Attualita'

Ambiente della scuola non solo italiana

Napoli, 20 Settembre – A volte è necessario cercare di leggere in modo indipendente dagli esperti l’ambiente scolastico con la sua qualità di servizio, di trasmissione culturale, la sua organizzazione e i suoi dirigenti. Avendo insegnato pure all’estero sia in paesi economicamente più avanzati che attardati, ricordo il monito romeno di Andrew Nolan: “Cauta indipendent adevarul” (cerca in modo indipendente il vero). L’ambiente della scuola è noto a tutti ma a parlarne troppo sono solo quelli che lo conoscono meno come i politici, italiani soprattutto. In periodo di Covid19 non si fa altro che parlare di docenti e medici non vax, tralasciando problemi più urgenti e risolvendo i primi in modo meno da passerella mediatica. I nostrani politici spesso lamentano fondi necessari per riparare parti degli edifici scolastici, personale da assumere, presidi da ossequiare come dirigenti statali, che si sono dotati di una Associazione che spesso parla a proposito della scuola tutta anche se ha in mente, non per pochi osservatori ed in particolare tra i docenti, ex colleghi, solo gli interessi categoriali dei dirigenti non più presidi sottopagati. All’estero i dirigenti scolastici insegnano anche, da noi no e ciò non è un bene perché si rischia di guidare uno sconosciuto. Quando ero in commissione d’esame finale in un liceo italiano di Colonia, in Germania, notai nell’ambiente tedesco una maggiore capacità di programmazione, ma con gli stessi problemi di una scuola statale e statalista che non dà credito ai privati che tentano di migliorare il servizio competendo con lo stato padronale e ricco di lacci e lacciuoli della burocrazia fino a far scrivere al prof. ex ministro dell’economia italiana Giulio Tremonti il saggio ”Lo Stato criminogeno”. Centinaia di circolare interne di non poche presidenze scolastiche testimoniano il grado burocratico dell’ambiente scolastico, che dovrebbero guidare e stimolare verso una migliore qualità del servizio. Quando potremmo scegliere la scuola dei figli minorenni, dei loro docenti, dei loro dirigenti e perché no anche del personale non docente. Se maggiorenni, invece, la scelta deve avvenire senza mediazioni. Dovrebbe essere un diritto democratico del cittadino come si fa per qualunque servizio civile, invece continuiamo ad essere trattati da uno stato che ci considera sudditi di feudi elettorali dove è bloccato l’ascensore sociale! Ma ciò avviene non in tutti i Paesi ad economia avanzata, avviene solo in Italia ed altri ma spesso ad economia meno avanzata e fuori dal G20.

Forse sfugge a molti che la scuola italiana, università comprese, non ha una buona qualità e a dirlo è l’Ocse-Pisa ogni anno. L’Italia è valuta tata per il suo sistema scolastico, in fondo ai paesi europei e spesso molto dopo molti paesi del terzo mondo, ci salviamo solo se paragonati a quelli del quarto mondo. Eppure molti continuano a dire che la scuola italiana è la migliore del mondo. Ultimamente hanno rilevato che l’Ocse-Pisa non misura la solidarietà tra gli studenti che in Italia è alta più di altrove. Chissà come l’hanno misurata senza campanilismi o territorialismi provinciali. A. Caiumi e T. Boeri in ”Come ridare smalto senza qualità del Sud” del 17.01.2020, in Mezzogiorno, scuola e università, scrivono: ”Gli studenti del Mezzogiorno hanno competenze linguistiche e matematiche inferiori rispetto ai ragazzi delle altre regioni. Tra le cause c’è anche la disattenzione dei genitori per l’istruzione dei figli. E la soluzione non è nei concorsi-sanatoria. Da ormai vent’anni il Mezzogiorno registra punteggi nettamente inferiori a quelli del resto del paese nei test volti a stabilire le conoscenze linguistiche, matematiche e scientifiche acquisite nel ciclo di studi. I test Pisa (Program for International Student Assessmnent) sulle competenze degli studenti di 15 anni mostrano in modo inequivocabile questa realtà. I due grafici che seguono riportano i punteggi medi di cinque macro-aree italiane nei domini di lettura (italiano) e matematica dal 2000, anno del primo ciclo dell’indagine, al 2018. Analogamente, i risultati delle prove Invalsi sia del passato sia dell’ultimo anno (condotte in presenza degli ispettori nelle classi casualmente selezionate) convergono tutti nel segnalare un ritardo che arriva fino a circa 20-25 punti percentuali fra il Sud e il Nord-Ovest o il Nord-Est del paese. Il risultato per l’anno scolastico 2018-2019 è ancora più significativo perché comprende per la prima volta gli studenti nell’ultimo anno di scuola secondaria superiore. Se poi si considera che gli studenti che abbandonano precocemente la scuola (cui dunque non viene somministrata l’indagine) sono spesso quelli dai risultati peggiori e che gli abbandoni affliggono soprattutto il Sud Italia, si comprende come il divario Nord-Sud assuma contorni ancora più preoccupanti. La scuola in generale è paragonabile ad un albero d’olivo millenario, le sue radici culturali vanno agli albori della storia civile dell’Homo sapiens, ma per restare più vicini a noi basta soffermarsi alla civiltà degli Egizi. Il docente ebbe origine da un ramo secondario della casta dei sacerdoti e scribacchini del Faraone. Nacque per insegnare ad un singolo allievo, poi a più studenti. Oggi, in Italia, purtroppo è stato reso uno statale o impiegato quasi esecutivo di centinaia di circolari interne che scrivono i dirigenti scolastici, in un solo anno, chisando spesso le ordinanze ministeriali, ma nessuno controlla la qualità del servizio elargito. Secondo Alfredo Vinciguerra, che precisa, nel suo libro ”Il Paese che non amava la scuola”, solo il 30% dei docenti si impegna, l’altro 70% fa finta d’impegnarsi e dunque rema indietro verso il miglioramento del servizio erogato. Non credo che abbia torto, come non ha affatto torto a scrivere che i Decreti Delegati, andati in funzione nel 1974, dopo i 4 anni iniziali andavano rinforzati e promossi dal Ministero e dal Legislatore, invece di lasciarli decadere nella partecipazione soprattutto dei consigli di classe e interclasse. Ho vissuto in prima persona l’inizio, l’entusiasmo e il resto dei Decreti Delegati, che aprivano la scuola alla società civile e sottraevano alla burocrazia statale la scuola, pur restando pubblica. Pochi docenti, ancora oggi, non sanno chi presiede il consiglio d’istituto, pensano che sia il dirigente e non un genitore che il Legislatore ha legiferato sottraendo il potere al Preside che potrebbe rappresentare un piccolo apice di burocrazia. Molte cose nella scuola italiana non vanno come il Legislatore ha normato. Per fare un esempio eclatante: una circolare ministeriale stabilisce che il voto assegnato ad ogni studente non può essere intermedio come il 5/6 ma o l’uno o l’altro voto. Nessuno o quasi rispetta tale ordinanza né i dirigenti ci fanno caso in sede di periodica visione dei registri personali dei docenti. Alcuni dicono che “Il ritardo della scuola meridionale deve essere considerato come un’emergenza per tutto il Paese: è come se in quelle regioni la scuola durasse un anno in meno che altrove”. Sulle cause non si riesce a capire bene e il vecchio ritornello del meridionalismo piagnone (le colpe dell’arretratezza meridionale sono del nord) non sembra più essere intonato. Ma rileggiamo gli autori citati prima: ”Cosa spiega un divario nella qualità dell’istruzione così marcato e persistente? I quotidiani del Sud lo attribuiscono alla bassa spesa per istruzione, a insegnanti pagati troppo poco. Ma in realtà i docenti nel Mezzogiorno vengono oggi retribuiti meglio che nel resto del paese: lo stipendio è lo stesso, ma il costo della vita è molto più contenuto, analogamente ai paesi ad economia meno avanzata come la Romania, dove però notavo minore provincialismo culturale tra i colleghi e dirigenti, forse anche per il carattere internazionale del liceo in una città colta con molto ceto medio e molte scuole compreso il liceo sportivo che allenò la superolimpionica di Montreal del 1976, Nadia Comaneci, che rivoluzionò la danza artistica con ritmi meno stantii e nuovi.

Al Liceo tecnologico e internazionale “Transilvania”, di Deva/Hd, con sezione italiana, ebbi uno scambio di esperienze tra colleghi provenienti da ben altra cultura umanistica (Hasa Gligor, Holga Heredea, Sorin Vlaic, Ioan Bodrean), quella scientifica (Maria Andrei, Vasile e Ana Corciu, ) e tecnica (Remus Pitar, Steluza Herza, Gherorge Voicu) era più similare. Della cultura umanistica (che là si chiamava scienze umane per distinguerle dalle scienze reali), relazionai, in particolare con Gabriel Nitu che conosceva bene anche la lingua italiana. Egli mi diceva che insegnando religione ortodossa in un liceo rinomato della medesima città, il preside, lo richiamò perché aveva impegnato gli studenti a svolgere una prova scritta sull’improvvisa morte di un loro parente. Il richiamo fu del tipo ”porti la chitarra e li faccia cantare gli studenti e non li spaventi più”! Eppure il collega stava svolgendo, a mio parere ottimamente il suo ruolo di trasmissione ed elaboratore culturale. Ecco dunque che anche chi dirige una scuola potrebbe essere non di qualità necessaria per elevare il servizio scolastico a livelli più alti dei soliti luoghi comuni, stereotipi e approssimazioni. La scuola è come un grosso olivo he affonda le radici nella cultura dell’Homo sapiens da assimilare e trasmettere in modo democratico per fine di bene.

Per l’Italia, ma non solo, se il problema di elevare la qualità del servizio scolastico fosse nelle paghe degli insegnanti (comunque basse in rapporto agli standard internazionali) dovremmo aspettarci di avere rendimenti scolastici più bassi al Nord che al Sud, mentre avviene esattamente il contrario. E le scuole del Mezzogiorno che hanno ricevuto finanziamenti comunitari non hanno migliorato i loro risultati neanche rispetto agli altri istituti del Sud. Un’altra spiegazione fornita dai giornali meridionali è che siano i divari socio-economici di partenza a indurre le enormi differenze negli esiti scolastici. Ma anche questa tesi non sembra del tutto convincente. I campioni tratti dai test Invalsi (molto simili sia nella formulazione che nei risultati ai test Pisa) forniscono informazioni sul background socio-culturale dei genitori. Ciò permette di comparare i risultati di studenti che hanno genitori con lo stesso titolo di studio e livello di reddito: anche in questo caso il Mezzogiorno mostra ritardi molto forti nei confronti del Nord. Se da una parte questo è incoraggiante perché ci dice che la scuola al Sud può fare molto meglio anche senza aspettare la convergenza economica fra le due parti del paese, dall’altra ci lascia senza una risposta sul perché dei mali dell’istruzione nel Mezzogiorno. C’è una possibile interpretazione del divario Nord-Sud nella qualità dell’istruzione: i ritardi del Mezzogiorno si spiegano in gran parte con il diverso atteggiamento delle famiglie nei confronti della scuola. Tre indizi non fanno una prova, ma puntano tutti in questa direzione”. Chi scrive conosce la scuola Elementare degli anni Cinquanta e dell’avviamento agrario a Letino nei primi anni Sessanta per poi migrare a Piedimonte d’Alife nel 1963 e frequentare là le scuole medie superiori pur avendo portato da Letino uno scarso bagaglio nozionistico, basilare che altri possedevano se provenienti da paesi collinari più organizzati anche per la qualità del servizio scolastico.

Nel 1935 il piccolo comune di Letino, nell’alta valle del Lete, sui monti più alti del Matese, apparteneva alla provincia di Campobasso, poi dal 1945 a quella di Caserta. In quella comunità civile, pochi terminavano la V Elementare, tra quelli che la terminarono vi fu Oliviero Cristinzo, persona affabile e generosa che aiutava gli altri a scrivere qualunque tipo di domanda rivolta alla Pubblica Amministrazione come aiutò i miei genitori meno istruiti. Se la scuola italiana è un colabrodo, le responsabilità non sono di tutti come piace credere. Il primo indizio è che i punteggi dei test sono molto vicini fra Nord e Sud quando si considera la scuola primaria (si vedano i grafici 3 e 4, dove la distribuzione blu riporta i punteggi per gli studenti delle scuole del Nord e la distribuzione rossa quelli per gli studenti delle scuole del Centro e del Sud). Le distribuzioni dei punteggi in seconda elementare appaiono infatti pressoché coincidenti, sia per l’italiano che per matematica e rimangono tali sino alla fine della scuola primaria. Il divario comincia ad aprirsi a partire dalla scuola secondaria inferiore, quando il carico dei compiti a casa diventa particolarmente oneroso e gli allievi non hanno ancora una chiara idea del valore dell’istruzione. Proprio in questo periodo della carriera scolastica, dunque, il ruolo dei genitori nel verificare l’impegno profuso dai figli negli studi assume un’importanza primaria. I grafici che seguono illustrano l’evoluzione del divario tra Nord e Sud nei punteggi di matematica rilevati dagli ultimi test Invalsi.

Il secondo indizio è rappresentato dal fatto che quando il confronto è fra le scuole con i migliori punteggi al Nord e al Sud, le differenze sono più contenute. Se poi limitiamo l’analisi alle scuole con un punteggio medio al di sopra del 95esimo percentile, il divario tra Nord e Sud è minore di quello rilevato confrontando l’intero campione di scuole (vedi grafici che seguono). Oltre alle distribuzioni dei punteggi degli studenti (sempre in blu quella del Nord e in rosso quella del Centro e Sud), i grafici riportano una linea verticale in corrispondenza del punteggio mediano di ciascuna distribuzione. Laddove la distanza tra la linea mediana blu e quella rossa è minore, la differenza tra le due distribuzioni è più contenuta, come accade appunto per le migliori scuole sia per la III media che per la quinta superiore. È presumibile che i genitori dei ragazzi che frequentano le scuole migliori siano più interessati al percorso scolastico dei figli e probabilmente più attenti all’impegno e ai risultati che ottengono, e anche più inclini a ponderare con cura le scelte scolastiche e gli investimenti nella loro formazione. L’ipotesi è particolarmente plausibile al Sud, dove un’ampia porzione della variabilità nei punteggi degli studenti si deve alla specifica scuola, ben di più di quanto non avvenga al Nord (dove sono soprattutto le abilità dei singoli insegnanti nei vari istituti a fare la differenza). E siamo giunti al dunque dei dunque: è il docente il perno del sistema, che è capace di lasciare il segno (positivi, negativo o neutro) negli

Grafici 5 e 6

studenti assegnatigli o meglio se scelto dagli studenti o genitori se minorenni. Il nostro ordinamento scolastico non prevede il cittadino che sceglie il servizio e, se di scuola non più obbligatoria, se lo paga anche, idem per le università. Bisogna procedere ad una riforma che metta in competizione migliore la scuola non statale con quella statale. Secondo il Rapporto Invalsi 2019, per esempio, oltre il 30%  dei punteggi in italiano degli studenti di terza media di Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna si deve all’istituto scolastico frequentato e alla classe (entrambe le componenti valgono poco più del 15%). Abruzzo, Molise, Puglia e Campania fanno solo leggermente meglio, ma anche qui un 20 % dei punteggi di italiano in terza media si deve alla componente istituto (per oltre il 10%) e alla classe. Ancora più alto è il dato per matematica: l’istituto frequentato e la specifica classe spiegano fino al 35 % circa della variabilità nei punteggi in terza media per il primo gruppo, composto da Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Tutto questo fa pensare che quando i genitori dedicano un’elevata attenzione all’istruzione dei figli, già a partire dalle scelte nel percorso scolastico, i divari Nord-Sud si riducono”. Alcuni ritengono nel leggere il fenomeno della diversa qualità del servizio scolastico, che un altro indizio sià da ricercare  nei genitori del Sud che sono meno propensi a prendere l’iniziativa di andare a parlare con gli insegnanti riguardo all’istruzione dei propri figli di quanto avvenga altrove. Se vanno a un colloquio coi docenti è perché sono stati invitati da questi ultimi a intervenire sui comportamenti dei propri figli, non per capire come valorizzare nel modo migliore l’investimento in istruzione. In Italia solo il 50% dei genitori discute di propria iniziativa il comportamento dei figli, contro il 57% degli altri paesi che hanno partecipato all’indagine Pisa.

L’Italia nella prima metà del 1900 era molto diversa per l’ambiente sociale ed economico, sui paesetti appenninici ed alpini si praticava ancora la transumanza e non pochi alunni terminavano la frequenza e l’esame di V Elementare. Oggi c’è solo  la provincia di Napoli in cui l’abbandono scolastico sfiora ancora il 20% e l’analfabetismo è solo di ritorno. Cosa e che si prevede per il futuro, pur restante il sistema scolastico tutto o quasi statale e dunque gratis per tutti? Se la principale fonte dei problemi è la scarsa attenzione di padri e madri per quello che i figli imparano al di là del titolo di studio, il riscatto del Mezzogiorno non può che passare attraverso un impegno straordinario degli insegnanti nei confronti non solo dei propri allievi, ma anche dei loro genitori. Molti puntano ad eliminare le conoscenze dei docenti a favore di modi e presunte capacità che solo il campo di lavoro potrebbe selezionare. Costoro affermano che “In Italia non abbiamo università che formano gli insegnanti e le procedure selettive valutano unicamente gli aspetti cognitivi. Occorrono veri concorsi che abbiano luogo regolarmente (ogni anno dobbiamo sostituire circa 25 mila docenti) e che offrano una possibilità a molti giovani che vedono nella scuola un promettente sbocco professionale”. L’alto tasso di disoccupazione intellettuale al Sud, il grande numero di giovani altamente istruiti che da lì fuggono per andare all’estero ci fa pensare che c’è un ampio bacino da cui attingere per trovare queste professionalità. Eppure, lo stesso giorno in cui venivano resi pubblici i dati ancora una volta deludenti sulla qualità dell’istruzione nel Mezzogiorno, la Camera ha approvato un decreto destinato a riempire fino a 70 mila posti vacanti da qui al 2022 soprattutto mediante stabilizzazioni automatiche di precari, sanatorie, riaperture di graduatorie e concorsi riservati (l’ultimo concorso “riservato” però ha visto commissioni, ad esempio di ex “Educazione Fisica” o Scienze Motorie, bocciare troppo senza che il sistema di controllo preventivo e postumo intervenga per rilevare sostanziali difformità alla ratio legislativa). Secondo alcuni i concorsi sono: “In altre parole, riservati a chi è già dentro la scuola e ha dimostrato nei fatti di non essere in grado di imprimerle quel salto di qualità di cui ha bisogno al Sud. Sarebbero invece necessari concorsi veri chiamando nelle commissioni d’esame quegli insegnanti che hanno saputo fare la differenza anche nel Mezzogiorno: loro più di chiunque altro conoscono la qualità di cui si ha bisogno per alzare la qualità dell’istruzione”. Non è il concorso, avulso da chi controlla il controllore, la soluzione della qualità bassa della scuola italiana. L’ambiente sociale italiano, durante il boom economico 1953-73, si è trasformato da contadini e analfabeti a cittadini e non più sudditi. I cittadini, e non solo italiani, però soffrono per uno stato padronale che continua ad obbligare tutti i giovani e meno giovani nella scuola pubblica, dove, a me pare, molti-più del 30% valutato dallo studioso Alfredo Vinciguerra nel libro citato, fingono di fare. Così facendo diventano sempre più impiegati e sempre meno professionisti dell’istruzione e con dirigenti burocrati di stato slegati dalla istruzione aggiornata e spendibile da promuovere ed elaborare a scuola. L’ambiente futuro sempre più digitalizzato e ricco di economia del terziario avanzato o quaternario, aspetta nuove professioni che sappiano navigare bene nei flussi mondiali dell’ambiente globale e non neoburocrati provinciali.

 

 

 

 

Giuseppe Pace, già docente in Italia e all’estero.

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