Attualita'

Sprazzi d’Ecologia Umana sulla Democrazia in USA, Italia e altrove

Napoli, 12 Gennaio – L’Ecologia Umana studia l’Ambiente, come insieme di Cultura e Natura. Dopo la rivoluzione industriale la Cultura ha più importanza della Natura, prima era l’inverso. La cultura tecnologica e scientifica, più di altri saperi, permette oggi di usare una sofisticata tecnologia che rende l’uomo sempre più artefice  del proprio ambiente. La cultura politica, che deriva più spesso dai saperi giuridico-umanistici, non viene esclusa, ma rappresenta un tassello basilare per esaminare il governo dell’ambiente. L’ecologia Umana ha caratteri multidisciplinari, interdisciplinari e transdisciplinari. Essa dunque è specifica per capire anche aspetti basilari della Cultura Politica e dunque della scelta di governo: monarchico, oligarchico e repubblicano. Valuta inoltre che in qualsiasi ambiente entrano ed escono informazioni, soprattutto in epoca digitale. Per andare ad esaminare l’attualità politica mondiale si deve procedere con il viaggio, come un moderno Ulisse, alle radici della Democrazia. Un esempio emblematico di Repubblica del passato, è quella di Venezia, che rispetto ad altre ha avuto Dogi illuminati al governo. Venezia, più di altri, ad esempio ha protetto e promosso lo sviluppo della Cultura. Galileo Galilei, Giordano Bruno ed altri furono difesi dalla Repubblica di Venezia fin a che erano nel suo territorio, poi furono puniti dallo Stato del Vaticano, che costrinse Galileo all’abiura e Bruno lo arse vivo.

Non è da escludere qualche considerazione esperienziale sul passato recente della politica tedesca, che nell’epoca nazista o hitleriana (1938-45) ha causato l’olocausto, che potrebbe derivare, in parte dall’eccesso di obbedienza militare dei tedeschi scaturito da una x cultura prussiana? Comunque con l’olocausto abbiamo un esempio eclatante della crudeltà possibile dell’Homo sapiens sia pure di 70 anni fa. La Germania dell’epoca hitleriana era nata da una diffusa industrializzazione tedesca con molti del popolo ignoranti e con pochi colti, dei quali quasi nessuno nel cerchio magico hitleriano, che nelle sue più crudeli e fedeli SS aveva selezionati tutti uomini Yessir! Il complesso dei campi di concentramento e di sterminio nazista di Auschwitz è stato un emblematico esempio mondiale di come l’Homo sapiens (“bestia umana” dice il cantautore Francesco Guccini nella canzone). Tale vasto complesso di campi di concentramento e di lavoro, situato in Polonia, nelle vicinanze della cittadina di Oświęcim (chiamata Auschwitz, in tedesco).oltre al campo originario, denominato Auschwitz I, aveva diversi altri campi, tra cui il famigerato campo di sterminio di Birkenau (Auschwitz II), il campo di lavoro di Monowitzi (Auschwitz III), situato a Monowitz e altri 45 sotto-campi costruiti durante la improvvisa occupazione tedesca della Polonia con l’assenso russo, in cui i deportati venivano utilizzati per lavorare nelle diverse industrie tedesche costruite nei dintorni.

Il complesso dei campi di Auschwitz, il più grande mai realizzato dal nazismo, svolse un ruolo fondamentale nel progetto di “soluzione finale della questione ebraica”– eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio degli ebrei (nel campo, tuttavia, trovarono la morte anche molte altre categorie di internati) – divenendo rapidamente il più efficiente centro di sterminio nazista dei tedeschi. Auschwitz, nell’immaginario collettivo, è diventato il simbolo universale del lager, nonché sinonimo di “fabbrica della morte”, realizzato in Europa del XX sec.. Il Parlamento della Polonia, nel 1947, deliberò la creazione di un memoriale-museo che comprese l’area di Auschwitz I e Auschwitz II e nel 1979 il sito venne dichiarato Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. La denominazione iniziale Auschwitz Concentration Camp è stata modificata in Memorial and Museum Auschwitz Birkenau – German Nazi Concentration and Extermination Cam. Nella canzona di F. Guggini Auschwitz. Vi sono moniti alla bestia umana che farà ancora alzare il vento dei bruciati vivi e che il cannone ancora tuonerà. Ma riportiamo il testo del canto gucciniano senza il ritornello ripetitivo:

Son morto con altri cento
Son morto ch’ero bambino
Passato per il camino
E adesso sono nel vento.

Ad Auschwitz c’era la neve
Il fumo saliva lento.

Ad Auschwitz tante persone
Ma un solo grande silenzio
È strano non riesco ancora
A sorridere qui nel vento.

Io chiedo come può un uomo
Uccidere un suo fratello
Eppure siamo a milioni
In polvere qui nel vento.

Ancora tuona il cannone
Ancora non è contento
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento.

Io chiedo quando sarà
Che l’ uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà.

“La Germania tra Cultura e Natura. Ecologia Umana del Baden W.” è il titolo di un mio libro, edito online da leolibri.it. Studiando la Storia di Bojano o Bovianum Vetus, anni fa, sono rimasto sorpreso nel leggere che il famoso storico T. Momsen, lasciò scritto nel suo testamento che preferiva non essere ricordato come tedesco, rinnegava quella appartenenza culturale. Perché lo fece? Eppure visse prima del nazismo e fu precedente all’olocausto. Forse si considerava cittadino del mondo e in futuro prossimo-speriamo- ci sarà la cittadinanza mondiale o planetaria. Quando sapremo superare il sovranismo insito nella cultura popolare dove c’è ancora non poco di antichissimo umano poiché non è mediato dall’istruzione d qualità elevata, che, in genere, si acquisisce a scuola ed in particolare all’Università? Il Nord e il Sud del mondo economico esiste e sussiste da molti decenni per non dire secoli. Vi sono Paesi ad economia attardata con triangolo economico di pochissimi ricchi e moltissimi poveri, compresi tutti i paesi arabi, e Paesi ad economia avanzata come i 27 dell’Unione europea, il Nord America, la Gran Bretagna, l’Australia, la Nuova Zelanda pochi altri, dove il poligono economico indica più ricchi (piccoli e medi) che poveri.

Negli USA, sono stato due volte da commissari d’esame al Liceo Scientifico L. R. ”G. Marconi” di New York e ho potuto constatare direttamente (andando anche in visita a fine esame a Boston, Columbus, Cliveland, Baffalo, ecc. che, negli USA, la cultura scientifica è più diffusa che da noi, anche nei musei, oltre 70 sono i musei solo nella Grande Mela. Con il collega umbro di Storia Alberto Cecconi, abbiamo visitato non poco dei monumenti e palazzi di New York nonché la Statua della Libertà, che hanno omaggiato decine e decine di milioni di immigrati in USA, italiani compresi che hanno il Sindaco d’origine beneventana. Là, negli USA, la concorrenza commerciale e l’opulenza sono più evidenti che da noi e nessuno che abbia voglia di lavorare resta senza lavoro nonché la meritocrazia viene sempre premiata anche se hai origini umili. Circa 15 anni fa, ho ascoltato la lezione sulla “Democrazia degli USA” di un Console degli Stati Uniti d’America di stanza a Cluj Napoca, città colta e ricca a nord della Transilvania con un aeroporto internazionale, la fabbrica Pfizer ed un grande giacimento di metano in prossimità.

La Direzione della Scuola, dove prestavo servizio, mi aveva pregato di assistere alla Conferenza in lingua inglese, rivolta agli studenti iscritti del corso d’inglese. Quella mattina, là in Romania, a Deva in Judet Hunedoara (dove ci sono entrambi le ex capitali antiche: dei Daci a Sarmigetusa Regia e Romana, Sarmizegetusa Ulpia Traiana) non rappresentavo solo me stesso, ma anche il ruolo di prof. italiano del Ministero Affari Esteri. Ascoltai attentamente il Console statunitense che in modo impeccabile illustrò, aiutandosi con una lavagna cartacea su cui scriveva titolo e sottotitolo di quello che esponeva, la Democrazia degli USA ai numerosi presenti. Alla fine fui presentato, credo come una sorta di biglietto da visita, dalla Direzione scolastica di servizio, al Console statunitense come prof. italiano in servizio in Romania. Nel salutarlo ebbi l’audacia di dire che alla Democrazia americana, illustrataci, avrei preferito quella della Repubblica di Platone. La risposta fu secca, ma chiara ”Plato’s Republic is not good”(La Repubblica di Platone non è  buona). Il Console aveva sostenuto, durante la lezione unilaterale, senza contraddittorio da parte dell’utenza, che Repubblica significa governo del popolo, ma essendo il popolo grezzo ed ignorante, era necessario sostituirlo con persone specializzate dell’Economia e della Politica, come avevano fatto gli Stati Uniti d’America. Aveva anche sottolineato che spesso quelle persone colte in Economia e Politica erano espressioni di gruppi finanziari. Sappiamo che negli USA, a differenza di molti Paesi europei, gli sponsor dei politici sono consentiti. Sappiamo anche che una volta eletto il Presidente della Repubblica degli USA gli ambasciatori spesso vengono nominati anche tra gli sponsor della campagna elettorale del vincitore e non necessariamente solo per concorso come avviene in molte altre Democrazie mature, Italia compresa. Visitando Colonia, la Baviera ed il Baden W. si nota la laboriosità, la ricchezza e l’ordine tedesco che ha saputo integrare molti più immigrati dell’Italia anche se gode favorevolmente dell’euro leggero per i tedeschi e pesante per i Paesi Latini: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e, in parte, la Romania.

Dunque la Democrazia in Unione europea non è quella praticata negli USA. La Democrazia degli USA non è paragonabile al 90-100% a quella nostra e di altri simili a quella nostrana. Noi spesso imploriamo la Repubblica del periodo greco di Pericle, ma dimentichiamo che a votare erano ammessi solo i possidenti o gli istruiti, come avveniva in Italia prima delle riforme populiste dell’inizio del secolo scorso.

 

Visitando Il Cairo, le piramidi, Alessandria con la famosa biblioteca, Porto Said e Suez, ho visto le molte caserme e i turisti protetti dalla polizia fin sotto gli alberghi nonché l’ortodossia islamica che costringe ancora le donne a vestire completamente anche sulle spiagge estive e constatato che il popolo resta a maggioranza analfabeta, purtroppo.

Analogamente visitando più volte Istanbul, dove alle donne turiste è imposto per legge di coprire il capo nelle moschee, mentre la piccola borghesia abbiente è allineata con il governo, espansionista islamico come sta facendo con i suoi militari in Libia.

 

 

Negli USA vi sono due soli partiti che competono per conquistarsi la fiducia del popolo, tutto, sia per esprimere i senatori che i deputati delle due camere che spesso, nella storia statunitense, sono contrapposte per maggioranze diverse: una a maggioranza democratica ed una repubblicana. Quando ci fu la campagna elettorale ultima per l’elezione del nuovo presidente degli USA scrissi un articolo pubblicato da “Caserta 24ore Il Quotidiano del Mezzogiorno di Terra di Lavoro”, dove prevedevo la vittoria di D. Trump sulla H. Clinton. Avevo intuito che lo statunitense voleva realizzare ancora il sogno americano della meritocrazia, che si era appannato dall’amministrazione democratica, che imitava e copiava, sempre più, le democrazie europee, dove l’ascensore sociale e la competizione liberale sono spesso bloccate dalla partitocrazia imperante. Con ciò non voglio sostenere che il figlio, laureato ed imprenditore, del miliardario Trump, che ha fatto costruire i grattacieli di New York, sia migliore del precedente, più di umili origini ma Avvocato. Sarei orientato, per ragioni di nascita umile e del Sud Italia povero, a sostenere più un presidente dalle umili origini che un altro che nasce già ricco in un America non povera e con il Pil doppio di quello italiano. Ma devo arrendermi all’evidenza che il precedente disse spudoratamente a Putin in un incontro pubblico”La Russia è una potenza regionale”, fu un errore di arroganza che Putin non perdonò? Putin di D. Tramp, che appare arrogante più del predecessore, non parla mai male e minimizza il processo in atto di deporlo da parte del partito d’opposizione con la democratica N. Pelosi, ecc. A volte nei partiti più populisti si nasconde maggiore arroganza del potere di altri, che a parole invocano continuamente la magica parola ”Democrazia”, addirittura chiamandosi partiti democratici, come a dire che gli altri non lo sono. Ma vediamo a casa nostra cosa succede con la Democrazia non di Platone e nemmeno di Pericle. In Italia il Pd è divenuto un partito di potere per il potere (si allea anche con i Grillini con programma elettorale opposto), senza più ideologie di difesa dell’operario ad ogni costo, come prima quando riscuoteva oltre il 36% di consenso (circa il 40% con Renzi”I”) e non la metà circa attuale. I Grillini provengono dal popolo “grezzo”, più di altri, ma fanno della politica il posto del loro lavoro, meno sudato ed impegnativo di quello del povero che dicono di rappresentare. I partiti del centrodestra non sono da meno nell’arte, tutta italiana, di parlare bene e seminare male. La Lega, che fino a ieri è cresciuta di consenso solo al settentrione d’Italia, grazie anche ad un 30% di razzismo antimeridionale bossiano, fino all’attuale 34% di consenso con i voti anche dei cittadini meridionali, ma con un uomo solo al comando. Questi invoca spesso il sovranismo anche se appoggia, incondizionatamente, la Russia per abolire le sanzioni e Trump per aver fatto uccidere il generale arabo a capo di forze antiamericane. Il partito di Forza Italia, che dovrebbe essere portatore della bandiera liberale, alla quale molti italiano vorrebbero guardare, dipende da un uomo solo, che illumina se stesso e guai a chi gli prende i riflettori; motivo di un lento declino. Restano pochi altri, che si rifanno ad un sovranismo fuori tempo e luogo.

Eppure la Chiesa, cattolica, monarchia assoluta con il papa a capo, che governa oltre 1,5 miliardi di anime, non riesce a stare neutrale o fuori da una politica che condizioni i governi italiani, spesso spinti a Sinistra perché il solidarismo cattolico e marxista hanno trovato un’intesa che ha creato il cattocomunismo, dominante nella cultura politica italiana, purtroppo. L’Italia è succube di una Democrazia malata o patologica, non fisiologica. In Italia vi è, non nascondiamecelo ancora troppo, un negativissimo partitismo che invade la società, crea feudi elettorali, soprattutto in aree meno ricche economicamente, e blocca l’ascensore sociale con fuga verso l’estero di giovani laureati e diplomati che non si piegano alla raccomandazione politica oppure ad altri che pure non sono per l’ascensore sociale come le mafie di ogni sorta.

L’Italia ha una pressione fiscale che nessun altro Paese al mondo ha, fatta eccezione della Francia, ch però ha servizi sociali migliori del nostro e dove pagare le tasse è molto meno farraginoso che da noi. Insomma Trump negli USA ha portato oppure no il Pil in crescita e la disoccupazione ai minimi storici senza copiare le democrazie europee come il suo predecessore democratico?

E se lo ha fatto perché non dargli merito anche se appare ostentatamente un po’ troppo spaccone come e più del nostrano Cavaliere milanese. Ma leggiamo il suo programma, illustrato da M. del Pero, il 31 maggio 2019, con “La dottrina Trump”. Egli ci consente di leggere quello che molti non dicono con i tanti media quotidiani come le TV che tutti ascoltano anche nei bar, ristoranti, alberghi, palestre, ecc. oltre che a casa propria, dove emerge solo la polemica anti Trump.“Ogni amministrazione ha una sua dottrina di politica estera. Perché è costretta in vari documenti pubblici, oltre che nei discorsi presidenziali, a definire una propria visione delle relazioni internazionali e dell’interesse nazionale. E perché le dottrine servono non solo a fissare le coordinate di massima della politica estera, ma anche a convincere l’opinione pubblica interna e, nel caso del soggetto egemone, quella mondiale della bontà del proprio approccio e della propria filosofia. Sono, in altre parole, artefatti discorsivi, strumenti con cui costruire l’indispensabile consenso attorno alle proprie strategie e azioni. Anche Trump ha dunque una sua dottrina. E pure una dottrina chiara e ben definita; meno opaca o cangiante di quelle di molti suoi predecessori. Quali sono i pilastri, categoriali e operativi, di questa dottrina Trump? In estrema sintesi, ne possiamo individuare cinque, tra loro strettamente intrecciati. Il primo è il suo ostentato e dottrinale realismo, secondo cui quello internazionale è un contesto anarchico, nel quale ogni soggetto cerca di sfruttare la propria potenza per massimizzare i propri interessi in un contesto intrinsecamente competitivo: in un “gioco a somma zero”, dove l’equilibrio ultimo è garantito dal fatto che al successo di una parte corrisponde ipso facto la sconfitta di un’altra.

Nella retorica trumpiana, col suo vocabolario ipersemplificato e le sue schematizzazioni binarie, queste categorie realiste appaiono in continuazione. Ma questo è vero anche per i principali documenti strategici dell’amministrazione. La National Security Strategy è puntellata di riferimenti alla competizione di potenza con Cina e Russia e alla necessità di ripristinare la piena sovranità degli Stati Uniti: «La competizione per il potere», vi si afferma, «è una costante centrale della storia … siamo impegnati a difendere la sovranità dell’America». Analoghe considerazioni si trovano nella National Defense Strategy del 2018, che individua tre competitori (e minacce) fondamentali per gli USA: le potenze revisioniste come Cina e Russia, gli Stati fuori controllo (rogue states) come Corea del Nord e Iran e le minacce terroristiche transnazionali. Il quadro descritto rimanda ai pilastri categoriali e all’argot basilare del realismo: il contesto globale, afferma il documento, si contraddistingue per «il riemergere della competizione strategica e di lungo periodo tra le nazioni». Il secondo elemento della dottrina Trump è il suo nazionalismo non-eccezionalista. Questo è probabilmente uno dei maggiori elementi di rottura del trumpismo. Un discorso scopertamente, e spesso rozzamente, nazionalista non si accompagna alla consueta rivendicazione di eccezionalità degli USA. In discontinuità con tutti i presidenti del dopoguerra, con la sola parziale eccezione di Nixon (1969-74), Trump rigetta l’idea che vi sia una naturale convergenza tra gli interessi statunitensi e quelli del resto del mondo o una superiorità etica degli Stati Uniti e delle democrazie occidentali. Il suo non è un nazionalismo universalista e, appunto, eccezionalista. In un sistema anarchico e competitivo non vi sono differenze tra i suoi attori, come Trump ribadì candidamente durante un’intervista con l’ex giornalista di Fox New Bill O’Reilly; quando O’Reilly accusò Putin di essere un “assassino”, il presidente offrì una risposta scioccante: «cosa credi», disse «che il nostro paese sia così innocente?». Il terzo elemento, per molti aspetti scontato, è l’unilateralismo (e qui le somiglianze col Bush post-11 settembre sono assai marcate). Nell’arena internazionale non vi è utilità alcuna nel lasciarsi imbrigliare dentro i meccanismi multilaterali delle organizzazioni internazionali, che limitano la potenza del soggetto dominante, si fondano sulla fittizia pretesa di uguaglianza degli Stati e sono spregiudicatamente sfruttati da quei soggetti, Cina su tutti, che a vincoli e regole riescono a sottrarsi. Di qui la preferenza per informali negoziati bilaterali o per azioni unilaterali; di qui il disinteresse ad usare forum e istituzioni internazionali (tanto che nella disputa con la Cina, l’amministrazione Trump non ha fatto uso dell’arbitrato dell’Organizzazione mondiale del commercio, utilizzato invece a più riprese sia da Bush Jr. sia da Obama). Quarto: il militarismo. Con Trump è stata invertita la tendenza alla costante riduzione del bilancio della Difesa che aveva contraddistinto gli anni di Obama. Nelle sue richieste per il bilancio 2019 (che non verranno accolte), Trump propone un aumento del 5% delle spese militari da pareggiarsi con tagli massici ad altre voci di spesa, che colpiscono in particolare l’agenzia per la protezione dell’ambiente e il Dipartimento di Stato. La retorica e la postura presidenziali hanno, almeno in ambizione, una marcata dimensione militarista e sia nella NSS del 2017 sia nella NSD del 2018 abbondano gli inevitabili riferimenti alla impareggiabile e letale superiorità di potenza militare di cui dispongono gli USA.

Quinto e ultimo: il protezionismo. Corollario inevitabile di molti dei punti appena menzionati è la critica delle forme d’integrazione commerciale dell’ultimo mezzo secolo. Nei binari schemi trumpiani, passivi e attivi commerciali definiscono chi prevale e chi soccombe nel brutale contesto internazionale. Gli strutturali passivi commerciali statunitensi diventano quindi l’indicatore paradigmatico della condizione di debolezza in cui verserebbero gli Stati Uniti. Iniziative unilaterali, dazi e guerre commerciali diventano così necessari per correggere questo stato di cose: per “rendere nuovamente grande l’America”. Lo stesso autore del pensiero politico repubblicano e trumpiano di conseguenza riconosce che gli USA hanno cambiato strategia nel dover essere i gendarmi mondiali. A volte si ha l’impressione che nel caos generale tra democrazie deboli, democrazie mature ma opache e democrazie presidenziali dove comanda quasi un solo monarca, valga la logica animale del capobranco, tipica anche dei mammiferi placentati. Se questa logica si applica nelle famiglie mafiose, di ogni genere di mafia sia italiana, che marsigliese, russa, cinese, turca, romena, latinoamericana, ecc., allora dov’è andato a farsi friggere il diritto e quello internazionale in particolare? Ma leggiamo, di nuovo l’articolista citato come conclude il programma in 5 punti di Trump:”Le approssimazioni concettuali e la grossolanità analitica della dottrina Trump sono evidenti. Come lo sono i cortocircuiti che ne conseguono. Quella trumpiana è una visione di potenza senza egemonia che rinuncia consapevolmente, e dolosamente, ad alcuni degli strumenti fondamentali con cui gli USA hanno costruito negli anni il proprio primato ed esercitato la propria influenza. Il nazionalismo radicale di Trump alimenta reazioni ostili su scala globale con le quali già Bush si dovette confrontare nel 2002-03. Reazioni, queste, che tendono a isolare ancor più gli Stati Uniti. Il militarismo si scontra con la ferma contrarietà di una parte maggioritaria dell’opinione pubblica americana ad appoggiare nuove avventure militari. Unilateralismo, realpolitik e protezionismo offrono risposte al meglio parziali e al peggio pericolose ai tanti dilemmi prodotti dai processi d’integrazione globale dell’età contemporanea, le cui mille interdipendenze vincolano e costringono gli Stati Uniti stessi, in un sistema internazionale che da tempo ormai ha cessato di essere “a somma zero”. In Argentina l’Italia è onnipresente anche per i monumenti come a Piazza Italia di Buenos Aires, ma l’economia e la Democrazia spesso andava soggetta a ripetuti colpi di Satato militari come il Cile ed altri Paesi Cuba compreso. In quei Paesi si imitano le Democrazie opache europee senza averne i presupposti ed anche là la propaganda del cattocomunismo è imperante.

Negli USA si avvicina la nuova campagna elettorale che con le primarie coinvolge, più degli europei ed australiani, il popolo: sovrano di votare di nuovo Trump o un/a del partito Democratico. Insomma il cosiddetto popolo (di ieri meno istruito e di oggi quasi digitalizzato e molto informato dai media in modo superficiale) segue la voce più ripetuta (ad ogni 5 volantinaggi o altre forme di propaganda, pare che uno abbocchi al messaggio), quella più altisonante nelle piazze gremite (“Sardine” comprese) oppure bisogna fare come negli USA che tra il popolo seleziona cultori d’economia e politica? E se ci provassimo, almeno per una volta? Forse bisognerebbe imitare Roma repubblicana quando in periodi di disequilibrio politico-economico, nominava un Console, dittatore a tempo definito! In Italia c’è una corruzione pubblica di 60 miliardi annui, in Germania non è di meno poiché è più concentrata negli appalti pubblici, non parliamo dei Paesi dell’Est Europa dove la lotta alla corruzione è costante in ogni campagna elettorale, come quella della Romania, ultimamente con un presidente ed un governo de medesimo partito-liberale- in una repubblica presidenziale. A breve l’Italia saprà se il vino ed altre derrate alimentari esportate negli USA verrà o meno tassato. Poco tempo fa D. Trump disse, in un’intervista rilasciata al programma della emittente radiofonica britannica Lbc:”L’Italia starebbe molto meglio fuori dell’Unione europea e parlando di Brexit tornò a rispolverare l’ipotesi di una Italexit.

Nel corso della conversazione col suo amico Nigel Farage, leader degli euroscettici d’Oltre Manica, il presidente americano per la prima volta in assoluto ipotizza l’uscita del nostro Paese non solo dall’euro ma dall’Unione europea di cui e’ uno degli stati fondatori. Un intervento a gamba tesa nell’agone politico italiano gia’ in fibrillazione. Un’uscita che rischia a questo punto di rinfocolare le velleità antieuropeiste di molti proprio nel momento in cui, con il nuovo governo Conte, Roma si era riposizionata nel campo della Ue, riprendendo la via di un dialogo piu’ serrato e collaborativo con Bruxelles, a partire dal delicatissimo dossier della manovra economica. Commentando con il leader del Brexit Party l’ultimo rinvio del divorzio tra il Regno Unito e la Ue, Trump ha quindi deplorato il fatto che dopo ormai tanto tempo dal referendum Londra sia ancora “trattenuta nell’Unione Europea”. Uno stallo che impedisce di iniziare a trattare quello che per il tycoon sarebbe una grande accordo commerciale tra Stati Uniti e Gran Bretagna. “Siete bloccati dalla Ue – afferma il tycoon – come lo sono altri Paesi. Anche l’Italia e altri Paesi – aggiunge il presidente americano – starebbero molto meglio senza l’Unione europea. Ma se questi Paesi vogliono rimanere nella Ue, va bene”. “Ma sappiate – conclude il suo ragionamento il tycoon – che in Europa governano persone con le quali è molto difficile negoziare, mentre con me sarebbe tutto più facile: faremmo subito un grande accordo commerciale”. Il tema di una possibile Italexit non e’ mai stato nell’agenda dei colloqui tra Washington e Roma, men che meno negli ultimi faccia a faccia che il presidente americano ha avuto in piu’ di un’occasione con il presidente del consiglio Giuseppe Conte, con il quale ha un ottimo rapporto, e all’inizio del mese con il presidente della repubblica Sergio Mattarella ricevuto alla Casa Bianca. Lo stesso dicasi dei colloqui avuti tra il ministro degli esteri Luigi Di Maio e Mike Pompeo in occasione della recente visita del segretario di stato americano in Italia. L’Ue spesso appare un carrozzone burocratico senza peso politico univoco. Spesso ripete le sottoculture politiche della Democrazia di molti dei suoi 27 membri. Anche i rivoli di finanziamenti alle scuole, all’agricoltura, ecc. non sempre sono spesi bene.

Certo è che la Germania nell’Unione europea domina la scena, affiancata dalla Francia, entrambi con un euro sottovalutato rispetto all’Italia che con l’entrate della moneta unica ha visto dimezzare il potere d’acquisto del popolo italiano. A fine 2019 torna a salire il debito pubblico italiano e la Banca d’Italia ha comunicato che al 31/10/ 2019 il debito pubblico era salito a quasi 2.447 miliardi di euro, rispetto ai 2.439 miliardi del mese precedente. Il massimo storico resta quello registrato a luglio. Dunque sfonda il 135%, il livello più elevato della storia repubblicana italiana. Oggi a votare il Pd e la sinistra in Italia sono solo i ceti più abbienti, concentrati nelle case di lusso dei centri urbani, mentre l’operaio vota lega al settentrione e grillini al meridione, dove è più facile abboccare a nuove illusioni. Tutti i partiti, compresi quelli del centrodestra, per frenare l’evoluzione del suddito meridionale in cittadino (essere pensante che sa scegliere meglio per chi votare), promette investimenti a pioggia per il Mezzogiorno da far sviluppare con l’intervento di molti miliardi pubblici, che andranno, in misura rilevante, ad ingrassare, come nel passato repubblicano, le catene truffaldine della malavita organizzata. Se ciò si verificherà ancora dovranno aumentare le tasse e la scure fiscale schizzerà oltre il 59% attuale. Il debito pubblico italiano serve a molti governi, soprattutto di centro sinistra, a spendere decine di miliardi,aumentando il già grande debito pubblico. Il debito pubblico è il debito contratto dallo Stato per soddisfare il proprio fabbisogno. Ovvero, in sostanza, le risorse necessarie per far sì che la macchina statale, fatta di servizi e investimenti, funzioni. La differenza tra entrate e uscite di uno Stato è detta saldo primario. Nell’operazione di calcolo vanno però aggiunti gli interessi sul debito precedente che uno Stato paga ai suoi creditori. Si ha un deficit quando le entrate sono inferiori alla somma di uscite e spese per interessi. Il debito pubblico può essere definito anche come la stratificazione, anno dopo anno, dei deficit. Nell’equilibri mondiale dei sistemi economici e politici, l’Italia è un gigante artistico-culturale ed un nano politico-economico, analogamente al Settentrione italiano che è un gigante economico ed un nano politico (esprimere un Bossi o un Salvini come leader politici, non certamente i migliori del tessuto economico-sociale come fanno negli USA con D. Trump oggi e con l’Avvocato B. Obama prima) rispetto al nostrano Meridione che è l‘inverso. In Italia ancora non si può scegliere il servizio scuola (libera o di stato) perché il cittadino è considerato ancora suddito medievale? Ho conosciuto sistemi d’istruzione, grazie al Ministero Affari Esteri perché mi ha nominato commissario d’esame finale liceale a: Colonia, Istanbul, Cairo, New York. Ho potuto confrontare aspetti dell’istruzione in più Paesi e rendermi conto che in Italia non siamo messi benissimo, anzi abbiamo molto da imparare dal sistema statunitense. A quando anche la scelta del docente da parte dell’utenza che usufruisce della qualità del servizio scolastico ed universitario? Non dimentichiamo che l’Ocse ci pone in basso nella graduatoria mondiale per qualità dell’istruzione universitaria e liceale fino a scendere alla scuola di base dove solo il 15% comprenderebbe ciò che legge, povere nuove generazioni di studenti italiani! Ma molti continueranno ancora ad osannare la qualità provinciale del sistema elefantiaco dell’istruzione, pure per le università non stiamo mai in alto nella graduatoria dell’Ocse. In conclusione si deve riconoscere alla Democrazia degli USA di aver liberato l’Europa dal nazismo e ancora oggi ci è d’esempio per la maggiore trasparenza dei principi democratici e di meritocrazia.

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Pace (Già prof. estero ed esperto di Ecologia Umana Internazionale)

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