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Brusciano, intervista a Don Salvatore Pulcrano: il Covid, la Chiesa e la comunità Bruscianese

Brusciano, 5 Febbraio – Il Covid-19 ha modificato le nostre abitudini, ciò che prima sembrava di ordinaria normalità, ha subito modifiche nel modo di fare. Non solo nelle grandi città, ma anche nei piccoli comuni. Anche la Chiesa, il mondo ecclesiastico, si è dovuto adattare a nuove regole ma ancor di più a stare vicino alla sua comunità, dove i fedeli hanno visto nel sacerdote non solo una persona con il quale confessarsi, ma anche un amico con il quale confidare la paura di non riuscire più a riprendersi da questo momento difficile, oltre che la paura del virus in sé. Ce ne parla in una intervista esclusiva a Sittiusnews Don Salvatore Pulcrano, sacerdote della comunità di Brusciano.

 

La pandemia ha stravolto le tradizioni e i riti più consolidati della storia. Come si svolge la celebrazione della messa? Come sono cambiati i momenti di interazione sociale?

“L’espressione –ha stravolto- può sembrare forte, io amo più l’espressione – ha essenzializzato- la situazioni nel bene e nel male perché ci ha portato all’essenza anche della vita celebrativa, della vita liturgico, ci ha portato a quello che il senso autentico del celebrare. Forse richiami anche dal punto di vista delle manifestazioni religiose, parlo ad esempio delle feste padronali ed altre attività legate al culto dei Santi alla ricorrenza di festeggiamenti che sono a metà tra il civile ed il religioso. Forse negli anni c’erano state troppe incrostazioni di paganesimo, di interesse, di manifestazioni che esulavano un po’ dall’essenza spirituale. Quindi penso che questo tempo di pandemia, al netto delle non accettazioni di quello che è successo, ci lascia nel  cuore  un impegno a tornare ad una vita liturgica che va dall’essenziale.

L’essenziale, appunto, sono state dal 18 Maggio  riprese le S.Messe in presenza, dal 9 marzo erano interrotte le celebrazioni pubbliche, quindi il sacerdote continuava a celebrare ma senza la presenza fisica dei fedeli, che spesso erano collegati alle dirette  come ricordiamo il periodo della settimana santa a Pasqua, il Vescovo ha trasmesso,  grazie anche  all’aiuto di Video Nola, tutti i riti.  Abbiamo avuto un’esperienza di una chiusura che ci ha riportato anche  un desiderio, un gusto, di vivere la celebrazione. Mentre prima sembrava un qualcosa di spontaneo, chiese aperte, messa a tutte le ore, adesso invece la privazione è stata un’occasione che ci è stata data per capire quanto è importante ciò che diamo per scontato”.

Da Maggio invece è stato possibile  celebrare in presenza, con quali accortenze?

 “Dal 18 Maggio è stata possibile la celebrazione in presenza ed abbiamo seguito i protocolli che ci sono stati affidati dalla Conferenza Episcopale di intesa con il Governo. Questi protocolli presuppongono l’igienizzazione, la misurazione della temperatura, il distanziamento nei banchi e quindi tutto in sicurezza”.

Come vengono celebrate le funzioni religiose? Quali sono le differenze sostanziali?

“Rispetto a prima ci sono differenze nel modo di celebrazione che ancora non riusciamo a vivere, come ad esempio lo scambio del segno di pace, il darsi la mano. Dal 14 Febbraio riprenderà un simbolico gesto di pace  che ci si potrà scambiare,  cioè uno sguardo, un sorriso con gli occhi, ma per la stretta di mano penso che ne passerà ancora un po’ di tempo.  Questo, come anche la comunione che viene distribuita rimanendo all’impiedi al proprio posto porgendo le mani, sinistra sulla destra,  sono i gesti che attualmente caratterizzano un sostanziale cambiamento.

Altro punto considerevole è che non ci sono le processioni,  in onore dei Santi, della Madonna, non c’è stata la processione del Corpus Domini, questo vuol dire che ancora tutte le manifestazioni pubbliche della fede non sono ancora concesse”.

Per quanto riguarda i funerali, negli ultimi mesi è possibile il loro normale svolgimento, seguendo le limitazioni previste dai dpcm. Come siete organizzati in tal senso?

“Io su questo ho una posizione che ho espresso diverse volte, di per se non è che i funerali sono stati impediti. Il momento del funerale c’è sempre stato, nel senso che la benedizione della salma al cimitero  e la sera il sacerdote, da solo, celebrava la SS.Messa per il defunto benedetto, quindi diciamo  che tecnicamente al defunto non è mancato nulla in termini religiosi e di accompagnamento.  Anche per i familiari,  per una fascia ristretta di 15 persone, c’è stata la possibilità  dell’ultimo saluto. Da parte nostra, dei sacerdoti,  abbiamo dato il più possibile per far sentire la nostra vicinanza, anche nei giorni successivi al funerale, contattando i familiari e rincuorandoli con parole di conforto”.

Quindi funerali moderati e non di massa come spesso capitava?

“Si, quello che è mancato è stato tutto il corredo al modo di celebrazione dei funerali,  che era legato anche a doveri di condoglianze  non sempre autentici, non sempre dovuti allo stesso sentire d’affetto, ma legati anche a doveri di cittadinanza. La numerosa folla che si accalca ad un funerale, a volte diventa anche solo una dimostranza. In maniera non sana, nei nostri contesti si valuta l’importanza di una persona anche a partire dal numero dei partecipanti all’esequie. Quindi questo diciamo che la pandemia ce lo ha asciugato portando a galla l’essenzialità di quel momento”.

Ci sono stati momenti delle esequie per covid-19 dove anche lei, nonostante per un sacerdote sia di rito ed abitudine tale celebrazione, si sia sentito davvero rattristito?

“Il dolore più grande, quello che mi porto nel cuore, sono i tanti momenti nei quali ho dovuto vedere familiari che non vedevano i propri parenti da 15 giorni, 20 giorni, hanno ricevuto una telefonata con la quale si avvisava che all’indomani dovevano andare a prendere le ceneri. La parte  straziante è stato questo incontro tra persone che non hanno potuto abbracciare, ne veder morire un loro caro in ospedale, lo hanno solo potuto incontrare in ceneri in un barattolo che è stato loro consegnato dall’impresa funebre.  Questo in assoluto è stato il vero dramma della pandemia.  Lasciare un genitore un figlio, mentre va via con l’ambulanza per poi non vederlo più”.

Il sacramento della confessione è permesso? Cosa è cambiato?

“Ecco, questo è un punto importante, mi interessa molto questa domanda perché  lo scorso 26 Gennaio i nostri vescovi si sono incontrati per la Conferenza Episcopale campana ed il 2 febbraio ci è stata recapitata una lettera nella quale tra i diversi punti che ci invitano a considerare e riflettere  come slancio per una ripresa, c’è proprio l’aspetto della confessione. 

Da un lato le norme di sicurezza avevano chiesto  una certa attenzione  ma molti fedeli però hanno avuto un’eccessiva attenzione a tal punto da allontanarsi da questo sacramento.

Ecco questo è diventato un aspetto problematico, dove quell’incontro fa ancora paura . Anche il Papa ne ha aiutato a comprendere il valore dando occasione , nei periodi in cui era proibito avere un incontro diretto, attraverso una richiesta di perdono al Signore come desiderio che poi successivamente, potendolo fare,  si sarebbe espressa nell’assoluzione sacramentale dal sacerdote.

Da un lato c’è chi si è totalmente allontanato temendo un incontro vis a vis o mask a mask – dice ridendo – dall’altro lato invece c’è chi invece viene non a confessare i peccati , ma a dimostrare malesseri, paure , sofferenze che si portano nel cuore in questo periodo , perché al netto di tutto,  quello che è rimasto alto è l’Rt di carattere psicologico non di carattere affettivo”.

Un luogo di incontro e preparazione per i vari sacramenti è il catechismo. La scuola si è organizzata con la DAD, la chiesa come ha provveduto?

“La scuola con la DAD e noi con la CAD, catechismo a distanza esclama con tono giocoso e sorridente Don Salvatore, continua poi dicendo– scherzi a parte, cerchiamo di aiutare i genitori a fare catechismo a casa. Anche questa chiave di lettura la vedo come un “tornare all’essenza” perché i primi catechisti dei figli sono i genitori, i catechisti parrocchiali sono da supporto a quello che è un compito dei genitori. Sono i genitori che quando si sposano e quando battezzano i figli rispondono alla domanda “ volete educare i vostri figli alla fede cristiana?” loro rispondono “si” e questo periodo, avrebbe dovuto, ed in alcuni casi ha dato,  l’opportunità di essere catechisti per i propri figli.

Quindi adesso siamo da supporto, con delle videochiamate,  materiale che forniamo  tipo schede, bibliografia, piuttosto che tenere i ragazzi davanti al computer perché ci rendiamo conto  della difficoltà che potrebbe essere effettivamente un CAD”.

Sacerdoti costretti ad ammettere che la prossimità significa oggi irresponsabilità e voler bene alla propria comunità significa tenerla lontana. Come si riesce a fare ciò senza correre il rischio di allontanare i fedeli?

“Penso che la pandemia sia una grande opportunità a livello relazionale perchè  di per se, come più volte ho detto negli interventi in questi mesi,  ci educa ad entrare nella vita degli altri in punta di piedi e ci educa che l’altro non va aggredito con la nostra presenza. Il metro di distanziamento,  piuttosto che essere un distacco è un rispetto per vedere meglio l’altra persona,  perché l’altra persona non è mai  un prodotto della mia volontà,  mai un qualcosa sulla quale mi possa avventare.  Questo distanziamento di per se aiuta non ad allontanarsi ma a capire che io per l’altro posso essere una risorsa,  mai un pericolo, quindi c’è un avvicinamento con prudenza e rispetto non paura e distacco .Responsabilità significa prendersi cura della vita dell’altro , trovare il modo giusto per incontrarci.  Io faccio sempre l’esempio della bottiglia, come spesso accade ci sono incontri egoistici, ad esempio dico “a quella persona ho dato tanto, ho dato tutto”  e poi resto deluso perché non corrisposto  in egual modo,  quindi il mio esempio della bottiglia, cioè il mio modo sbagliato di approcciare a quella bottiglia,  di volerle dare in più a ciò che è la sua capienza.

Quindi l’esperienza di questo tempo ci sottrae da quel criterio egoistico che a volte tende ad invadere l’altro”.

Nell’era dei social e dello smartworking  sono diversi i preti che si sono avvicinati a questo mondo anche in materia ecclesiastica. Secondo lei, si può  trasmetter l’amore di Dio attraverso il web?

“Siamo abituati a considerare il virtuale come opposto al reale.  Il virtuale è reale!  Sono due dimensioni della stessa realtà.  Si tratta di rispolverare tutto quello che è l’impegno che c’è all’inizio della diffusione del Vangelo. Gli apostoli,  S. Paolo in modo particolare, usano espressioni di questo tipo “ purchè Cristo sia annunziato, ogni luogo  è quello opportuno “  tutta la tradizione biblica neo-testamentaria ci dimostra un’attività di evangelizzazione per fare arrivare  l’amore di Dio in qualsiasi piattaforma possibile.  Il Nuovo Testamento porta le lettere di S. Paolo , che certamente non erano una modalità in presenza,  Polo comunicava con delle lettere. Quindi analogamente anche oggi potremo dire che trasmettere l’amore di Dio non è differente , l’importante è tessere una relazione.  Non dobbiamo perdere di vista, però, che la fisicità,  l’esserci in presenza, è la via ordinaria”.

Molti fedeli vedono nel sacerdote un punto di riferimento, con il quale anche confidarsi. Alla luce di questa pandemia , che ormai ha colpito il nostro paese da 1 anno, quali problematiche psico-sociali ha riscontrato nelle persone, nella comunità rispetto a prima?

“Sono venute fuori diverse situazioni, la paura della crisi, la paura di non farcela a fine mese,  la difficolta’ di vedere una prospettiva di futuro . Problematiche che ci sono sempre state ma con la pandemia si sono accentuate in modo esponenziale.  Poi se ne sono aggiunte altre: la cosiddetta ‘sindrome della capanna’  la difficoltà a venir fuori dopo il lockdown. Per molti era forse più comodo che non si riaprisse nulla,  molti hanno avuto questa difficoltà a riaprirsi alla vita, ad uscire. Ho riscontrato in molti non la paura di uscire per il contagio, ma l’aver scoperto di stare bene ‘chiusi’ . Questo distanziamento ha accentuato la difficoltà nei rapporti per chi già aveva problemi di relazionarsi con glia altri, dove la pandemia diventa anche la scusa per arenarsi e starsene a casa”.

Dove ha riscontrato più paura, più difficoltà, per la comunità di Brusciano? Nella parte inerente alla situazione sanitaria o alla difficoltà economica?

“In merito alla comunità di Brusciano,  posso dire che i timori sono stati legati più per l’aspetto economico, anche perché rispetto al nord  i morti sono stati nettamente inferiori .

Questo ha fatto sì, che una vera e propria paura del virus non ci fosse, perchè il virus in quanto tale lo si vedeva debellabile,  qui fortunatamente  veri e propri problemi legati al virus non se ne sono percepiti.

I problemi economici sono stati i più preoccupanti, come anche la perdita di lavoro per qualcuno”. 

Nonostante la paura del virus si stia affievolendo, c’è ancora chi lo teme ed ancora di più teme per una ripresa economica.  Lei cosa si sente di consigliare?

“Io il consiglio che do sempre è quello di trovare le ragioni della speranza che non  sono nelle possibilità garantite ma sono nel fatto che noi come popolo in passato abbiamo già dimostrato una grande capacità di resilienza . Più che guardare avanti dobbiamo guardare indietro”.

Quindi guardare al passato per superare il presente? 

 “Si, guardare come ci siamo rialzati da crisi più forti. Basta ricordare la Spagnola, Il Colera,  siamo usciti dalla guerra che è stato un qualcosa di davvero complicato, con il conseguente dopoguerra ed una crisi economica ben più forte di quella attuale.

Quando siamo riusciti ad uscire da tutto ciò in passato? Quando abbiamo messo da parte  l’interesse privato  per il bene comune . Quando abbiamo imparato a dire “o ci salviamo tutti e mi salvo anche io, o se tento di salvarmi solo io farò  un tappeto di morti attorno  a me”  Questa è la sfida, aiutare a costruire la speranza  e la speranza si costruisce con la memoria del passato  e lavorando per il futuro attraverso  l’impegno di onestà.

Molti non si riprenderanno immediatamente, perché in quanto i famosi  ‘ristori’ del Governo ci siano stati, di per se non riescono a soddisfare  il fabbisogno attuale,  perché  proporzionati alla dichiarazione di fatturato,  quindi il ristoro è proporzionato a quel fatturato e se non sono stato onesto,  ed il mio guadagno non dichiarato era molto di più, è normale che  il ristoro non mi basta.  Quindi dobbiamo  uscire da questa pandemia anche remunerando processi di onestà e di sobrietà, sapendo che adesso alcuni tenori di vita devono cambiare, la pandemia ci ha fatto rendere conto di ciò che è essenziale e di ciò che non lo è”.

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