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Dopo Galileo, Padova brilla ancora nel vedere la vita sui grandi esopianeti tra i 4mila scoperti

Napoli, 20 Dicembre – Esiste la vita oltre la Terra ed oltre il sistema solare? E’ una domanda che l’Homo sapiens si pone da troppo tempo. Le speranze di trovare la risposta affermativa, come consiglia la statistica, aumentano di anno in anno. Sulla Terra sappiamo che la vita esiste da 3,7 miliardi di anni, circa 1 miliardo dopo dell’origine fisico del pianeta vitale. L’Homo sapiens, prodotto forse dall’evoluzione degli archi batteri, esiste da solo poche decine di migliaia di anni e deriverebbe da altri simili fino a Nonna Lucy”Australopitecus afarensis”, fossile rinvenuto in Etiopia 3,2 milioni di anni fa. C’è da valorizzare la memoria di Galileo Galilei di oltre 4 secoli fa, che ha insegnato 20 anni all’Università di Padova, inventando o perfezionando, tra altro, il telescopio, dà effetti a distanza di oltre 4 secoli. Un ultimo trofeo astrofisico Padova l’ha conquistato  con un nuovo e defezionato strumento d’ingrandimento ottico di pianeti più grandi della Terra nello spazio siderale extrasolare, dove non più il 15% di stelle ha pianeti, ma la metà. Padova è coinvolta in modo particolare nello studio dei sistemi extrasolari con l’Agenzia spaziale europea, con la partecipazione ai progetti Cheops (CHaracterising ExOPlanets Satellite) e Plato (Planetary Transits and Oscillations of Stars).

La prima missione, a cui prendono parte ricercatori dell’università e dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Padova, prevede il lancio di un satellite che servirà a studiare le caratteristiche dei pianeti extrasolari già noti, per determinare se questi sono rocciosi, come la Terra o Venere, o gassosi come Giove o Saturno. Si tratta di un dato particolarmente significativo se si considera che, volendo individuare pianeti con possibili forme di vita, sarà necessario concentrarsi su quelli di tipo roccioso con una atmosfera in grado di proteggere la vita nella sua fase embrionale, invece che sui secondi in cui è altamente improbabile lo sviluppo di qualsiasi forma di vita. Il telescopio spaziale di CHEOPS, su commissione dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), è stato progettato e costruito nello stabilimento Leonardo a Campi Bisenzio (Firenze), dove ingegneri, fisici e tecnici specializzati hanno realizzato lo strumento secondo i requisiti definiti dai ricercatori INAF di Padova e Catania (OAPD e OACT), in collaborazione con l’Università di Berna. In particolare, Leonardo, insieme al contributo di piccole e medie imprese, ha curato la realizzazione del sistema ottico del telescopio, basato su specchi asferici, e dell’ottica di collimazione sul piano focale (specchio e lenti). Il telescopio è ottimizzato per misure fotometriche ad altissima precisione. Lo specchio primario misura 320mm di diametro e l’assieme risultante è molto compatto (la lunghezza del tubo ottico principale è di soli 300mm) per limitarne la massa e gli ingombri. Lo stabilimento Leonardo a Campi Bisenzio vanta una lunga storia di eccellenze nella realizzazione di strumenti per l’osservazione della Terra, tra cui strumenti elettro-ottici altamente tecnologici. La fornitura Leonardo del telescopio di CHEOPS conferma la leadership nel campo dell’ottica raggiunta in questi anni dall’azienda e dalla comunità scientifica italiana.

Altro esempio di tale primato, è rappresentato dalla camera iperspettrale più potente al mondo, lanciata a bordo della missione PRISMA (ASI) lo scorso marzo. CHEOPS, che opererà su un’orbita eliosincrona a un’altitudine di 700 km, indagherà sulla natura dei pianeti extrasolari più grandi della Terra e più piccoli di Nettuno. Sarà la prima missione scientifica a studiare da vicino, per almeno tre anni e mezzo, i sistemi solari già conosciuti, scrutando con estrema precisione ed accuratezza le caratteristiche dei loro pianeti. La tecnica utilizzata è quella dell’osservazione del transito degli esopianeti davanti alle loro stelle. Grazie al telescopio di Leonardo, CHEOPS riuscirà infatti a osservare e misurare con altissima precisione i pianeti che, girando intorno a stelle brillanti (magnitudine da 6 a 12), ne attenueranno per brevi periodi la luce. La tenue fluttuazione di luce osservata permetterà di calcolare con accuratezza la massa e le dimensioni del pianeta, raccogliendo quindi informazioni fondamentali per studiarne la struttura, per esempio se rocciosa o gassosa. Continua la caccia ai pianeti extrasolari con possibili forme di vita e l’ultimo annuncio in ordine di tempo arriva dalla Nasa. Secondo uno studioo pubblicato su Nature intorno a una stella nana rossa, Trappist-1, orbitano sette pianeti di dimensione e massa simili alla Terra, tre dei quali si trovano nella zona abitabile, vale a dire a una distanza tale dalla stella madre da consentire la presenza di acqua allo stato liquido sulla superficie del pianeta. E se negli Stati Uniti ora si concentreranno sull’analisi del sistema planetario, l’Europa si prepara (con un importante contributo da Padova) al lancio di due satelliti (Cheops nel 2018 e Plato nel 2025), realizzati proprio per lo studio e la scoperta di pianeti extrasolari. CHEOPS permetterà quindi di approfondire la nostra comprensione di mondi lontani, ad oggi, ancora sconosciuti. Il tutto grazie al lanciatore dell’Agenzia Spaziale Europea che ha portato in orbita il primo satellite della seconda costellazione del programma per l’osservazione della Terra Cosmo SkyMed. L’Italia è di nuovo in prima fila nello spazio e con due affascinanti orizzonti speculari: da una parte la superficie della Terra, che sarà osservata con stupefacente precisione altezza grazie agli strumenti del primo satellite Cosmo SkyMed di seconda generazione, e dall’altra gli oltre 4mila esopianeti (pianeti extrasolari simili al nostro) distanti da centinaia a migliaia di anni luce, che finiranno nel mirino del potente satellite-telescopio Cheops (Characterising Exoplanet Satellite). Due sfide in cui l’eccellenza della rete delle aziende aerospaziali e degli scienziati degli enti e delle università dell’Italia. Coordinati da Esa e Asi, ha permesso, al nostro Paese, di nuovo di primeggiare in fase di progettazione, realizzazione e messa a punto di strumenti attraverso i quali fare avanzare la conoscenza di temi vitali per il futuro dell’uomo a cominciare dalla tutela della Terra. I segnali acquisiti dalla stazione di terra del Fucino confermano che attualmente che ha raggiunto la sua orbita polare eliosincrona dove, prima di essere operativo, sarà sottoposto ai test previsti in orbita.

Al termine di questa fase, Cosmo-SkyMed SG diventerà il quinto satellite operativo della costellazione, il cui primo lancio è avvenuto nel giugno del 2007. Quattro minuti dopo il distacco dei quattro booster che come raggi di una stella si sono allontanati dal razzo che proseguiva la salita a 28.800 chilometri orari verso i 620 chilometri di altezza. Subito cancellata la delusione, sempre da mettere in conto, del blocco del lancio avvenuto bene. Il programma nato dal protocollo d’intesa firmato nel maggio 2007 dai ministeri della Difesa e dell’Istruzione, Università e Ricerca per essere utilizzato per l’80% a scopi civili e per il 20% a scopi di difesa e gestito dall’Agenzia Spaziale Italiana (Asi). A bordo anche i satelliti dell’Esa Cheops, destinato a individuare i pianeti esterni al Sistema Solare che potrebbero ospitare la vita, e il piccolo Ops-Sat, che contiene il più potente computer mai andato in orbita e progettato per sperimentare software, più i mini satelliti del Centro per la ricerca francese (Cnes) Eye-Sat, progettati da studenti per ricerche in astronomia e il dimostratore tecnologico Angels (Argos Neo on a Generic Economical and Light Satellite). “La nuova generazione dei satelliti COSMO-SkyMed permette al nostro Paese di confermare – sottolinea il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Giorgio Saccoccia – un’eccellenza tecnologica Italiana, riconosciuta a livello mondiale. La nuova generazione rafforzerà la leadership del nostro Paese nel settore dell’Osservazione della Terra da satellite e dei suoi servizi ed applicazioni, quale efficace strumento di crescita economica e benessere sociale. La nuova generazione COSMO-SkyMed sarà caratterizzata, grazie ai significativi investimenti dell’ASI e della Difesa Italiana, da nuove funzionalità, migliori prestazioni e maggiore flessibilità di utilizzo. Il successo di questo primo lancio della seconda generazione di satelliti COSMO-SkyMed è un importante passo volto a garantire la continuità e il consolidamento di una straordinaria infrastruttura unica al mondo capace di garantire i più sofisticati servizi di monitoraggio e osservazione del nostro pianeta”. I satelliti COSMO-SkyMed di Seconda Generazione rappresentano lo stato dell’arte nel settore dei radar ad apertura sintetica, in grado di garantire alte prestazioni ed affidabilità uniche nel panorama internazionale. Il nuovo sistema di controllo d’assetto, la possibilità di acquisire i dati in quadrupla polarizzazione, il raddoppio dei moduli di trasmissione e ricezione, sono solo alcuni esempi delle innovazioni introdotte dalla nuova generazione, sia dal punto di vista tecnologico sia dal punto di vista delle modalità operative. Tali innovazioni permetteranno una maggiore capacità operativa e nuovi e più efficaci servizi ed applicazioni a favore di una vasta utenza istituzionale e commerciale. Al primo COSMO-SkyMed di Seconda Generazione si affiancherà tra circa un anno il secondo satellite, che sarà lanciato con il vettore europeo, a leadership Italiana, VEGA C. COSMO-SkyMed di seconda generazione rappresenta un grande primato Italiano, realizzato da Thales Alenia Space Italia e Telespazio, con la significativa partecipazione di Leonardo e di un consistente numero di piccole e medie imprese Italiane. La costellazione COSMO-SkyMed garantisce da oltre dieci anni un servizio, unanimemente riconosciuto in ambito internazionale, ormai essenziale per la gestione delle emergenze, per il monitoraggio ambientale e per la sicurezza nazionale. Con l’avvio della seconda generazione, l’Agenzia Spaziale Italiana ed il Ministero della Difesa confermano per il futuro il loro impegno a garantire alla comunità nazionale la continuità dei servizi già disponibili, oltre ad introdurne di nuovi, per la gestione del territorio e la prevenzione dei disastri, per la sicurezza nazionale, per la protezione dell’ambiente e del patrimonio archeologico, per la gestione delle infrastrutture, ed in generale per la cura del nostro pianeta.

Una volta rilasciato il satellite COSMO SkyMed di seconda generazione, l’ultimo stadio Fregat del Soyuz porterà la sonda europea CHEOPS nella sua orbita eliosincrona alla quota di circa 700 chilometri. CHEOPS è un osservatorio dell’Agenzia Spaziale Europea dedicato alla caratterizzazione di pianeti potenzialmente simili alla Terra – già precedentemente individuati – ed orbitanti attorno a stelle della nostra galassia. CHEOPS, attraverso la misura delle deboli variazioni di luminosità delle stelle dovute al passaggio dei propri pianeti, sarà così in grado di rilevare le dimensioni dei pianeti stessi, consentendo, anche sulla base della loro massa, di caratterizzarne la natura gassosa oppure rocciosa. La missione CHEOPS è una partnership tra la Svizzera e il programma scientifico dell’ESA, con importanti contributi da Italia, Austria, Belgio, Francia, Germania, Ungheria, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito. Il telescopio di CHEOPS, progettato dai ricercatori dell’INAF di Padova e Catania e realizzato, grazie al supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana, da Leonardo, Media Lario e Thales Alenia Space Italia – è basato su di un riflettore molto compatto ed ottimizzato per misure fotometriche ad altissima precisione. L’Italia ha un ruolo anche nel team scientifico internazionale, con la partecipazione dei ricercatori degli Osservatori INAF di Catania e Padova, e dell’università di Padova. Il satellite CHEOPS (Characterising ExoPlanets Satellite) dell’Agenzia Spaziale Europea potrà scrutare lo spazio alla ricerca di pianeti simili alla Terra grazie a sofisticati “occhi” progettati e costruiti da Leonardo. Il fisico teorico statunitense Kip Thorne, studioso di fisica gravitazionale e astrofisica. I suoi contributi sono tra i più importanti nello studio della relatività generale, tanto che nel 2017 Kip Thorne è stato uno dei tre fisici ad essere insigniti del Premio Nobel per la fisica grazie alla scoperta delle onde gravitazionali. Interstellar è tutto incentrato sul tema dei cunicoli spazio temporali, tra le ricerche di cui si è occupato uno degli scienziati più famosi del 900, Stephen Hawking. I cunicoli spazio temporali sono detti in inglese wormhole, letteralmente “buco di verme”, secondo il nome creativo che gli fu dato dal fisico teorico americano John Archibald Wheeler. Si tratta di una ipotetica “scorciatoia” da un punto dell’universo a un altro, che permette di viaggiare tra le galassie più velocemente di quanto impiegherebbe la luce a percorrere la distanza attraverso lo spazio normale. Il primo scienziato a teorizzare l’esistenza dei wormhole fu Ludwig Flamm nel 1916. Dei sette pianeti che compongono il sistema, tre in realtà erano già stati scoperti lo scorso anno; ma grazie allo sforzo congiunto di un gruppo di ricerca internazionale che ha messo in campo telescopi terrestri e spaziali tra cui il Very Large Telescope dell’Eso (European Southern Observatory), ne sono stati individuati altri quattro. Tutti orbitano intorno a una stella di piccola taglia, con una massa pari all’8% di quella del Sole e distante circa 40 anni luce. Gli scienziati hanno stabilito le dimensioni dei sette pianeti e avanzato le prime stime sulla massa di sei di questi, dato che ha permesso di calcolare anche la densità: ciò ha consentito di affermare che probabilmente i pianeti sono rocciosi. La massa del settimo, il più lontano, non è ancora stata calcolata. I pianeti hanno orbite molto strette: se facessimo un paragone con il nostro sistema solare sarebbero quasi tutte comprese entro l’orbita di Mercurio. Ciò che ha consentito di individuarne così tanti è la debole luminosità della nana rossa (molto più fredda del Sole): il contrasto tra la luminosità della stella centrale e quella dei pianeti che brillano di luce riflessa è tale da rendere la scoperta di questi pianeti più facile rispetto a casi in cui la stella è più brillante. “L’Unione astronomica internazionale – sottolinea il segretario generale P. Benvenuti– ha accolto con grande attenzione questa scoperta che conferma l’importanza della linea di ricerca di sistemi extrasolari e soprattutto dello studio dell’atmosfera di questi pianeti, che potrebbe dare indicazioni più precise sulla possibile presenza di forme di vita terrestre”. Va detto tuttavia che quella della Nasa non è una scoperta completamente nuova, dato che sono già stati individuati sistemi extrasolari con più di un pianeta. Si tratterebbe piuttosto di una conferma del fatto che la grande maggioranza delle stelle possiede almeno un pianeta che le orbita intorno e questo moltiplica le probabilità che su alcuni di questi esistano le stesse condizioni e gli stessi processi che hanno dato origine alla vita sulla Terra. Una probabilità, questa, che diventa sempre più alta. Certo, il nuovo sistema di pianeti presenta caratteristiche interessanti. “È la prima volta – osserva Giampaolo Piotto, docente del dipartimento di Fisica e Astronomia “G. Galilei” dell’università di Padova coinvolto nei progetti Cheops e Plato– che viene osservato un sistema extrasolare con un numero di pianeti così elevato, di cui tre nella zona abitabile. Ciò significa essere vicini a un sistema planetario simile al nostro sistema solare in cui, se le caratteristiche atmosferiche sono quelle adatte, potrebbe esserci acqua allo stato liquido. Il condizionale tuttavia è d’obbligo dato che nel nostro sistema solare Venere, Marte e la Terra si trovano nella zona abitabile, dunque in condizioni che potenzialmente potrebbero permettere la vita, eppure solo sulla Terra la vita esiste”. Continua Piotto: “Va considerato che noi oggi conosciamo più di 3.500 pianeti e di questi una decina potrebbero trovarsi nella zona di abitabilità, potenzialmente dunque avere acqua liquida in superficie. I tre pianeti, dei sette individuati dalla Nasa, potrebbero essere tra i primi candidati a essere studiati”. Per caratterizzarne l’atmosfera dunque e per verificare l’eventuale presenza di molecole associabili a qualche forma di vita. L’“occhio” di Cheops, il telescopio progettato dai ricercatori dell’Inaf coordinati da Roberto Regazzoni e costruito in Italia, sarà assemblato sul satellite presumibilmente tra aprile e maggio e a metà del 2018, un po’ più tardi rispetto a quanto previsto in un primo momento, sarà lanciato nello spazio.  Si dovrà attendere invece ancora qualche anno per il lancio di Plato (Planetary Transits and Oscillations of Stars), un secondo satellite altamente sofisticato che vede coinvolti ancora l’università di Padova e l’Inaf e che avrà a bordo ben 34 telescopi progettati sempre a Padova grazie ai quali sarà possibile individuare molti altri nuovi pianeti extrasolari. Padova con il capolavoro giottesco della Cappella degli Scrovegni con l’Università, il Palazzo della Ragione, la Basilica di Sant’Antonio, ecc. è candidata all’Unesco “Padova Urbe picta”.

Nel frattempo si lavora pure all’Extremeley Larg Telescpe, il più imponente telescopio ottico/vicino-infrarosso della storia, che secondo le previsioni dovrebbe essere ultimato nel 2024. In questo caso l’Inaf si occuperà della progettazione e costruzione di “Maory” (Multi-conjugate adaptive optics relay), un sistema di ottiche adattive che verrà installato su E-Elt e avrà il coordinamento del consorzio Hires (High resolution spectrograph) per la realizzazione di uno spettrografo ad alta risoluzione che sarà posto sul telescopio. Tutto ciò per indagare i buchi neri supermassicci, la distribuzione della materia oscura nell’Universo e, non da ultimo, proprio i pianeti extrasolari. Non siamo soli nell’”Universo finito, ma illimitato e curvilineo”, diceva A. Einstein.

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Pace. Naturalista e già prof. in Italia e all’estero

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