Napoli, 26 Agosto – La notizia della scomparsa di Sven-Göran Eriksson ha scosso profondamente il mondo del calcio internazionale. A 76 anni, dopo una lunga lotta contro il cancro al pancreas, ci lascia un uomo che ha incarnato l’essenza del calcio moderno, un allenatore capace di plasmare il gioco e le vite dei suoi giocatori, con un carisma e una saggezza che hanno travalicato i confini dei campi da gioco.
Le sue parole, pronunciate in un documentario di prossima uscita, sono un testamento della sua filosofia di vita: “Non dispiacetevi, sorridete. Grazie di tutto, allenatori, giocatori, pubblico, è stato fantastico. Prendetevi cura di voi stessi e prendetevi cura della vostra vita. E vivetela. Ciao.” Con questa semplicità disarmante, Eriksson ha salutato il mondo che tanto amava, lasciando un messaggio di positività e gratitudine che riflette il suo approccio al calcio e alla vita.
Nato il 9 febbraio 1948 a Torsby, in Svezia, Eriksson ha costruito una carriera straordinaria, partendo dalla sua terra natale per poi conquistare i palcoscenici più prestigiosi del calcio mondiale. Il suo passaggio dalla Svezia al Benfica, dove vinse coppe e campionati, segnò l’inizio di una carriera che lo avrebbe portato a diventare uno dei tecnici più rispettati a livello internazionale.
Ma è in Italia che Sven-Göran Eriksson ha lasciato un segno indelebile, diventando un punto di riferimento per generazioni di allenatori e appassionati di calcio. A Roma, Firenze e Genova, ha saputo farsi amare non solo per i suoi successi, ma anche per il modo in cui viveva il calcio: con intelligenza, passione e rispetto. Nel 2000, alla guida della Lazio, conquistò uno storico scudetto, regalando ai tifosi biancocelesti uno dei momenti più indimenticabili della loro storia. Il 14 maggio di quell’anno è una data che resterà per sempre nei cuori di chi ha vissuto quell’impresa, frutto del talento e della visione di un allenatore che non era mai tipo da cose scontate.
Eriksson era molto più di un semplice tecnico: era un manager, un innovatore, un uomo di cultura che parlava cinque lingue e che aveva sempre una visione chiara e moderna del gioco. Negli anni Ottanta, fu tra i primi a liberare le sue squadre dalla marcatura a uomo, puntando su una difesa a zona e su un calcio propositivo, tutto talento e attacco. Quella filosofia, apparentemente semplice, era in realtà il frutto di una mente raffinata e di un amore profondo per il gioco.
Anche quando lasciò l’Italia per andare a guidare la nazionale inglese, Eriksson portò con sé l’essenza del calcio che aveva imparato e affinato in Serie A. In Inghilterra e altrove, continuò a riscuotere successi, ma soprattutto a lasciare un’impronta indelebile su tutti quelli che ebbero la fortuna di lavorare con lui.
La descrizione che di lui fa Fabrizio Maffei nell’Enciclopedia dello Sport della Treccani lo riassume alla perfezione: “Gentiluomo colto, ottimo gestore del gruppo, glaciale solo in apparenza”. Era un uomo capace di mantenere una calma apparente anche nei momenti più difficili, e che proprio in quella calma trovava la forza per guidare i suoi giocatori con lucidità e saggezza.
L’ultimo anno della sua vita, dopo aver rivelato di avere solo pochi mesi da vivere, Eriksson lo ha dedicato a un tour di addio negli stadi che più lo avevano amato. È stato un commiato commovente, un ultimo gesto di affetto verso un mondo che gli aveva dato tanto e a cui lui aveva restituito altrettanto, se non di più.
Oggi, il mondo del calcio piange la scomparsa di un maestro, un uomo che ha ispirato e continuerà a ispirare le generazioni future di allenatori e giocatori. Il suo è stato un calcio fatto di bellezza e intelligenza, ma anche di umanità e di rispetto per la vita. E proprio per questo, il suo addio non è un addio definitivo. Le sue parole, il suo sorriso e la sua visione del calcio vivranno ancora a lungo, nei campi di gioco e nei cuori di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di ammirarlo.
“Ciao, Sven-Göran. Grazie di tutto.”
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