Cronaca

Naufragio Concordia, il viaggio del terrore. La testimonianza di Luca: “Di quella notte maledetta porto nel cuore l’immagine di una bimba inghiottita dalla stupidità umana”

Napoli, 15 Gennaio – Sono trascorsi dieci anni e non è cambiato nulla sicuramente nella mente dei tanti superstiti. Una tragedia che porta ancora segni indelebili e devastanti della paura, dell’angoscia e dell’impotenza al volere di un destino beffardo e crudele.

Ebbene, vi porteremo sulla “Concordia”, in quella notte maledetta e, attraverso gli occhi e il cuore del romano Luca Verbeni, rivivrete i suoi brividi, l’ansia e la repulsione a quegli istanti nefasti: “Era il 13 gennaio 2012, quando ci imbarcammo insieme alla famiglia di mio cugino per festeggiare il mio quarantesimo compleanno unitamente a quello della moglie del mio parente – così Luca inizia il suo drammatico racconto portandoci direttamente al fatidico evento – era tutto organizzato da un anno e tutto doveva essere perfetto, come il crescente entusiasmo per quella nave mastodontica e superba. Dopo aver preso possesso della cabina e aver acquistato i braccialetti per le bevande, ci recammo al ristorante in quanto inseriti nel primo turno. Era tutto fantastico, il cibo perfetto, si rideva e si scherzava il tempo necessario per attendere l’entrata in discoteca al ponte 4”.

Verbeni, con le sue parole di gioia, ci proietta in un frangente di goliardia, peraltro preludio imminente di un disastro immane e assurdo che resterà nella storia come conseguenza di un “inchino” malaugurato vicino all’isola del Giglio: “Alle 21,45 circa, sentimmo un rumore come se lo scafo grattasse qualcosa e poi un altro rumore sordo – continua Luca – era lo scoglio che si staccava dalla costa per attaccarsi alla nave, causando uno squarcio grandissimo con la successiva disattivazione della corrente elettrica. A questo punto un caos totale travolse tutti, fuggi fuggi generale, grida a crepapelle, confusione, paura della morte, ma cercai come gli altri di avere informazioni reali poiché stranamente gli altoparlanti continuavano a comunicare di stare calmi poiché si trattava di un malfunzionamento del generatore e che a breve saremmo ripartiti.

Non mi fidai ovviamente degli avvisi e mi recai in prua dove vidi tre indiani dei quali uno di essi risalito da una scala con il viso pallido e impaurito. Allora compresi la gravità perché stavamo imbarcando acqua e girandomi vidi la mia famiglia spaventata, così ci recammo di corsa al ponte 4, proprio dal lato della Concordia che iniziava a inclinarsi. Fummo fortunati, perché, non conoscendo bene la nave, ci ritrovammo proprio nel luogo di raccolta in caso di emergenza”.

A pensarci, dalle emozionanti parole di Luca, si riesce ad immedesimarsi nella vicenda, a comprendere come la nostra fragile vita sovente sia legata ad un filo e talvolta basta un attimo, una distrazione, per trovarsi in un momento sbagliato per soffrire le pene dell’inferno, così come è accaduto per trentadue innocenti. Ma il racconto di Luca Verbeni continua per farci ancora più comprendere ciò che è accaduto in quella tremenda notte: “La nave continuò ad inclinarsi perché mi accorgevo che facevamo fatica a stare all’impiedi ed all’improvviso sentimmo l’ordine di salire sulle scialuppe e dopo trenta minuti un secondo ordine di abbandonare la nave. Non avevamo neanche il giubbotto salvagente ma comunque ci facevamo forza l’un l’altro in attesa del nostro turno per lasciare l’imbarcazione, ormai ingovernabile. La cosa che mi fa male e che mi perseguita nei miei incubi da anni è il fatto che in quei momenti di confusione totale, mi accorsi alla mia sinistra della presenza di una bambina e di un uomo in carrozzina, ma d’incanto, girando la testa, non la vidi più e scoprimmo qualche giorno dopo che molto probabilmente quella dolce creatura era la stessa annegata col suo papà.

Erano ormai l’una, una e mezza di notte e finalmente la mia famiglia riuscì a salire sulla scialuppa, intanto, volevo aiutare quell’uomo disabile ma fui scaraventato sulla scialuppa e ci ritrovammo immantinente in mare. Dopo un minuto, si tuffò dalla nave l’addetto all’imbarcazione, il quale ci condusse a riva non prima di colpire con il battello più volte gli scogli e la nave stessa. Nella scialuppa venni “investito” da una crisi epilettica che nel tempo scemò fino a quando la cara signora Rossana, un angelo del Giglio, ci soccorse conducendoci nella sua abitazione per la notte. Ovviamente non dormimmo affatto come tante altre notti in questi dieci anni. Ringraziammo il Signore per averci salvato unitamente alla famiglia di mio cugino, ma quando conoscemmo, dopo diversi giorni, delle trentadue vittime, ci venne da piangere come bambini ed ancora oggi porto sempre con me, nella mia mente e nel mio cuore l’immagine di quella fanciulla inghiottita dalla stupidità umana”.    

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