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CITTADINI SOCIAL-SMART

Napoli, 17 Settembre – Molto spesso città sostenibili e smart sono considerate due diverse strategie che hanno elementi sovrapponibili, quali la dimensione ambientale, ed altri che le differenziano, quali la dimensione tecnologica. Quest’ultima è certamente in grado di migliorare la qualità della vita ma il punto è se in una città smart sia possibile o meno sviluppare azioni che potrebbero non essere “green”. Le tecnologie delle Smart City devono essere coerenti con i bisogni futuri dei cittadini e non soltanto con quelli attuali, vale a dire che devono essere in grado di supportare adeguatamente il percorso di sostenibilità delle aree urbane.

Occorre, pertanto, porre al centro dell’analisi la relazione tra stili di vita, bisogni fondamentali, un’economia fondata sulle risorse locali e una coerente tecnologia e organizzazione sociale al fine anche di diminuire gli impatti negativi sull’ambiente. Tra questi, un settore che, in particolare, genera consistenti esternalità negative è quello della mobilità, soprattutto nelle città, dove a fianco alle emissioni di gas a effetto serra e di inquinanti atmosferici bisogna anche considerare l’inquinamento acustico derivante dalle autovetture, la congestione del traffico e altri inquinanti atmosferici provenienti dal trasporto pubblico locale. La mobilità intelligente è, quindi, una delle dimensioni chiave in cui il paradigma Smart city si articola, ed è quella in cui le città italiane stanno trovando la loro trasformazione più interessante, tanto attraverso grandi investimenti strutturali, quanto grazie a iniziative low cost che agiscono sull’innovazione sociale e sulla sensibilizzazione dei cittadini.

L’obiettivo è di gestire efficientemente gli spostamenti quotidiani dei cittadini e gli scambi con le aree limitrofe attraverso spostamenti agevoli, buona disponibilità di trasporto pubblico, adozione di soluzioni avanzate di mobility management. Per raggiungere tali obiettivi, sarebbe necessario agire su due ambiti tecnologici: uno relativo agli Intelligent Transport Systems ed uno allo sviluppo di fonti energetiche alternative al petrolio, con particolare riferimento all’elettrico. Sempre di più le automobili si trasformeranno in hub in grado di scambiare informazioni utili con il mondo circostante, ad esempio con l’infrastruttura stradale (Vehicle-to-Infrastructure) o con le altre vetture (Vehicle-to-Vehicle). Questo potrà agevolare anche sistemi di controllo o pagamento degli accessi nei centri urbani. Anche la diffusione di sistemi di mobilità alternativi come bike-sharing, car-sharing o car-pooling è legata alla possibilità di poterne usufruire in modo semplice e veloce, ad esempio attraverso una carta unica di servizi. Un altro esempio per migliorare la mobilità, è rappresentato dai parcheggi intelligenti. È interessante il caso Streetline, un’azienda statunitense che offre soluzioni di parking intelligente, aiutando l’utente mediante una App nella ricerca di parcheggi liberi. In un’ottica smart deve essere favorita e sviluppata anche la viabilità pedonale e, infatti, sono diversi i Comuni che hanno attivato delle politiche volte a incoraggiare gli spostamenti a piedi.

La Spezia, già ente sperimentatore del progetto ‘ebike0’ finanziato dal Ministero dell’Ambiente, prevede l’installazione di biciclette a pedalata assistita ad emissioni zero. Nell’ambito della mobilità elettrica, Reggio Emilia sperimenta e realizza il progetto Mobility 2.0: un sistema di mobilità elettrica basato sull’intelligenza diffusa su veicoli e infrastrutture. Tale progetto, in particolare, prevede la presenza a bordo di un dispositivo in grado di supportare i conducenti di veicoli elettrici nel gestire in modo ottimale la loro mobilità. Un secondo aspetto su cui riflettere è un POSSIBILE BASSO LIVELLO DI COMPETENZA TECNOLOGICA, che potrebbe portare ad aumentare le fratture all’interno delle aree urbane: gli abitanti ai margini, infatti, potrebbero essere costituiti non più solo da poveri e disoccupati ma anche da coloro che per cultura o età non hanno dimestichezza con le nuove tecnologie. Da qui la necessità ancora PIÙ URGENTE che l’idea di una città intelligente non nasca a tavolino, ma sia, questa per prima, desiderata e progettata dal numero maggiore di cittadini, pianificando una formazione di tutti coerente con la digitalizzazione e capace di superare il digital divide.

I bisogni reali della città al centro di tutto per scegliere strumenti e dimensioni operative appropriate, perché una città sarà smart non per il numero di totem installati ma per essere in grado di rispondere ai bisogni della popolazione. Un’analisi che è resa certamente difficile dall’individuazione di indicatori idonei a misurare le diverse dimensioni del software soprattutto per quanto riguarda: smart people, smart living e smart governance. Alcune difficoltà si riscontrano anche per la dimensione smart living, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza individuale, o l’ampia voce della coesione sociale. E soprattutto riflettere se gli stessi indicatori possono essere indicativi per tutte le città a prescindere dalla loro storia e collocazione geografica. E’ necessario, infatti, che le città possano riconoscersi per le loro intelligenze, tra loro e al loro interno, per evitare il rischio di appiattimento.

“Il non riconoscimento della complessità sociale si lega al rischio di capsularizzazione, ovvero quella tendenza della città moderna alla specializzazione e al controllo degli spazi urbani…Se le soluzioni smart sono risposte tecnologiche a specifiche esigenze funzionali è facile dunque ipotizzare che si possa instaurare un circolo vizioso tra segmentazione spaziale e chiusura sociale ulteriormente alimentato dalla tecnologia”.

Per evitare tale rischio sarebbe necessario che la dimensione sociale fosse misurabile sulla base della centralità data alle reti sociali e ai beni relazionali, all’attenzione per i beni comuni, alla propensione all’inclusione e alla tolleranza; e nella misura in cui il cittadino (insieme all’imprese, alle associazioni e alle famiglie) è al centro degli obiettivi della governance.

Come cittadini, non si tratta semplicemente di essere informati, di rendersi conto, o di entrare nel merito degli aspetti che ci coinvolgono né, tantomeno,  di essere considerati come utenti, bensì  nel diritto-dovere di intervenire come soggetti attivi nei processi dell’intervento pubblico fin dalle prime fasi, quindi del decision making. Vuol dire essere titolari della “cittadinanza amministrativa”, ovvero essere cittadini non più soltanto portatori di bisogni, ma soggetti in grado di proporre soluzioni e disponibili a collaborare per la loro attuazione.

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