Napoli, 16 Luglio – Nella parte alta di Pozzuoli, al centro di un magnifico belvedere sito di fronte al fabbricato di Villa Avellino (adibito da tempo a struttura ricettiva ed a ristoro), sorge un monumento in pietra, sulla cui parte superiore è stata eretta una statua in ferro di un essere umano che armeggia con degli ingranaggi.
Ai piedi del testé cennato simulacro campeggia una scritta, realizzata (se non vado errato) con la tecnica del mosaico, la quale recita “Ai caduti sul lavoro”.
Al giorno d’oggi, sebbene diverse attività – perlopiù manuali – si svolgano con l’ausilio di macchinari, accade di frequente che gli operai di uno stabilimento non fanno più ritorno a casa, e che impiegati e liberi professionisti, stremati dai continui tour de force cui sono quotidianamente chiamati, patiscono malesseri destinati a segnarli per tutta la vita: nonostante le molteplici leggi in vigore – alcune delle quali, come noto, inutilmente prolisse e laconiche -, il numero di morti per ragioni lavorative (impropriamente definite «bianche») non accenna a diminuire, il che è un problema da non sottovalutare affatto.
Quel che maggiormente preoccupa è senz’altro la superficialità del Legislatore – che, nella sostanza, ha burocratizzato oltremodo la sicurezza sul luogo di lavoro -, unitamente al menefreghismo che anima la maggior parte dei datori, i quali ultimi rivolgono il proprio pensiero unicamente ai profitti, finendo col considerare i propri subalterni alla stregua di robots. Imbarazzante ed inverecondo, considerato che l’Italia non solo ha una Carta Costituzionale che accorda all’uomo una serie di diritti fondamentali, ma – ed è questo il particolare più rilevante ai fini della presente analisi – è anche membro fondatore dell’Unione Europea, nonché sottoscrittore della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo!
Non è mia intenzione dar noia ai Lettori con tecnicismi o roba simile, ma ritengo sia necessario sottolineare – giusto per avere un quadro chiaro della situazione, a dir poco drammatica, che interessa il mondo del lavoro nel Bel Paese – che la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 31, dispone espressamente che tutti i lavoratori hanno diritto a lavorare in condizioni «sane, sicure e dignitose», nonché «a una limitazione della durata massima del lavoro»; ma di tale disposizione, sulla cui vitale importanza non v’è ombra di dubbio, tendono tutti ad infischiarsi: ma vogliamo capire o no che, così facendo, si lede la dignità del prestatore di lavoro? Vogliamo avere un briciolo di rispetto in più, considerandolo non un robottino, ma una persona che s’impegna per portare un tozzo di pane ai suoi cari?
Quanto sinora descritto interessa ogni genere di lavoratori, compresi quei laureati che, vogliosi di realizzarsi, si pongono al servizio di qualche professionista «esperto» che, asserendo di volerli formare, li sfrutta e li sottopaga: mi riferisco principalmente ai giovani medici ed ai collaboratori degli studi legali, i quali, pur ammazzandosi di lavoro, faticano a vedere il becco di un quattrino, la qual cosa li induce spesso a mandare – giustamente – al diavolo il padrone-arpagone (nell’avvocatura si parla, non a caso, di «dominus») ed a scegliere soluzioni più consone alle proprie esigenze di crescita, arrivando persino ad accettare impieghi che nulla hanno a che fare col proprio percorso accademico (stando ad una notizia che ebbi modo di leggere tempo fa, taluni avvocati non affermati di Napoli e dintorni han preso la decisione di tentare il concorso per operatori ecologici indetto dall’ASIA).
Intendiamo porre fine a questo disastro e gridare un sonoro «basta!» a tutte le tragedie che continuano a susseguirsi? Protestiamo e, al tempo stesso, avanziamo proposte al Governo ed al Parlamento, invitandoli caldamente a svegliarsi!
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