Cultura

Nella giornata mondiale dell’arte, note ambientali dal locale al globale tra ottonovecento fino ai nostri giorni

Napoli, 15 Aprile – Nella giornata mondiale dell’arte, il pensiero va alle opere ”minori” che costellano il firmamento, quasi illimitato, degli ambienti del Mezzogiorno italiano e straniero, visto che quasi sempre il sud è meno industrializzato del nord. E’ come fare un volo ideale in tanti piccoli o limitati ambienti locali di ognuno degli 8mila comuni territoriali italiani e molto di più stranieri. Un altro tipo di volo, ma  reale e globale. lo fece il russo Gagarin 60 anni fa quando, per primo degli esemplari della nostre specie biologica Homo sapiens, circumvolò più volte il pianeta Terra. Egli dimostrò che l’uomo è artefice del proprio ambiente terrestre da oltre 10 mila anni da quando divenne stanziale, addomesticò gli animali, fece governance statali e non più tribali, ecc.. Un ben altro volo, quello ideale e nell’anima, ambientalista e artistica in particolare lo vorrei farlo io ora, con l’aiuto dell’Ecologia Umana. Il volo intendo farlo, limitatamente, dall’alto delle cime dei Colli Euganei, delle Alpi transilvaniche e del Matese sui circostanti territori. In particolare partendo dal circostante ambiente matesino della sub regione storica del Sannio Alifano senza trascurare l’immensa ricchezza atistica di Napoli, Nola, Scisciano, Pozzuoli con la Sibilla Cumana, Dicearchia ed il lago d’Averno dove la cultura classica greco-romana faceva iniziare il viaggio nell’oltretomba.

Osservazioni ambientali tra otto novecento fino ai giorni nostri, non mancano e dai più vari specialisti di saperi naturalistici e delle scienze umane. Tra queste ultime ricordo che lo scrittore Erri De Luca, esternava in scripta manent, verba volant che ”Quassù [in alta montagna] ritrovo l’aria, l’ispiro così forte che finalmente so cos’è l’ispirazione per un artista. È aria venuta da lontano, respirata prima da alberi e da generazioni […] Quassù l’ispirazione entra nel naso e la mucosa fiuta la storia dell’aria, i suoi viaggi.“ Di scripta manent di ambienti con baricentro il Matese, ne ho lasciati in giro già abbastanza, forse non sufficienti per avere voglia di scriverne ancora per i miei conterranei non solo del Sannio Alifano. Nel nostrano pianeta l’ambiente nell’ottonovecento è cambiato più di prima. Tra i due secoli ottonovecento ne sono trascorsi, in contemporanea di: fatti, persone, modifiche, ritorni, migrazioni dalle comunità civili native ed emigrazioni, spesso senza ritorni. Nell’ottocento due stati nuovi si formarono in Europa, la Germania e l’Italia, entrambe con monarchie di nobili autoctoni e non importati. L’Ottocento è definito anche secolo della scienza, mentre il Novecento della Tecnologia e il Duemila? Secolo della tecnologia digitale? Perché no, visto il notevole influsso benefico che apporta alle comunicazioni tra gli 8 milioni di persone globalizzate già da decenni sia pure per fasce d’età ed in alcuni stati poveri ancora una percentuale bassa della sua popolazione. Mentre l’Ottocento vide guerre locali, il Novecento èbbe due grandi guerre mondiali con l’eccidio di 6 milioni d’ebrei dai nazisti, fiancheggiati all’inizio dai fascisti e 2 milioni di russi dai comunisti in campi detti Gulac. L’ottonovecento è stato un periodo bisecolare di notevole sviluppo della società che da contadina ed analfabeta è divenuto, almeno a nord del mondo, industriale e postindustriale o dei servizi che si è affermata nei primi due decenni appena alle spalle di ognuno di noi in ambienti di vita vari e diversissimi come Napoli e Padova.

Nel territorio della Regione Veneto si osservano innumerevoli opere d’arte nelle ville venete palladiane e non nonché nelle tante chiese come a Padova che ne ha come Roma pur essendo circa 10 volte meno popolata di residenti ma con molti più presenti giornalmente perché una città terziaria e quaternaria con servizi privati che sono di gran lunga migliori di quelli pubblici per l’imprenditoria veneta d’eccellenza in molti campi. Qua la laboriosità dei contadini veneti non è venuta a mancare anche nei nipoti attuali che esercitano ben altri mestieri. I mecenati del passato non mancano come lo furono i banchieri e usurai Scrovegni che chiamarono e pagarono bene Giotto ai primi del 1300. Le arti liberali a Padova non sono state incrementate molto dopo la rivoluzione francese e successivi eventi rilevanti storicamente, ma dall’anno 1000 con i comuni. Qua i ghibellini erano in numero maggiore dei guelfi, in città, viceversa in campagna circostante. E tra questi fiorirono le arti, le scienze e la letteratura, che apprezzò anche il più noto drammaturgo inglese, che vi scrisse la “Bisbetica domata”. Il paesaggio cittadino è mutato di poco e, in complesso, sembra rimasto quasi immutato, a parte il tombinamento dei canali diffusi tra i due fiumi Brenta e Bacchiglione con l’antico porto fluviale romano vicino all’attuale piazza Antenore. Ben altro ambiente è quello casertano-molisano dei monti matesini, che hanno territori poco densamente abitati ed oggi quasi spopolati del tutto, almeno in montagna alta come Gallo Matese e Letino. Tempo mezzo secolo e forse non vi saranno più i montanari, ma solo i valligiani del più fertile pedemontano collinare e pianeggiante con le belle cittadine d‘Alife, Piedimonte, Telese, Cusano Mutri, Cerreto, Bojano, Venafro, ecc.. Nell’alta valle del Biferno matesina ed in quella analoga dell’alto Titerno sussistono e resistono non pochi artigiani e commercianti più che agrosilvopastori. Nella valle del medio corso del Volturno, invece, sembra farsi strada il settore terziario e quaternario dell’economia con i servizi e la tecnologia digitale. Non sono poche le scuole, gli ospedali, gli uffici privati e pubblici, i patronati, le associazioni culturali, ed altri delle cosiddette arti liberali: imprenditori- anche agricoli- insegnanti, avvocati, notai, medici, ingegneri, agronomi, architetti, geometri, periti di varie specialità, ecc.. Nel 1800 le arti liberali erano concentrate in poche comunità civili del Sannio Alifano, mentre nel novecento fino ai giorni nostri sono notevolmente aumentate e non solo ad Alife, Bojano, Piedimonte Matese, Telese e Venafro. Nell’ottocento l’ambiente naturale, più marcatamente diffuso del novecento fino ad oggi, cedette territorio alle trasformazioni. Esse furono sempre più presenti e considerevoli con l’unità d’Italia (con e dopo l’epopea garibaldina e della Legione del Matese, pagata e guidata dal possidente Beniamino Caso di San Gregorio Matese). Prima della unificazione territoriale dell’Italia (avvenuta sotto la monarchia dei nobili Savoia, non stranieri) con la governante dei nobili spagnoli, i Borboni, le trasformazioni ed innovazioni riguardavano solo o quasi la città sede dei feudatari (baroni, conti, marchesi e duchi) residenti a Napoli e dintorni immediati. Là, e non altrove, si realizzò la più che sbandierata ferrovia, tanto cara ai neoborbonici (era una tratto ferroviario breve e per nobili europei in visita alle due regge borboniche di Portici e Napoli), la reggia casertana da stupire ancora di più i nobili mondiali del setteottocento con l’imprenditoria tessile, affiancata a San Leucio di Caserta. Ma qualche esempio d’innovazione imprenditoriale livitata dai borbonici ci fu perchè si aprì agli imprenditori svizzeri, che realizzarono il cotonificio a Piedimonte d’Alife. Di questa dinastia imprenditoriale elvetica, si ricorda, tra gli altri, l’Ing. Gugliemo Berner, grande innovatore elettrico nonché collezionista di costumi matesini. Due collezioni di Macchiagodena e Letino, le donò, nel 1910, al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma-Eur, da me riscoperte nel 2003 e fatte conoscere nella modalità di scripta manent, non solo di verba volant di chi cavalca il rilancio folclorico sopra e sotto il Matese.

Eppure tali costumi tanto osannati da alcuni non vanno oltre il seicento, fatta eccezione per quello degli indigeni di Letino, Sepino, San Polo Matese e pochi altri dell’ambiente storico del Sannio Alifano. Con l’evoluzione ambientale otto novecentesca il territorio del Sannio Alifano si presenta ai nostri giorni, ancora con il mancato sviluppo e con un’endemica migrazione ed emigrazione per gli scarsi redditi dei residenti in tutti i suoi paesetti, soprattutto se di montagna, mentre i grandi centri civili come Alife, Bojano, Caianello, Caiazzo, Cusano Mutri, Cerreto S., Gioja S., Morcone, Piedimonte Matese, Teano, Telese, Venafro, ecc. soffrono di mancanza di iniziative, anche politiche, che facciano lievitare l’imprenditoria per la crescita del reddito dei suoi residenti. I carrozzoni clientelari e burocratici, spesso definiti tali da non pochi stranieri e locali, sono, purtroppo, ancora afflitti da un’invadente partitocrazia che li blocca sulla fisiologia, si fa per dire ma sarebbe meglio chiamarla patologia, di assecondare le esigenze del feudo elettorale. Questo non sempre dà spazio alla meritocrazia nonostante i concorsi ultimi per assumere, chi poi dovrà assumere? Eppure Piedimonte M. ed Alife hanno il fior fiore delle professioni liberali, da me, in parte conosciute di sguencio, negli anni Sessanta e primi anni Settanta. Qualche ex compagno di scuola, mi ha detto che legge i miei articoli soprattutto quando scrivo d’Alife, suo paese o città natale di cui è stato anche primo cittadino. Piedimonte M. ed Alife non sono più paesi, né sono mai divenuti città? Forse ma hanno non poco di ambiente cittadino legato ai numerosi commercianti stabili e mobili come quelli dei mercati settimanali (di Alife, Bojano, Piedimonte, Alvignano,ecc.), uffici privati e pubblici. In queste cittadine dunque c’è un ambiente sociale ibrido, ma la paura di dire chiaro e tondo il proprio parere è tanta e l’omertà non rispecchia l’art.4 della nostra Costituzione. Una decina d’anni fa due buoni conoscenti piedimontesi, di cui mio compagno di classe al biennio, ex docenti, ora in pensione, mi chiesero di togliere i loro nomi in un mio articolo che non lesinava critiche al Palazzo municipale mentre si allungavano i tempi dei lavori della vicina piazza che ospita il monumento ai Sanniti tramite il Corridore, di fattura greca, del Cila. Non lo feci per abituarli a vincere la non giustificabile-per chi ha studiato-codardia, ma capisco che non volevano farsi notare da un loro cugino nel ruolo alto localmente di politico in carriera. Non dimentichiamo la storica cittadina d’Alife, dove un suo degno e colto esponente, Pietro Farina, ha lasciato scritto cose egregie su feudi elettorali municipali di quasi un secolo fa. Egli conosceva l’ambiente agricolo e sociale più dei nostrani politici di oggi sia dietro i Populares che gli Optimates, rispettivamente esponenti del centrosinistra che del centrodestra. Noto nell’area matesina del medio Volturno, diversi Sodalizi culturali locali che non rinnovano da decenni le presidenze, che diventano a vita! La Democrazia richiede un fisiologico ricambio e rinnovo di responsabilità, se non c’è significa che è quasi “dittatura” e in tale atmosfera culturale anche una piccola critica dà, agli indigeni critici, il segnale di lesa maestà, mi disse recentemente un amico e quasi coetaneo piedimontese migrato in un paesetto più a monte. Si ribadisce che l’Ambiente è un insieme di Natura e Cultura e non è affatto solo quello naturale, come molti continuano a credere. Analizzare l’ambiente è compito anche dell’Ecologia Umana, scienza di sintesi interdisciplinare ed anche transdisciplinare. L’ambiente di Napoli è speciale, ammirato e bistrattato spesso da molti sia indigeni che non. Con il calciatore argentino Diego A. Maradona tutti hanno visto ed udito i napoletani sportivi e non. A molti non napoletani è sembrato che prima ancora delle reliquie di San Gennaro quelle di Maradona saranno destinate a maggiore devozione. Eppure del beneventano martire cristiano del 305 d. C., Gennaro, martirizzato alla Solfatara di Pozzuoli, c’è la reale cappella del Tesoro di San Gennaro, che è una cappella barocca del duomo di Napoli voluta dai napoletani per un voto al loro patrono. Si tratta di una delle massime espressioni artistiche dell’ambiente napoletano. Le decorazioni pittoriche e ad affresco dell’interno, fanno della cappella l’epicentro della pittura barocca emiliana a Napoli. Pure per bolle pontificie, la reale cappella non appartiene alla curia arcivescovile. ma alla città rappresentata da un’antica istituzione civica, la Deputazione, e dai sedili di Napoli.

A Napoli altre reliquie pure sono da ricordare come quelle del principe romeno del XV sec.,Vlad III detto Dracula, che la figlia Maria maritata al conte Ferrillo fece tumulare nella centrale chiesa di Santa Maria la Nova, non lontano dalla cappella del Cristo velato. Di ciò ho scritto non poco sui media campani soprattutto dopo il saggio “Vampiri e Romania”, leolibri.it. Napoli merita altri punti di richiamo turistico per l’indotto economico ed anche per un turismo culturale in crescita dappertutto. Da ricordare inoltre l’ambiente illuministico, che nel 1799 vide quel movimento di intellettuali che diede vita ai moti e alla (breve) esistenza della Repubblica Partenopea con reazione borbonica che incrementò i martiri della libertà dai Borboni e ne fece uccidere oltre 120 compresa la colta straniera Eleonora Pimentel Fonseca, che prima di morire citò Virgilio: ”Forsan et haec olim meminisse iuvabit” (Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo). Lapide commemorativa a Procida in Piazza dei Martiri, luogo delle prime esecuzioni dei 122 esponenti della Repubblica Napoletana del 1799, giustiziati dalla politica restauratrice repressiva dei Borboni dopo la caduta della repubblica con l’albero della libertà. Tra essi, 119 uomini e tre donne. Le esecuzioni cominciarono a Procida già alcuni giorni prima della caduta della Repubblica, il 1º giugno del 1799, per concludersi oltre un anno l’11 settembre 1800 a Napoli.Le condanne vennero eseguite quasi tutte per impiccagione (ai nobili venne per lo più comminata la decapitazione), tra Procida (nell’attuale Piazza dei Martiri) e Napoli, in piazza del Mercato, luogo storicamente deputato alle esecuzioni. Tra gli eroi-cittadini  ricordo quello non del calcio né della chiesa, ma del vivere civile anche se i punti di vista storici non sono unanimi: Ercole D’Agnese nato a Piedimonte d’Alife il 3 maggio 1745, prof. universitario di filosofia del diritto e, in seguito, presidente della Repubblica Partenopea, giustiziato a Napoli il 1º ottobre 1799, seppure nobile, per impiccagione. Fu giustiziato, sebbene versasse in condizioni disperate a causa degli effetti del veleno che ingurgitò per sfuggire all’esecuzione, a Piazza del Carmine a Napoli. Con l’attuale rivoluzione digitale e dello smart working i cambiamenti locali e globali sono sorprendenti. Lo smart working, mediante il suo approccio lavorativo telematico, va ad impattare su diversi attori economici. In particolare esso modificherà la vita dei lavoratori,  delle aziende, del sistema economico locale e globale. Ma qual è il suo impatto sul futuro a livello macroeconomico globale oltre allo sconvolgimento economico generato dallo smart working localmente? Si prevede, per quanto possibile, come i cambiamenti che inevitabilmente lo smart working porta con sé possano modificare le economie nazionali e quali problemi o crisi potrebbero manifestarsi. Si va anche ad anticipare quelle che potrebbero essere le plausibili contromosse a livello politico e di gestione sovranazionali, fino a giungere a quella che alla fine, con buona probabilità, sarà la soluzione finale che permetterà di ritornare all’equilibrio economico. Sarà notevole lo sconvolgimento con l’introduzione  della digital economy , che sconvolgerà anche gli equilibri economici nazionali ed internazionali. Non a caso gli esperti dicono che si sta entrando nel pieno della IV rivoluzione industriale che avrà lo stesso impatto che ebbe l’introduzione della corrente elettrica. Per l’ambiente di Napoli ed ampio dintorni, la digitalizzazione è ancora non ottimale ed è ora di dinamizzare l’innovazione in modo che tutti possano applicare la innegabile creatività napoletana a cercare nuovi lavori a distanza, senza più fare la fila per un posto di operatore scolastico, infermiere, assistente tecnico, poliziotto, eccetera, eccetera. Nel 1966 ho assistito all’alluvione che fece uscire l’acqua lungo via Ercole d’Agnese fino a piazza Roma. Intervennero i militari per soccorrere i locali. Sulle alluvioni piedimontesi, del Vallone in particolare, si interessò il mio piedimontese prof. Ing. Dante Fossa, che aveva acquisito esperienza tecnica in America Latina. Una mia prof.ssa di lettere a Piedimonte d’Alife, molto capace e sensibile si chiamava Vanda Carfi, che era la figlia del Direttore del Consorzio di Bonifica locale, dunque con cultura vasta e spendibile o applicativa. Il Consorzio di Bonifica del Sannio Alifano fu costituito con Regio Decreto n.8240 del 27 settembre 1927. In quegli anni il Consorzio si limitò al controllo degli argini del Torano e del Fiume Volturno con creazione di canali di irrigazione nella Piana Alifana. Il grande sviluppo del Consorzio si ebbe negli anni Cinquanta con la Cassa del Mezzogiorno, con la nuova sede nel Viale della Libertà a Piedimonte Matese, dove il partitismo locale con i feudi elettorali causa non sempre effetti benefici per i reali fruitori d’irrigazione ed anche paganti l’adesione volontaria al consorzio stesso.

Alife ha generato storicamente Piedimonte D’Alife, il predicato Matese, scambiato con Alife nel 1970 fu un’operazione politica di grande campanilismo piedimontese. Qualcuno lo deve pur dire senza essere tacciato di campanilismo alifano. Si, lo dico io che mi considero, alifani doc permettendo, alifano adottivo (vi ho abitato con la mia famiglia letinese, ben 6 mesi nel 1964 e in via San Pietro) ed in modo convinto senza paura di lesa maestà! Idem mi considero piedimontese, casertano, napoletano, bojanese e patavino, ma anche di qualche città estera. Andando nell’ambiente non troppo locale della Transumanza orizzontale e verticale, che non era solo italiana, come ha riconosciuto l’Unesco, vorrei ribadire che contempla migliaia di anni come ho verificato girando per il mondo argentino, statunitense, africano, asiatico e romeno, dove ad Alba Iulia vi è un museo degli Appuli e della transumanza tra la Dacia e l’Apulia, o alto territorio pugliese. Un paese non basta, scrisse un noto saggista ebreo, perché ogni mondo è paese, ma questo paese, Alife e non solo, è unico al mondo! Quando qualche amico mi chiede la mie origini, rispondo sempre così:”sono pastorali, non contadine come circa il 90% degli italiani dell’ottonovecento”. Poi mi dilungo nel dire che, secondo noti studiosi, i contadini sono tendenzialmente monarchici perché legati molto alla tradizione, mentre i pastori sono ancora da esaminare perché pare che un solo studioso, abruzzese protagonista del novecento, li abbia considerati nella poesia transumante. La Transumanza è il fenomeno ambientale che per millenni ha interessato decine di milioni di ovini, centinaia di migliaia di bovini, equini e caprini, che dal locale territorio di Letino, del Matese e dall’Abruzzo alla Puglia, migravano il 5-10 ottobre dai freddi monti al caldo di pianura e ritornavano il 5 maggio. Tale fenomeno era globale ed è ancora presente, sia pure molto limitato, in territori delle Alpi, Pirenei, Urali, Carpazi, Himalaya, Ande, ecc.

Con la poesia “I pastori” di G. D’Annunzio, la memoria della Transumanza ha valore poetico emblematico universale. Leggiamola insieme: “Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d’acqua natia rimanga ne’ cuori esuli a conforto che lungo illuda la lor sete in via. Rinnovato hanno verga d’avellano. E vanno pel tratturo antico al piano, quasi per un erbal fiume silente su le vestigia degli antichi padri. O voce di colui che primamente conosce il tremolar della marina! Ora lungh’esso il litoral cammina la greggia. Senza mutamento è l’aria. Il sole imbionda sì la viva lana che quasi dalla sabbia non divaria. Isciaquìo, calpestìo, dolci rumori. Ah, perché non son io co’ miei pastori?”. Resto, infine, a volare con la memoria, non profonda ma superficiale dei neuroni cerebrali, rivedendo un mio avo pastore transumante da Letino a Marcianise nel 1924 e me prima della pandemia ultima in una centrale piazza sotto il Salone o Palazzo della Ragione di Padova.

 

Giuseppe Pace (già prof. in Italia ed estero nonché studioso internazionale di Ecologia umana)

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