioni più o meno lunghe di altri,  rilevo dell’ambiente casalese odierno altri dettagli. Il Santo Patrono di Casal di principe è la Madonna “Maria SS. Preziosa”, venerata nella chiesa del SS. Salvatore e condivisa con la omonima Parrocchia sita alla via Maria SS. Preziosa (traversa di Corso Dante). Una solenne processione, che coinvolge tutta la cittadinanza, accompagna l’effige della Vergine, il Martedì in Albis, dalla Chiesa SS. Salvatore alla Chiesa Maria SS. Preziosa, mentre a Settembre viene riportata nella Chiesa madre. La devozione alla Vergine, in occasione del 12 settembre ( Nome di Maria) si fa festa con luminarie e concertini che seguono a commoventi processioni per le strade di tutto il paese. Nel tessuto politico casalese odierno si può notare, che tra opposizione e maggioranza in consiglio comunale, appare una certa lotta verbale sibillina, che tenderebbe a zittire la voce propositiva dei consiglieri d’opposizione. Vediamone un esempio per il lettore non di parte, tratta dalla cronaca resa pubblica: ”CASAL DI PRINCIPE. Il vicepresidente del Forum Giovanile di Casal di Principe Vincenzo Simeone risponde al consigliere di opposizione Vincenzo Schiavone, che ha proposto di cambiare nome al paese per non far identificare i casalesi onesti con i casalesi camorristi”. All’esterno dell’ambiente casalese, a me sembra che debba uscire solo la unica volontà popolare che tutto si fa e si pensa contro i “casalesi, camorristi”. Mi preme o gratifica ribadire che ho appena terminato di scrivere un libro ”Canale di Pace”, che tratta pure della Congiura dei baroni del 1485-86. Il significato della congiura dei baroni consiste nella resistenza opposta dai baroni all’opera di modernizzazione dello Stato perseguita dagli Aragonesi a Napoli. Il re Ferdinando I (o Ferrante) aveva mirato a dissolvere il particolarismo feudale e fare del potere regio la sola leva della vita del paese. In questo quadro, lo scontro con i baroni era sorto  attorno al  problema di una «riforma organica dello Stato», i cui cardini erano la riduzione del potere baronale, lo sviluppo della vita economica e la promozione a classe dirigente dei nuovi imprenditori e mercanti napoletani.  Strumento di questa politica, fu la riforma fiscale, che affidava nuovi compiti alle amministrazioni comunali, incoraggiandole a sottrarsi, per quanto possibile, al peso feudale. E’  stato calcolato che su 1550 centri abitati, solo poco più di 100 erano assegnati al demanio regio, cioè alle dirette dipendenze del re di Napoli e della corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai baroni. Il che significava che il potere feudale nel suo complesso era titolare delle risorse e delle finanze del regno e che la corte aragonese era resa subalterna all’organizzazione baronale. Era quindi naturale che il re favorisse in ogni modo l’estensione numerica delle città demaniali, sottraendole al peso feudale ed incorporandole alla propria diretta amministrazione. Ma l’impresa non era di poco conto. I baroni erano organizzati in grandi dinastie abbastanza ramificate, ognuna delle quali controllava da sola più terre del re. Gli Orsini Del Balzo, ad esempio, si vantavano di poter viaggiare da Taranto a Napoli senza mai uscire dai loro possedimenti; i Sanseverino, ora osteggiati ed ora protetti dal re, erano titolari di feudi che dalla Calabria, attraverso quasi tutta la Basilicata, raggiungevano Salerno e lambivano Napoli;  i Caracciolo, i Guevara e pochi altri i completavano questa ristretta élite al potere, che di fatto accerchiava la capitale soffocando il regno. Nel mio Canale di Pace, il capitolo più dettagliato e lungo riguarda i castelli e i palazzi dove e intorno ai quali- il borgo i borghesi e le arti liberali- dal suddito si formò il cittadino. Per cittadino intendo quello sancito nell’art. 4 costituzionale di chi collabora, obbligatoriamente, per il progresso economico e spirituale della società in cui vive. Nell’ambiente di Casal di Principe, ma non solo, trovo conferma di quell’evoluzione che non è ancora terminata. Ritengo che sia ancora suddito e non cittadino, chi non è autonomo di pensiero e dipenda ancora, spesso per ignoranza o analfabetismo di ritorno, dalla voce più grossa che non è solo quella del capo clan, ma anche dal clan del partito x oppure y, z, ecc.. Il suddito degli odierni feudi elettorali, soprattutto nel Mezzogiorno del mondo non solo d’Italia, non è favorito a divenire cittadino. Se in quell’ambiente manca l’ascensore sociale o si è arrugginito e non funziona o non deve funzionare, spesso una delle cause è nell’omertà dentro le cordate di non pochi partiti che parlano sempre e per conto del popolo o dei cafoni siloniani (Ignazio Silone scrisse Fontamara e chiamava i suoi poveri “Cafoni” e creduloni succubi delle prepotenze dei possidenti loro compaesani o forestieri). Di Casal di Principe, mi appare un ambiente precedente Stanislao Corvino o precedente il XV sec. poco abitato se non per il casale nobiliare del re e in precedenza di altri nobili, mentre il vicino comune di Casapesenna ha più profonde radici storiche sociali con Roma, caput mundi, e dopo con gli Angioini. A Casal di Principe per molti secoli vi erano prati, boschi ed animali in un ambienta naturale acquitrinoso poco appetibile per insediamenti umani e sviluppo economico-sociale. Nel secolo scorso, invece, la comunità civile casalese ha dato, a torto o a ragione, un’immagine esterna non sempre e non solo positiva, ma addirittura completamente negativa. Ciò non può essere reale, ma fantastico, frutto di dire per sentito dire e magari dall’estraneo ambientale, che soprattutto se popolare o ignorante spesso non riesce a vedere il bene fuori del proprio parentado, quasi come era alla stregua tribale, prima del formarsi dello Stato. Ricordo che anni fa scrissi un articolo sull’ambiente di Roccamandolfi (IS) poichè un avvocato aveva, decenni prima, pubblicato uno scritto su Roccamandolfi “Paese dei Briganti”. Per analogia ritengo che anche Casal di Principe abbia subito i racconti fantastici e non realistici di estranei a quell’ambiente oppure di casalesi di esigue minoranze. Ecco che Casal di Principe, non pochi lo definiscono paese di camorra e tale appellativo è duro a morire sia prima, che durante e dopo del fascismo! Se poi si voglia sostenere che il tasso di furti o altri reati predatori sia più alto di alcuni quartieri della metropoli di Napoli, non mi risulta o forse non li ho letti attentamente anche per distanze reali. La popolazione dei casalesi dall’unità d’Italia ad oggi è cresciuta di sette volte, da poco più di 3 mila a oltre 21mila, senza mai decrescere come, invece, è accaduto a molti altri comuni campani ed in particolare con i periodi migratori come dopo il secondo conflitto mondiale. Paesi del Matese campano, ubicati sull’alto Matese (Gallo Matese e Letino) si spopolarono molto. Da Letino nel 1924 i pastori praticavano la transumanza verticale con Marcianise come da foto che segue e quella orizzontale lungo il tratturo Pescasseroli-Candela come faceva mio nonno omonimo con circa 1000 pecore associandosi al più grande pastore detto “Pasta Bianca” di Roccamandolfi Del quale la figlia vive ancora e risiede a Bojano, il marito professore di lettere, C. Silvaroli, era un cultore di folclore locale sorprendente, che ho conosciuto anni fa nel Molise.

Dal media ”Avvenire.it”, del 6 gennaio c.a., leggo.”Casalesi sono gli abitanti di Casal di Principe, così come i Milanesi sono gli abitanti di Milano, e i Romani di Roma. Eppure per tanti anni sono diventati il nome di un clan camorristico, tra i più potenti non solo nel Casertano. Mafia imprenditrice, con stretti legami col mondo politico ed economico. Storia di oggi, purtroppo, malgrado l’arresto di tutti i principali boss del clan. La conferma è nelle due recentissime operazioni delle procure di Firenze e Napoli…È di pochi giorni fa la notizia che l’associazione “La forza del silenzio”, fornirà alla Presidenza del Consiglio dei ministri i doni istituzionali per i Capi di Stato. L’associazione è proprio di Casal di Principe, segue e aiuta ottanta famiglie con ragazzi autistici. E lo fa in due beni confiscati al clan dei ‘casalesi’, uno dei quali proprio a uno dei ‘grandi’ boss, Francesco Schiavone ‘Sandokan’. Qui, dove si decideva della vita e della morte di tante persone, dove si organizzavano sporchi affari, oggi si realizza nuova e vera vita per gli ‘scarti’ della società, gli inutili e scomodi disabili mentali, e lo si fa attraverso forme di economia sociale che coinvolgono ‘diversi’ e ‘normali’. Quelli di cui la camorra non si è mai occupata. L’associazione da anni ha il laboratorio che realizza prodotti da forno per celiaci ‘Farinò’, riconosciuto dal Ministero della Salute e in vendita anche nelle farmacie. Un secondo laboratorio è specializzato il serigrafie, con tecnologie a basso impatto ambientale. In questa lunga e difficile emergenza sanitaria si è specializzato anche nella produzione di mascherine in collaborazione con le seterie di San Leucio, una delle splendide e storiche eccellenze del Casertano. Un’alleanza tra il bello e il buono di questa terra. Proprio da questo nasce l’accordo con Palazzo Chigi per la produzione di foulard esclusivi, penne personalizzate e mascherine anti-Covid siglate. Ci lavoreranno proprio i ragazzi autistici, come i due gemelli Maurizio e Gennaro, figli di Enzo Abate, poliziotto e fondatore dell’associazione. Che caparbiamente ha trasformato la diversità in opportunità. Davvero un’altra vita, una vita che pur tra ostacoli e drammi, prova a essere normale. O, almeno, non anormale. Questa è la più bella e concreta risposta a chi per decenni ha usurpato il nome dei ‘casalesi’. Loro, i camorristi, ci sono ancora, con uomini, tanti soldi e solide alleanze. Una presenza dal ‘basso profilo’ ma sempre pronta a violenze e sopraffazioni. A loro, e agli alleati politici e imprenditoriali, ci pensano, e lo fanno molto bene, magistrati e forze dell’ordine. Fanno ‘pulizia’, creano vuoti che vanno però riempiti con politica e buona economia. I ragazzi autistici, gli scomodi scarti, indicano la strada. Con impegno, fantasia, concretezza. Va imboccata e percorsa senza tentennamenti”.  Dunque su Casal di Principe il sistema mediatico e le Istituzione repubblicane ai massimi livelli sono piegate per aiutare a capire, a fare, a dire e a sperare in un progresso civile ed economico del casalese, che non deve più essere suddito della burocrazia, della camorra e di se stesso anche se tale ultima affermazione fa pensare al monito che il peggior nemico dell’uomo è  l’uomo stesso che non sa riconoscersi sempre benevolmente.

Dei nobili Corvino di Hunedoara, ho già scritto articoli con il santo e monaco Giovanni da Capestrano, in visita religiosa e politica per organizzare la crociata nelle Diete di Transilvania, che si svolgevano nell’ampia sala del castello suddetto. Su di un altro media, il 28/04/2018, scrissi un articolo ”San Giovanni da Capestrano nel castello di Hunedoara”. In esso citai anche che a Napoli, nella chiesa francescana di Santa Maria la Nova, è sepolto il principe romeno Vlad III, detto Dracula, nella tomba di Matteo Ferrillo, padre di Giacomo e genero di Dracula. Il castello, che ospitò Giovanni da Capistrano inviato dal papa da I. Huniadi a Hunedoara, appare tenebroso, ancora oggi anche con l’illuminazione notturna. Tale castello si trova a Hunedoara, alle pendici dei Carpazi Meridionali o Alpi Transilvaniche, ed è considerato uno dei più misteriosi castelli dell’Europa dell’Est. Si tratta del Castello degli Hunyadi, detto anche il Castello dei Corvino. Alcuni lo descrivono cosi: “In nessun luogo della Romania il contrasto tra passato e presente è così stridente come a Hunedoara, dove i giganteschi scheletri di acciaierie abbandonate fanno da cornice spettrale ed arrugginita a uno dei castelli più belli dell’Europa Orientale. Altri lo definiscono il Castello degli Hunyadi o Castello Corvino, una fortezza gotica del XIV sec. considerata una della gemme architettoniche della Transilvania“. Nei miei quattro saggi dedicati alla Romania ho sempre non trascurato il castello di Hunedoara, ricco di un ambiente religioso, architettonico, artistico, turistico, economico e storico da cui si domina un panorama dell’intera città di Hunedoara (oltre 70 mila residenti) e le circostanti colline minerarie di ferro. Da Covasdie, un forno a pochi km distante è partito l’acciaio per costruire un piede della Torre Eiffel a Parigi.  Il castello sorge imponente sul sito di un antico castrum romano, nel centro-sud della Romania, non lontano dalla Fortezza dacica di Sarmizegetusa Regia e dell’altra romana a sud di Hateg. Del castello le torri di difesa, le guglie gotiche, i fossati, le mura merlate, i ponti levatoi del castello erano una novità nell’architettura militare della Transilvania del 1400. L’artefice della trasformazione del castello fortificato in una sontuosa residenza signorile, fu Matteo Corvino, re d’Ungheria, alleato e poi nemico del principe di Valacchia Vlad III. Sono in molti a sostenere che il principe passò qui ben 7 anni della sua prigionia. Chissà quanto del castello di Hunedoara si trova scritto nei documenti conservati nell’Archivio Segreto Vaticano? È l’archivio privato del papa: mille anni di documenti in ottanta chilometri di scaffali. Nel 2006 è stato tutto aperto ma solo fino a ricerche storiche del 1939. Già in altro articolo si è scritto dei segreti romeni conservati dall’archivio dello Stato del Vaticano, la cui lingua è il Latino come pare utilizzassero già prima di Traiano i Daci di Decebalo ma anche di Burebista. Mattia Corvino, giovane re d’Ungheria, è tra le figure più interessanti del rinascimento europeo anche per la colta moglie Beatrice. Oltre ad essere un abile sovrano, era considerato un grande mecenate, e con la seconda moglie, l’italiana Beatrice d’Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli, fondarono la Biblioteca Corviniana, all’epoca seconda solo a quella Vaticana. Con o senza il principe Vlad III rinchiuso qui, il castello è avvolto in un’atmosfera horror misteriosa e terrificante, grazie alle storie che descrivono le peggiori punizioni inflitte ai prigionieri, difficili da immaginare e ancora più difficili da raccontare.

La città è Hunedoara, ricca di altiforni per la ghisa e forni per l’acciaio, sviluppatisi negli ultimi due secoli. La caduta del regime di Ceausescu nel 1989 tolse ai prodotti siderurgici di Hunedoara i mercati più importanti, quelli del blocco sovietico, e la crisi portò alla chiusura di molte imprese ed al ridimensionamento del complesso siderurgico potenziato da N. Ceausescu. Oggi, investitori stranieri hanno portato una certa ripresa e quanto rimane del vecchio polo siderurgico è condotto dal gruppo Arcelor-Mittal, con una produzione in crescita che avrebbe dovuto già raggiungere le 500.000 tonnellate”. Ma lascio al lettore l’ambiente romeno per entrare in quello italiano di Casal di Principe a cui diede il nome Stanislao di Hunedoara dei nobili Corvino. Scrivo dell’ambiente di Casal di Principe, sollecitato anche da due miei precedenti articoli ambientali di Casal di Principe: uno in difesa di qualunque cittadino casalese di alcuni anni fa, e, di pochi giorni fa, su due comuni casertani, Letino e Casal di Principe, non proprio agli antipodi sociali come quelli naturali, uno sui monti del Matese ai confini con il Molise e l’altro all’ombra della grande Napoli e vicino al Mare. Per un’analisi ambientale corretta non è da sottovalutare la componente religiosa della popolazione casalese, che accomuna poveri, meno poveri, ricchi e più ricchi, i nobili sono spariti o in decadenza? Restano cognomi di famiglie nobiliari del passato anche recente. I loro figli, nipoti e pronipoti desterebbero ancora qualche reverenza? Lo studio dell’Ambiente globale come insieme di Natura (Biosfera in particolare) e Cultura (sia di scienze naturali che umane) è un dominio culturale o ambito di studio che per definizione ci riguarda tutti e coinvolge a vario titolo molti degli aspetti della vita dell’uomo. Lo studio dell’Ambiente locale, invece, non deve interessare solo e soltanto gli indigeni che lo abitano da generazioni. Deve sempre essere una situazione concreta in cui entrano ed escono relazioni merceologiche e informazioni, sempre meno cartacee e più digitali. A questa varietà e complessità di approcci e punti di vista risponde un metodo multi, inter e transdisciplinare che dà delle risposte, tra gli altri, a quanti cercano soluzioni ai problemi dell’ambiente, in particolare a quelli provocati dall’uomo (alterazioni degli habitat, sfruttamento delle risorse, inquinamento, cambiamenti globali). Utili sono i saperi scientifici, che comportano sempre una mentalità critica e sono quanto mai indispensabili in un mondo sempre più complesso come quello in cui vivono i cittadini di metropoli ma anche di piccoli centri come Casal Di Principe. Attualmente la città è una delle più vivaci  del territorio provinciale casertano con più di 21 mila abitanti. Si dalla stampa e dalla cronaca i casalesi appaiono persone allegre e vivaci con uno spirito imprenditoriale positivo e capace di conquistare nuovi mercati competitivi con merci di qualità prodotte bene in loco. Al 31 dicembre 2015, a Casal di Principe, risultano residenti 1.052 cittadini stranieri, ovvero il 4,92% della popolazione. Le nazionalità più numerosa è quella romena con 319 cittadini, forse sentono il richiamo del nobile romeno che fondò la prima comunità civile di Casal di Principe, era infatti figlio di un re. A Casal di Principe certa è applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa è da esaminare meglio. Qui, più di altre realtà ambientali campane, vi sono incisivi pastori d’anime, che sfidano i poteri occulti locali, noti a molti con il nome di clan del sistema camorristico casalese. Tra questi pastori o ministri di culto cattolico, emerge Don Giuseppe Diana, anche perché è stato assassinato il giorno del suo onomastico del 1994 mentre si apprestava a dire messa. Tra i politici- scrittori, più noti in quest’ambiente ampio napoletano-casertano, è Roberto Saviano, che prima di laurearsi in filosofia a Napoli frequentò il liceo scientifico di Caserta. Questi è l’autore di “Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra”, suo primo romanzo, pubblicato da Mondadori nel 2006. Il romanzo ha venduto oltre 2.250.000 copie in Italia  e 10 milioni nel mondo, ed è stato tradotto in 52 lingue. A mio parere di lettore, come parla e scrive Saviano, avrei non poche critiche da fare poiché egli ha uno stile di rappresentare  l’ambiente locale con a centro non il cittadino ma il popolo dedito al malaffare o camorristico. La sua fede nel verbo di sinistra che si fece carne non è nascosta affatto. La sua diffidenza verso la speranza che considera deviante non mi trova concorde né sarei comunque un ottimista disinformato del tutto di un ambiente ampio campano che ho vissuto quasi il doppio del suo, di Saviano intendo dire, tempo sia pure da oltre 40 anni ad alcune centinaia di km lontano, ma senza scorta né grande nostalgia verso i luoghi nativi o di prima formazione come potrebbero essere gli ambienti casertani e napoletani, che cominciano ad apparirmi spesso non poco provinciali come tanti suoi scrittori di ambienti locali. A scanso di equivoci di chi potrebbe tacciarmi di nordista acquisito, ma neanche di meridionalista ”piagnone” e per la mia introduzione all’analisi ambientale o di Ecologia Umana, dico e scrivo che il cittadino campano, a differenza di quello di altre regioni italiane, ha sulle spalle uno dei più ricchi bagagli di provviste immateriali di valore archeologico, artistico, architettonico, storico, culturale e religioso. Tale pesante bagaglio è retrospettivo o di un passato da utilizzare per far crescere il reddito dei residenti in modo diverso. Non credo che si possa approdare ad alcun porto di analisi ambientale speranzosa se non si dà fiducia al cittadino e non lo si “infanghi” nel popolo amorfo, indistinto, scuro e con un linguaggio obbligato dal vernacolo ricercato dal glottologo e letterato. Eppure in Campania non siamo nel Veneto, dove, anche i figli delle arti liberali e scolarizzati, continuano a parlare il vernacolo senza tanto curarsi che non tutti lo capiscono bene. In Campania, invece, gli stessi attori sociali sono molto più attenti, ospitali ed elastici con chi è “foresto”! Allora preferisco iniziare l’esame ambientale partendo da un dato statistico: molti dei vertici degli organismi amministrativi, politici, culturali e artistici del panorama italiano, ma non soltanto, sono campani come pure R. Saviano. Non li troviamo invece nei vertici imprenditoriali ed economico-finanziari, dove sono prevalenti i cittadini delle regioni settentrionali, dove la rivoluzione industriale iniziò e si diffuse prima del Mezzogiorno. Nell’ambiente veneto ad esempio la storica Repubblica Marinara di Venezia o Serenissima ha nutrito schiere di commercianti, che commerciavano con gran parte dell’Europa ed il bacino del Mediterraneo. Ancora oggi a dirigere grandi aziende e banche vi sono i cittadini veneti, che hanno anche un sistema produttivo d’avanguardia con piccole imprese diffuse sul territorio ed un sistema efficientista di tipo privatistico. Nel passato i grandi e ricchi commercianti veneti compravano i feudi ed anche il titolo nobiliare. Nel passato campano, invece, i nobili sono rimasti tali anche dopo Napoleone e la battaglia del Volturno del 1860. Il latifondo non è stato produttivo, sia a Casal di Principe che altrove. Ma allora ci sarà anche più di qualche elemento dell’ambiente campano che sia da considerare positivo e speranzoso, oppure diamo la parola solo a qualcuno che disegna una cornice nera più del carbone e poi esalta il quadro con tinte ancora più fosche? Forse una cosa c’è da valutare prima di altre: l’assenza di una Pubblica Amministrazione efficiente, trasparente e al servizio del cittadino onesto. Direi che lo Stato in Campania è maggiore di altrove eppure i suoi dipendenti non sono deficitari di numero, anzi in certi comparti abbondano. Se il territorio non viene marcato dallo Stato, ci saranno altri a farlo. Uso il termine marcato perché in etologia gli animali marcano il territorio con versi, urina, ed altro a seconda della specie biologica d’appartenenza. Della nostra specie marcava il territorio il capobranco tribale, poi con il neolitico sorge lo Stato fino a quello repubblicano nato dalle ceneri del secondo conflitto mondiale. In questo non breve periodo di storia naturale e sociale vi è stata una lenta evoluzione culturale del cittadino da suddito. Leggo dalla stampa, locale e nazionale, il punzecchiarsi tra lo scrittore R. Saviano e il governatore campano V. De Luca, entrambi a Sinistra: ”L’ultima visita gli aveva praticamente cambiato la vita. Adesso, otto anni dopo, Roberto Saviano è tornato a Casal di Principe, per visitare una mostra ospitata dalla struttura intitolata a don Peppe Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra nel 1994, che ha sede in un immobile confiscato al boss Egidio Coppola. Un ritorno, quello di Saviano, condito dagli applausi della folla, che lo ha accolto al grido di “ben tornato Roberto”, ma anche dalla polemica aperta dal governatore della Campania Vincenzo De Luca. “Io con Saviano ho lo stesso rapporto che ha lei con il suo barbiere”, ha detto De Luca, rispondendo alle domande di un cronista locale. Anche il governatore campano si è recato a Casal di Principe per visitare la mostra, e durante il suo intervento è tornato indirettamente ad attaccare l’autore di Gomorra. “Siamo nella terra di Don Peppe Diana, il sacerdote ucciso che ha insegnato che la lotta alla camorra non si fa nei salotti tv, ma con la testimonianza di vita”, ha detto l’esponente del Pd, che poi ha aggiunto: “Dico a tutti che la Regione è pronta a una manovra che vada oltre la liturgia dell’anti camorra, siamo pronti a creare iniziative per dare lavoro ai nostri giovani”. De Luca aveva già attaccato l’autore di Gomorra pochi giorni dopo aver vinto le elezioni regionali: “Saviano – aveva detto – la camorra se la inventa per non rimanere disoccupato”. Ieri, erano entrambi presenti a Casal di Principe, ma non si sono incontrati. Proprio la città casalese aveva visto l’esordio pubblico dello scrittore anticamorra.  “Non valete niente, andate via“. era stato l’attacco che l’allora semisconosciuto Saviano aveva lanciato  durante una manifestazione per la legalità, il 17 settembre del 2007. Otto anni dopo ecco il ritorno nella cittadina campana, anticipato sulla sua pagina facebook. “Oggi a Casal di Principe – scrive Saviano – Dopo 8 anni io sono qui e voi Iovine, Zagaria, Schiavone, Bidognetti scacciati da una terra che vuole rinascere”. Lo scrittore ha anche commentato l’arresto del boss Luigi Cuccaro, che la folla ha cercato d’impedire, disturbando l’azione delle forze dell’ordine. “Quello che è  accaduto a Barra è la dimostrazione che la battaglia per sconfiggere la camorra è ancora lunga: non dobbiamo credere di avere già vinto”. In Campania molti comuni, come Casal di Principe, chiudono i bilanci in rosso, mentre in Veneto no.  Allora l’ambiente sociale è da migliorare perché quello naturale campano non è povero di risorse del suolo, un buon clima, una viabilità poco ottimale, ecc.. Lo Stato, in territorio campano, sembra alimentare un populismo frenante l’evoluzione del suddito a cittadino. Il cittadino, non solo casalese, così resterebbe ancora suddito di populismi deleteri, che parti consistenti dei populismi dei partiti e dello Stato sembrano assecondare e promuovere. Altri che scrivono di Casal di Principe vedono una popolazione preda solo della camorra non anche dell’indifferenza o secolarizzazione sociale che nel Mezzogiorno persiste da troppi decenni. Indifferenza allo sviluppo necessario, indifferenza all’efficienza dei servizi sanitari, trasportistici, comunali, provinciali, regionale e in ultimo anche scolastici e universitari. Scrivo in ultimo perché dello Stato l’albero del sistema scolastico, a me sembra, quello più rigoglioso e ricco di potenziali frutti benefici per la crescita del cittadino con la sua autonomia giudiziosa e liberale obbligato per Legge, art.4 della Costituzione, a collaborare per il progresso materiale e spirituale della cittadinanza in cui risiede. Per una diversa analisi ambientale su Casal di Principe, tra le varie ipotesi sembra più verosimile quella che era nel passato anche recente, il casale di un principe. Quale principe di un territorio, quello napoletano, così ricco di nobili e di figli di re? No, era, come detto prima, un principe esiliato dal padre, Principe in Transilvania con castello gotico imponente nella città di Hunedoara, a 19 km distante dalla mia ex sede di servizio da docente del MAECI (Ministero Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale). Dall’ambiente storico del XV sec. s’apprende che tra i due nobili M.Corvino e Ferrante d’Aragona ci furono trattative spesso interrotte e riprese fino a, concretizzarsi nel 1474, con il matrimonio tra il nobile Magiaro col castello di Hunedoara e la figlia del re di Napolo, la colta Beatrice. Ferrante impose nel Regno delle tasse pro dote della figlia già a partire dall’autunno del 1475 e Beatrice, sposa di Mattia per procura, venne incoronata regina d’Ungheria dal cardinale Oliviero Carafa, a Napoli, il 15/09/ 1476. Le nozze tra Mattia e Beatrice avvennero con grandi festeggiamenti a Buda, il 22/12/1476, benedette dal vescovo di Eger.

Mattia Corvino era il primo re nella storia ungherese giunto al trono non in base a diritti dinastici, ma per libera elezione dei grandi latifondisti e della nobiltà ungheresi, che si erano alleati e avevano deciso di eleggersi un re nazionale. Il fatto che la scelta fosse caduta sul figlio di Giovanni Hunyadi indica chiaramente il programma politico che gli elettori volevano che il nuovo re si prefiggesse: la continuazione delle lotte antiturche. Dopo alterne vicende tra nobili e case regnanti in Europa, persa  ogni speranza di tornare sul trono ungherese, Beatrice, morto il marito, lasciò l’Ungheria, ritirandosi a Napoli, dove morì il 13 settembre 1508. Un figlio illegittimo di Mattia Corvino, Stanislao “Corvino”, fu quasi parricida avendo imparato dal padre, un “buon maestro”, divenne feudatario a Casal di Principe grazie al re di Napoli. Avendo scritto e pubblicato 4 saggi sulla Romania, con epicentro la Transilvania occidentale, conosco non poco dell’ambiente attuale e del passato di Hunedoara di cui Deva è il capoluogo della Judet. Matteo Corvino era Magiaro e dunque cattolico romeno dei nobili Corvino, che ospitò da giovane il principe Vlad III, detto Dracula, e poi lo incarcerò da adulto per lotte di potere in un’epoca, il XV sec., di grandi instabilità politiche romene causate anche dall’espansionismo ottomano che premeva alle frontiere meridionali. Ma quanti figli illegittimi avesse Mattia Corvino, come tanti regnanti del passato, non è dato sapere, restano soltanto illazioni e leggende. Come abbia vissuto il giovane Stanislao (Corvino?) prima dell’esilio a Casal di Principe non è noto, ma qualcosa resta nella storiografia napoletana, da approfondire seguendo l’ambiente della coltissima Batrice. L’ambiente della cittadina di Casal di Principe, che è anche un centro propulsore del commercio e dell’imprenditoria in genere, non ha solo la tradizione contadina, che è detenuta solo in piccola parte, da proprietari terrieri locali. L’agricoltura locale fin dal 1800 era immersa in uno stato disordinato di sistemazione dei terreni lungo una via d’acqua che fungeva da torrente, ma con il Regno dei Borboni di Napoli, iniziò e terminò l’apertura dei Regi Lagni, che raccoglievano le acque piovane. Nel 1805 la popolazione aumentò di poco, ma l’ignoranza e la povertà dilagarono tanto, che alcune persone, per sopravvivere, dovettero darsi al furto di bestiame o al banditismo. In conseguenza di ciò, sia a Casal di Principe che in tutto l’agro aversano, prese piede il “brigantaggio”. Vi era anche un forte indice di analfabetismo. Solo nel 1920 la scuola migliorò, aumentando il numero dei suoi studenti. Tra il 1928 ed il 1946 formava il comune di Albanova (con i limitrofi comuni di San Cipriano d’Aversa, Casapesenna, fino al 1973, frazione di San Cipriano) appartenente alla provincia di Napoli. Il comune di Albanova fu istituito in epoca fascista per volere di B. Mussolini, l’intenzione era quella di dare una precisa risposta alla criminalità organizzata, ma le speranze, e la nuova alba, ebbero vita breve, nel 1945 il comune passò alla ricostituita provincia di Caserta, e nel 1946 venne disciolto, restaurando i due comuni preesistenti. A Casal di Principe sino a fine ottocento vi è la presenza come proprietari terrieri delle famiglie dei duchi De Capoa (oggi Capoluongo da De Capoa Luongo), dei marchesi Diana, della famiglia del cavalier Bevilacqua, della famiglia Coppola discendenti dei Conti di Sarno sino a quando dopo la Grande Guerra, sull’onda dei disordini e delle occupazioni delle fabbriche e delle terre che ci furono in tutta Italia, anche a Casal di Principe i contadini si riunirono in una cooperativa denominata “Risveglio”, che raggiunse oltre 500 iscritti. Essi occuparono i latifondi del marchese Diana e del dottor Bevilacqua in località Bonito, a differenza dei De Capoa, che avevano i terreni tra Villa Literno e Giugliano in Campania e che non furono occupati.

Dopo questo periodo vi fu un innalzamento del benessere tra gli abitanti di Casal di Principe. Ebbe inizio la bonifica del suolo fin dal 1900 con le cosiddette colmate, le quali, col deposito del limo su tutta la zona, dovevano sollevare di vari metri il terreno per renderlo coltivabile ed impedire il formarsi di stagni e laghetti. Tale metodo, perché lungo e dispendioso, nonostante fossero state spese ingenti somme, per creare un canale dal Volturno a tutto il comprensorio, fino ad Ischitella, fu sostituito da un altro metodo, più sbrigativo, cioè l’installazione di idrovore, che prosciugavano l’acqua notte e giorno e asciugavano i terreni che poterono essere utilizzati e messi a coltura. L’opera di bonifica fu completata dal fascismo che fece di quest’azione una delle sue principali “battaglie” e opere di propaganda anche se la malaria non fu eliminata del tutto. Attualmente rimane un’affinità con il comune di San Cipriano d’Aversa (i cui abitanti sono spesso definiti casalesi), anche per l’uso del comune dialetto casalese. Un cenno all’ambiente storico casalese si trova in digitale, grazie alla  collaborazione della Scuola Secondaria di primo grado “Dante Alighieri”e  al parroco della Parrocchia del “SS. Salvatore” Don Carlo Aversano. Dunque i parroci a Casal di Principe sono speciali perché uno, Don Giuseppe Diana, è diventato famoso perché martire democratico, fu ucciso in chiesa dai camorristi. I parroci casalesi non si piegano ad accettare l’indistinta giustizia camorristica pure applicando le encicliche come “La Carità nella verità, di cui Gesù s’è fatto testimone” è “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”: inizia così Caritas in Veritate, enciclica indirizzata al mondo cattolico e “a tutti gli uomini di buona volontà”. Nell’introduzione, il Papa ricorda che “la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”. D’altro canto, dato “il rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico”, va coniugata con la verità. E avverte: “Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali”. (1-4)Lo sviluppo ha bisogno della verità. Senza di essa, afferma il Pontefice, “l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società”. (5) Benedetto XVI si sofferma su due “criteri orientativi dell’azione morale” che derivano dal principio “carità nella verità”; la giustizia e il bene comune. Ogni cristiano è chiamato alla carità anche attraverso una ”via istituzionale” che incida nella vita della polis, del vivere sociale. (6-7) La Chiesa, ribadisce, “non ha soluzioni tecniche da offrire”,  ha però “una missione di verità da compiere” per “una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione”. (8-9) Il primo capitolo del documento è dedicato al Messaggio della Populorum Progressio di Paolo VI. “Senza la prospettiva di una vita eterna – avverte il Papa – il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro”. Senza Dio, lo sviluppo viene negato, “disumanizzato”.(10-12) Paolo VI, si legge, ribadì “l’imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia”.  “A me non importa sapere chi è Dio! A me importa sapere da che parte sta”, disse il prete casalese, Don Peppe Diana, durante un’omelia. Don Diana venne assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe.  L’omicidio, di stampo camorristico, fece scalpore in tutta Italia e in tutta Europa per la sua brutalità. Il messaggio di cordoglio pronunciato dal Papa, Giovanni Paolo II, durante l’Angelus del 20 marzo 1994 fu il seguente: “Sento il bisogno di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa, colpito da spietati assassini mentre si preparava a celebrare la santa messa. Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote, impegnato nel servizio pastorale alla sua gente. Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace». Nel 2006 nasce ufficialmente il Comitato don Peppe Diana con lo scopo di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo.  Inizialmente, il comitato fu costituito  da 7 organizzazioni attive nel sociale, le quali decisero che l’impegno e il messaggio di don Peppe non dovesse essere dimenticato. Il confronto avviato in quel nucleo iniziale di organizzazioni, arricchito dal contributo degli amici di don Peppe, ha fatto maturare la necessità di costituire un’associazione di promozione sociale, che si metta al servizio di quanti vogliono fare memoria del sacrificio di don Peppe, e come lui continuare a costruire comunità alternative alla malavita organizzata. Nel 2010 l’Istituto di Istruzione Superiore di Morcone (BN) è stato intitolato a don Giuseppe Diana come anche l’Istituto Comprensivo 3 di Portici (NA). Nel 2014 a Termoli (CB) la Scuola di Legalità intitolata alla memoria di don Giuseppe Diana, fondata e diretta da Vincenzo Musacchio. Il progetto è stato voluto fortemente dalla Commissione Regionale Anticorruzione del Molise. Nel 2003 la fiction Il clan dei camorristi, il personaggio di don Palma, è ispirato a don Giuseppe Diana.  A 20 anni dalla morte del ministro di culto cattolico di Casal di Principe Rai 1 ha trasmesso in prima visione in due puntate”Per amore del mio popolo”. Al sacerdote è stato anche dedicato un documentario da Rai Storia, dal titolo Non tacerò, la storia di don Peppe Diana. Anche nella fiction Rai “Sotto coperturaviene fatto riferimento al personaggio di Giuseppe Diana per parlare della sua lotta contro la criminalità organizzata.  Ovviamente scrivo non conoscendo direttamente le persone del casato dei Diana, come di qualunque altro casato o cognome locale e non vorrei peccare di disinformazione reale in quanto le evinco dalla stampa resa pubblica, che può anche apparire non sempre equidistante dalle parti in gioco e in questa precisazione riporto dell’opera del prete Diana. L’ambiente che viviamo da pochi decenni è quello della quarta rivoluzione industriale o della tecnologia digitale. Le altre tre precedenti sono state: il neolitico (con l’addomesticamento degli animale, l’agricoltura e la vita stanziale); l’avvento del motore (con l’economia industriale a partire dalla Gran Bretagna del 1600); l’uso dell’elettricità di fine 1800, fino all’informatica ed ultimo la digitalizzazione della vita privata e pubblica. Le trasformazione digitale delle relazioni umane è iniziata molti anni fa, e non è nata con i sistemi di messaggistica istantanea. Essa è figlia del link o, meglio, hyperlink. Quest’ultima applicazione digitale si può anche ritenere tra le invenzioni più importanti del secolo scorso e, tutto sommato, ha origine da un’idea semplice: io sono qua e con un clic vado là. Spesso nella nuova generazione gli amici sono dei link, il curriculum è un link, sono link le foto postate su instagram e le ricerche che si fanno per capire, sempre restando confinati alle relazioni umane, le caratteristiche di persona, chi è, cosa fa, di cosa si occupa. A volt, per non dire tante volte, si rileva che il curriculum inviato non è sincero poiché puoi scrivere di tutto e di più. Se quanto vantato poi non corrisponde a verità e magari il concorso o l’assunzione curriculare è avvenuta? Spesso dunque la reputazione e la vita privata di una persona sono di fatto affidate ai link, che hanno soppiantato totalmente il ruolo millenario delle vicine di casa o meglio le comari di paese. Io sono qua e vado là, a vedere, senza che si sappia, chi è quella persona che ha suscitato il mio interesse. Vale per una selezione lavorativa o per una selezione sentimentale. Senza guardare negli occhi per vedere dentro. Senza ascoltare come cambiano la voce e l’espressione del viso al suono secco di una domanda. Senza possibilità di capire, dalla gestualità del corpo, le reazioni involontarie, quelle che non si possono nascondere dietro alle parole. Datemi un link e vi sovvertirò il mondo, avrebbe affermato Archimede, se ne fosse stato lui l’inventore. E le informazioni superficiali che si possono avere dai link sono molte: gli interessi, gli hobby, il lavoro, la partecipazione alla vita sociale, la situazione sentimentale… perfino le opinioni sui valori e sulla morale. Alcuni media casertani riportano:”Se gli scambi virtuali tra due persone stanno dimostrando ampiamente le difficoltà relazionali di questa e delle future generazioni, gli scambi di gruppo denotano dei disagi ben più importanti, che rafforzano l’impressione espressa da Umberto Eco qualche anno fa, ovvero che internet ha dato diritto di parola a legioni di imbecilli”. Eco, a mio giudizio di lettore e visore del film: ”Il nome della rosa”, non scherzava affatto quando creava deserto attorno alla fede e faceva bruciare i libri dei conservatori perché credeva di essere un democratico, magari di partito. Era dunque un console romano dei populares non degli optimates o conservatori. Direi che la tecnologia informatica e digitale dà più vantaggi che danni, che comunque non mancano, ma questi ultimi sono sempre indice di ignoranza o analfabetismo di ritorno. Nei comuni campani, con una notevole disoccupazione giovanile e femminile, lo smart working potrebbe permettere a molti bravi con il digitale di non migrare più, di produrre sul posto e vendere le proprie capacità anche molto lontano. Sarà notevole lo sconvolgimento con l’introduzione  della digital economy , che sconvolgerà anche gli equilibri economici nazionali ed internazionali. Non a caso gli esperti dicono che si sta entrando nel pieno della IV rivoluzione industriale che avrà lo stesso impatto che ebbe l’introduzione della corrente elettrica. Per l’ambiente di Napoli ed ampio dintorni, la digitalizzazione è ancora non ottimale ed è ora di dinamizzare l’innovazione in modo che tutti possano applicare la innegabile creatività napoletana a cercare nuovi lavori a distanza, senza più fare la fila per un posto comunale, provinciale, regionale, oppure di operatore scolastico, infermiere, assistente tecnico, poliziotto, eccetera, eccetera. Tutti parlano della necessità di ridurre la burocrazia, anzi abolirla proprio secondo non pochi ingenui. Oggi, invece, la burocrazia allontana il cittadino dalla res pubblica e incentiva un ambiente abitato da moderni sudditi. Già altre volte ho scritto che la res publica, purtroppo, spesso è governata in non pochi dei comuni come scriveva l’alifano e sottoprefetto Pietro Farina, quasi un secolo fa. Egli riferiva al prefetto, suo superiore gerarchico, che nei comuni alifani il municipio era in mano a persone che lo governavano come cosa propria ed allontanavano i cittadini che volevano collaborare. La tecnologia digitale, se ben guidata e incentivata a scuola, può essere molto utile e potrebbe ridurre la burocrazia con l’essere informati prima, di agire, soprattutto in ambiente del Mezzogiorno del mondo e dell’Italia. La burocrazia è endemica in molti uffici pubblici in ambiente campano-casertano. Sul media “CasertaNews”del 26 c.m. leggo: ”Scandalo ‘mazzette’ all’Asl: chiuse le indagini per 70 indagati. Il pm Corona si prepara a chiedere il processo per gli indagati coinvolti nell’inchiesta sul Dipartimento di Salute Mentale”. Sono 70 cittadini che provengono dalla società civile non camorristica. Questo fa pensare che lo Stato e la sua burocrazia negli Enti Locali non è affatto integra, decorosa e incorruttibile sia pure con qualche sopradica eccezione. Qui le eccezioni non sono poche. Allora nell’ambiente campano, non solo casalese, c’è più di qualcosa che bisogna esaminare e porre rimedi. Resto sempre convinto che solo la scuola possa aiutare l’evoluzione del suddito a cittadino e può aiutare quei genitori che già fanno la loro parte per questa missione delicata e rivoluzionaria, che difficilmente riesce in un ambiente inficiato dal secolarismo o indifferenza alle regole da rispettare, all’onestà come valore, alla meritocrazia senza essere figli di qualcuno o amico di altri, amico dell’amico potente. Anni fa venne allo scoperto la nomina di dirigenti ospedalieri provvisori, senza specializzazioni, che col tempo divenivano definitivi. Se la Regione Campania permette o anzi promuove ciò, che Sanità di qualità può aspettarsi il cittadino campano che non è affatto di serie B o C in Italia. Alla Usl casertana poi la corruzione non sembra essere una sporadica eccezione di una mela marcia tra tonnellate di mele “annurco” sane. A casal di Principe la recente diatriba politica sulla chiusura o meno del presidio delle forze dell’ordine nasconde una mancanza di svolta reale dell’amministrare la res publica. Essa  non ha bisogno di forza per aiutare il cittadino e non il suddito, basta quella presente nella vicina Caserta, capoluogo provinciale.  Per guidare il popolo, invece, serve sempre più e con il manganello alzato per colpire il vivace cittadino che dice la sua senza chiedere il permesso a chicchessia! Ancora dai media locali leggo che l’altra grande sfida del territorio del comune di Casal di Principe, a parere del primo cittadino “è il dramma abitativo. Sono 600 le case abusive, ma il Sindaco non è favorevole agli abbattimenti. “Immaginate il materiale di risulta da smaltire, il costo per il Comune e poi significherebbe togliere la casa a migliaia di cittadini. Se abbiamo deciso di sconfiggere la camorra, bisogna dare un segnale che lo stato è padre, non patrigno”. Sull’altro media”Cronache di ”Il quotidiano indipendente” del 26 c.m. leggo: ”L’abusivismo edilizio per Casal di Principe rischia di diventare una malattia letale. E se ‘morirà’ è perché per anni lo Stato ha chiuso gli occhi. Lo Stato condannerà tutti: chi ha sbagliato e chi non ha sgarrato. Perché a pagare sarà l’intera città, la città di oggi e non quella di 20 anni fa. Verrà punita la Casale che ha lottato, che si sta riscattando da un passato violento, barbaro e a tratti anarchico”. Insomma la governance attuale all’insegna del populismo guida non il cittadino onesto che ha pagato tasse e non è andato a costruire case abusivamente, ma vuole premiare gli irregolari perché “poveri”? Non può essere che qualche grande del passato insegni ancora sulla libertà che non bisogna dare e continuamente dare, dimenticando che esistono i doveri del cittadino oltre che i diritti. A furia di dare al bambino che chiede sempre di più si arriva ad un punto che non si può dare più nulla! Platone, che fu tra i primi pensatori e scrittori a occuparsi di democrazia, aveva previsto che lasciare il popolo a governarsi da solo lo avrebbe spinto nelle mani di un tiranno. Quando insegnavo all’estero, in Romania, nel 2006, venne a parlare di Democrazia il Console statunitense a Cluj Napoca.  A fine della sua lezione alla sezione di lingua inglese, lo salutai e gli dissi che a me piaceva ricordare anche la Democrazia di Platone, mi sorrise benevolmente e mi disse che Platone a lui non piaceva. Il Console descrisse a oltre 100 studenti (fui invitato dalle Autorità locali, come esponente italiano della sezione nostrana) che negli USA non si affida l’esercizio del potere al popolo, ma a una selezionata governance proveniente dal mondo finanziario, culturale, ecc. Il popolo è grezzo e non è capace di ragionare per tutti in modo avveduto e democratico anche se la democrazia significa governo del popolo. In precedenza avevo appreso ad amare il verbo di Platone del 380 a.C. con il mio colto e democratico prof. di Vulcanologia, Lorenzo Casertano, dell’Università di Napoli Federico II, che curava la pagina scientifica di media nazionali. Mi appariva come un professore più capace di altri vulcanologi, e non solo italiani, di divulgare quel sapere specialistico. Egli mi appariva meno indifferente di altri  dell’evoluzione sociale perché non restava in difesa dentro le torri d’avorio che spesso sono rifugio dei professori universitari di ogni latitudine e longitudine? Casertano, di tanto in tanto durante la pausa dalle lezioni, pronunciava ”qua ci vorrebbe la Repubblica di Platone”! Come dargli torto se le imperfezioni democratiche non sono poche né mostrano di diminuire dopo 75 anni di Repubblica in Italia, eppure non era di quelle popolari, anche se pare lo stia divenendo lentamente anche con forma assistenziali sempre e comunque, incentivando il formarsi di nuovi “poveri”. Platone fu un filosofo che si domandò se la tirannia non fosse originata proprio dalla democrazia, anche se può apparire una sorpresa, pensando che sia una strana connessione. Guardando però all’attuale quadro politico globale, non sembra un ragionamento tanto improbabile.  La nostra democrazia partecipativa ha bisogno di cittadini onesti e non di popolo da indirizzare lungo piste prestabilite da interessi di correnti partitiche di sinistra, destra e centro. La governance di Casal di Principe è da prefigurare del cittadino libero anche dai partiti come faceva Roma in periodi gravi della sua società e come ha fatto l’Italia chiamando il Tecnico, Mario Draghi, per redimere il continuo bisticciare del teatrino politico italiano. Anche Casal di Principe avrebbe bisogno di un Tecnico superpartes e non un vecchio o nuovo suo primo cittadino a guidare una giunta composta da sole liste civiche di estrazione trasversale. Quello attuale è diventato il simbolo di un tentativo di riscatto del paese. La stampa pare sia dalla sua parte, ma i proclami, le dichiarazioni pubbliche e il programma sembra improntato al classico pane, farina e forca? Era il modo della governance medievale dei nobili soprattutto spagnoli. Allora, come ora, pare che si ricorra ad un continuo richiamo al bastone alzato dalle forse dell’ordine, da invocare sotto casa nobiliare o, oggi, comunale! Forse gli antichi e nuovi della governance vorrebbe usare la forza pubblica anche per sedare il cittadino non concorde con chi abusivamente occupa le case popolari e chi vorrebbe un bilancio comunale virtuoso e non in rosso, analogamente al bilancio comunale di Napoli! La critica delle opposizioni in seno ai consigli degli Enti Locali (comuni, province, regioni e organismi sovra comunali, sovra provinciali e sovra regionali) è altrettanto importante come la maggioranza che esprime la governance. Questo vale anche per il Governo della nostra Repubblica e l’Ente Locale non è una repubblica indipendente e sovrana, come alcuni governatori regionali sembrano credere quando informano i loro collaboratori dei feudi elettorali.

Per Casal di Principe e Hunedoara suggerirei un gemellaggio culturale, visto che il principe, Stanislao, fu protagonista dei due comune del XV sec. sia pure in modo leggendario. Concludo con il parere di uno Scriptorum Loci, che stimo per la competenza professionale e soprattutto perchè conosce l’ambiente umano di Casal di Principe. Ecco la sua risposta alla richiesta di parere: “Conosco Casal di Principe perché spesso ci vado… Sono completamente diversi dai Matesini. Anche li ci sono bravissime persone. Quello che hanno è anche un certo orgoglio ed una serietà intrinseca. Per loro una cosa o è bianca o è nera.  Non esistono zone grige. L’alone per cui la zona è famosa, anche se non si vede., purtroppo, si percepisce. Questa è la vera zona grigia di cui la Città soffre. Anche il modo di fare e di porsi ne risente.” Nel riportare tali valutazioni, spero che il lettore valuti meglio, leggendo il non breve articolo, qual è il vero ambiente di Casal di Principe e soprattutto se è tanto diverso dai comuni metropolitani di Napoli! Insomma è mai possibile che un comune italiano debba essere tristemente rappresentato o noto solo per fenomeni di ribellismo sociale e che pochi si interessano di farne conoscere l’ambiente al di là dei luoghi comuni e stereotipi duri a smantellare? Bisogna cambiare rappresentazione ambientale di Casal di Principe con meno luoghi comuni anche se hanno fatto moda!

Giuseppe Pace (già prof. in Italia ed estero con sp. internazionale in Ecologia Umana all’Università di Padova).

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