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Screening neonatale esteso: passi in avanti per l’allargamento del panel

Roma, 16 Dicembre – Si è svolto a Roma presso il Ministero della Salute il convegno dal titolo “Screening neonatale: dai progetti pilota all’adeguamento del panel”, a cura dell’O.M.A.R. (Osservatorio Malattie Rare) .

Scopo: fare il punto sullo stato di attuazione dello screening neonatale esteso e valutare quanto emerso dai progetti pilota in vista di un ampliamento del panel relativo alle malattie sottoponibili a screening. Tra queste vi è l’Adrenoleucodistrofia, una malattia devastante che provoca gravi danni al sistema nervoso centrale con effetti altamente invalidanti, con un espressione clinica così eterogenea che attualmente la diagnosi è molto complessa e rischia di arrivare in ritardo. I tempi sembrerebbero essere maturi: infatti da una parte vi è la precisa volontà politica di adeguamento del panel, dall’altra l’impegno del mondo medico-scientifico e delle associazioni dei pazienti per raggiungere obiettivi comuni. Un allineamento di forze che si dispiega da Nord a Sud, con progetti pilota già avviati o in partenza, caratterizzati da un’ottica paziente-centrica, in cui è centrale lo screening neonatale, ma anche il percorso di presa in carico ed assistenza integrata long life: dalla Lombardia alla Toscana, passando per la Campania, senza dimenticare i passi in avanti fondamentali compiuti in Veneto e in Lazio.

Michele è un bambino di Rimini: verso i sette anni ha cominciato a scrivere fuori dal rigo del suo quaderno a scuola… a distrarsi. Le maestre hanno chiesto ai genitori di affidarlo ad un supporto psicologico perché aveva dei disturbi del comportamento. Michele ha cominciato dopo qualche mese a perdere l’equilibrio, poi a parlare sempre meno… Michele, come tanti Michele, come Lorenzo Odone, come tutti i Lorenzo, come Francesco, oggi in stato di ridotta coscienza, da cui tutta la storia dell’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia ha avuto inizio, forse avrebbero potuto avere una vita diversa, se la diagnosi fosse arrivata in tempo.

Ed invece oggi non parlano, non vedono, non si muovono, non si alimentano, se non per via enterale.

Nonostante tanti passi avanti e tanti sforzi oggi sussiste ancora un vuoto di conoscenza diagnostica e assistenziale per l’Adrenoleucodistrofia.

Si resta nelle mani della fortuna, che agisce proprio come una dea bendata, nella speranza di entrare, quasi per caso, in uno dei centri di riferimento della patologia che darà le indicazioni giuste e di farlo prima che intervengano gravi danni al Sistema Nervoso Centrale.

Ma potrebbe non essere più così.

Questo grazie allo screening neonatale esteso, un percorso integrato e multidisciplinare che, introdotto con la legge 167/2016 , oggi consente di individuare precocemente ben 40 malattie metaboliche in tutti i nuovi nati sul territorio nazionale.

“Nessuna Regione deve rimanere indietro – sottolinea il viceministro della Salute Piepaolo Sileri -.  E’ importante l’uniformità di accesso e di attuazione su tutto il territorio nazionale, perché, dopo aver creato una legge sullo screening neonatale, non si possono fare passi indietro. C’è l’assoluta volontà politica di impegnarsi per l’estensione alle patologie neuromuscolari genetiche, alle immunodeficienze combinate severe e alle malattie da accumulo lisosomiale, valutando sia la fattibilità, sia i costi-benefici. A breve partirà un tavolo tecnico presso il Ministero della Salute. L’obiettivo è quello di valutare nello specifico le patologie da includere nei test e di definire la presa in carico migliore in caso di esito positivo”.

Ad oggi l’Italia è prima in Europa per numero di malattie sottoposte a screening. Si pensi ad esempio che Romania e Malta ne hanno appena 2 e la Francia solo 5.

“La legge 167/2016 – evidenzia la senatrice Paola Taverna, che ne è la promotrice è stata approvata già in fase deliberante, quindi all’unanimità. Scoprire tempestivamente una patologia, indirizzando ad una terapia, vuol dire dare ad un bambino la possibilità di avere una vita sana e felice, è indicatore di una sanità valida e consentirebbe un SSN sempre più sostenibile ed universale”.

A farle eco anche Domenica Taruscio, direttrice del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità: “Lo screening neonatale – evidenzia – mette in sicurezza anche il Servizio Sanitario Nazionale. Abbiamo 9 laboratori attivi a livello regionale e 6 interregionali, con 29 centri clinici. Non è necessario, infatti ‘fare tutto in casa”, anzi è auspicabile che soprattutto le regioni con un bacino di utenza più piccolo attivino accordi interregionali”.

L’Adrenoleucodistrofia  è una patologia X  legata, trasmessa cioè dalle madri portatrici ai figli maschi (gli uomini affetti trasmettono solo lo stato di portatrice alle femminucce, che tuttavia svilupperanno neuropatie in età avanzata). L’ALD  ha un’incidenza di  1 su 15-17mila nuovi nati, con un incremento atteso di 35-40 casi all’anno. I casi diagnosticati sono tra i 200 e i 300, ma si stima che ben 3500-4000 persone ne siano affette. Un recente studio dell’Università del Minnesota parla però di numeri 5 volte più alti di quelli attualmente ipotizzati.

“E’ una malattia –  sottolinea Valentina Fasano, presidente dell’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia – per la quale si contano  più di 900 mutazioni del gene ABCD1, senza correlazione genotipo-fenotipo, con grande eterogeneità nell’espressione clinica e differenti età di esordio della sintomatologia”.

Per riuscire ad intervenire precocemente e donare a tanti bambini una vita serena occorrerebbe agire nella cosiddetta finestra pre-sintomatica, prima che il sistema nervoso centrale riporti danni irreversibili.

“Abbiamo il test che è pronto e sicuro – continua la presidente AIALD  – e la malattia è una delle più semplici da screenare. Inoltre un recente studio condotto dall’Università di Sheffield ci dice che lo screening neonatale costituirebbe un vantaggio anche dal punto di vista economico, oltre che etico e morale”.

Proprio per l’Adrenoleucodistrofia arriva la notizia che è in fase di avvio, a partire dalla Toscana, un progetto pilota per raccogliere congrue evidenze scientifiche sull’efficacia del test di screening.

“E’ di fondamentale importanza applicare le tecnologie alle malattie rare – mette in risalto Giancarlo La Marca, presidente Simmesn e rappresentante della Conferenza Stato-Regioni -. Infatti lo screening permette che la diagnosi arrivi prima della manifestazione dei sintomi, quando la patologia è ancora asintomatica. Sono stati raggiunti risultati importanti: allo stato attuale circa il 96,5% dei nuovi nati viene sottoposto a screening per 40 patologie metaboliche. Ma io non sono ancora contento di questi numeri: manca all’appello la Calabria. Dobbiamo fare di più”.

UNA MALATTIA CHE RIDUCE ALLA DISPERAZIONE L’INTERO NUCLEO FAMILIARE

Migliore qualità della vita non solo per i pazienti ma anche per famiglie e caregiver.

“Non si può immaginare il carico di fatica per chi assiste un malato di adrenoleucodistrofia – continua Valentina Fasano – che si traduce in una quotidianità equiparabile ad un vero e proprio calvario dal punto di vista fisico, emotivo, psicologico ed economico. Ve ne potrebbe parlare Caterina, con due figli che si si sono ammalati a distanza di 7 anni l’uno dall’altro. Bisognerebbe che conosceste Pompea che per 10 anni non ha messo un piede fuori casa, non ha più dormito nel suo letto, perché la sua vita era accanto a Giovanni, come nuovamente legati da un cordone ombelicale. Tutta la notte a tenerlo in braccio per alleviare le sue crisi, tutto il giorno ad alimentarlo con un cucchiaino di cibo”.

Ma non bisogna dimenticare chi non potrà accedere allo screening come ad esempio le persone adulte: l’obiettivo, secondo quanto ribadisce Fasano, dovrebbe essere quello di fornire un’assistenza completa, coordinata e continua, adattata allo sviluppo del paziente durante tutto l’arco di vita che risponda alle esigenze di una specifica alimentazione con cibi opportunamente supplementati, di assistenza domiciliare e di ausili necessari a garantire un’esistenza dignitosa.

 

LA SITUAZIONE DELLO SCREENING NEONATALE IN CAMPANIA

In Campania lo screening neonatale ha avuto avvio nel 2007 con un progetto pilota. A marzo 2019 è arrivata una delibera finalizzata ad evidenziare con precisione chi fa cosa, cioè i ruoli e le competenze del sistema di screening neonatale.

L’informativa viene distribuita durante i corsi pre-parto, nei punti di accompagnamento alla nascita e nei centri nascita ed è stato anche avviato il dialogo con i pediatri.

“Nel 2020 – spiega Margherita Ruoppolo, responsabile del laboratorio di screening del Ceinge Biotecnologie avanzate – sono previsti corsi di formazione sulle modalità di raccolta dello spot ematico, rivolti ai centri clinici, e momenti di formazione per i pediatri di famiglia”.

 

UN PROGETTO PILOTA IN CAMPANIA

Si sta svolgendo in Campania un progetto pilota sull’Adrenoleucodistrofia, ideato, realizzato e coordinato da Marina Melone, direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca in Neuroscienze professore dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate  – Clinica Neurologica II e Malattie Rare.

Il Progetto che prende il nome di MISSION-MEM, finanziato dalla Regione Campania, è volto a creare un nuovo paradigma per dare voce ai pazienti affetti da adrenoleucodistrofia ed adrenomieloneuropatia e intende delineare un percorso organico ed efficace di assistenza long life che passi indispensabilmente attraverso Informazione/Formazione/Networking, Screening precoce fino a quello neonatale e Prevenzione.

“Il nostro centro universitario dalla metà degli anni ’80 ha individuato 10 famiglie affette dalla mutazione genetica ed attualmente abbiamo in follow-up circa 20 pazienti con quadro clinico AMN plus. Mission-Mem rappresenta un ulteriore passo in avanti che si pone in continuità col nostro impegno come centro di riferimento in Campania per la patologia e con la nostra missione a favore dei pazienti”.

In base a quanto afferma Melone, è essenziale la formazione di laboratori specializzati per le diagnostica delle malattie metaboliche in Campania, in particolare per l’adrenoleucodistrofia, un aspetto che consentirebbe di ridurre costi, indirizzando subito i pazienti verso un’assistenza adeguata.

“La stessa migrazione regionale di pazienti –  continua il direttore  del Centro Interuniversitario di Ricerca in Neuroscienze –  è un costo che dovrebbe essere abbattuto facendo sì che ogni paziente venga indirizzato al centro della sua regione, laddove presente, o della Regione territorialmente più vicina”.

FARE RETE CON LE ALTRE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI

Da più parti viene ribadito come la legge debba agire da facilitatore, laddove esista già una terapia e  non trasformarsi in un limite,  diventando pastoia burocratica. I bambini non possono aspettare: avere una diagnosi efficace, infatti, equivale ad assicurare un’esistenza normale e non costellata da ricoveri in terapia intensiva o vissuta in stato di ridotta coscienza. Vari i momenti cruciali del percorso di screening: quello della conferma diagnostica; quello della consulenza genetica accompagnato da una comunicazione chiara e corretta; quello della presa in carico di tutta la famiglia, in particolare se con alto rischio genetico, che deve essere accompagnata nella quotidianità.

“Bisogna continuare a parlare di questi pazienti – rincara la dose la presidentessa AIALD –  per restituire loro la piena dignità di esseri umani”.

 

DALLA CAMPANIA LA STORIA DI ALBA, MAMMA A 18 ANNI, IN UNA “MISSIONE” CHE OGGI, PER ALTRE FAMIGLIE, POTREBBE AVERE UN FINALE DIVERSO

La storia della signora Alba dev’essere un monito alle istituzioni e a chi ha il potere di rendere possibile un cammino ed un esito diverso per i neogenitori, ma anche per chi è affetto da adrenoleucodistrofia, una malattia terribile per il suo decorso e per l’impatto devastante che ha sui pazienti e le famiglie che ne vengono totalmente coinvolte.

L’accidentato e doloroso percorso di Alba, con il fardello dell’Adrenolecodistrofia, comincia sul finire degli anni ’70, quando suo fratello di 11 anni a scuola manifesta disturbi comportamentali , perde spesso il controllo di sé: le insegnanti lo indirizzano ad un supporto psicologico.

In seguito, gli viene diagnosticato un sospetto di leucodistrofia e viene suggerito alla famiglia di fare ulteriori indagini, ma nessuno ne indirizza i componenti, non vi è una reale presa in carico, e quella parola rimane lettera morta. Quasi in concomitanza, dopo un evoluzione molto rapida della malattia, Alba perde il fratello e il suo piccolo Antonio, che di anni ne ha 8 , comincia a manifestare problemi comportamentali e motori: “si confondeva,  urtava contro i cancelli, dimenticava il percorso per andare a scuola”, ricorda con dolore.

Alba ha il timore che possa trattarsi della stessa malattia che ha portato via suo fratello così fa visitare il piccolo da un neuropsichiatra che gli diagnostica un’epilessia, anche se Antonio di convulsioni non ne ha.

Nel frattempo il senso di solitudine, di isolamento e di inadeguatezza cresce: forse è lei che si sta suggestionando, che sta proiettando la sua ansia sul figlio, come le viene detto da più parti, anche dagli stessi medici. Alba, durante una vacanza con la famiglia d’origine in Germania, nutre la speranza di poter far visitare Antonio da un ulteriore specialista. Lo incontra e gli racconta i sintomi ed è lì che le viene detto che probabilmente è una cosa davvero seria. Dopo un anno di peregrinazioni, Alba arriva finalmente al Vecchio Policlinico di Napoli. E’ lì che il prof. Cotrufo diagnostica al piccolo Antonio l’Adrenoleucodistrofia. Alba è disorientata: torna dal neuropsichiatra e gli comunica la diagnosi, ma lo specialista parla di un errore diagnostico, ne sminuisce l’importanza, diminuisce al piccolo la dose di antiepilettico da assumere. Antonio, i cui sintomi neurologici avanzano inevitabilmente, va in coma. Alba ne ottiene il ricovero al Santobono, poi torna a cercare un punto di riferimento al Vecchio Policlinico. E’ smarrita: sente che è qualcosa di troppo più grande di lei.

Avere una diagnosi già per suo fratello avrebbe voluto dire poter fare scelte basate su una consapevolezza diversa.

Al Vecchio Policlinico incontra una professionista e prima ancora la persona che non la abbandonerà mai in tutto il suo percorso con Antonio: si tratta di Marina Melone, oggi direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca in Neuroscienze, professore dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche Avanzate  – Clinica Neurologica II e Malattie Rare.

“Ho cercato di procrastinare le dimissioni dall’ospedale – racconta – . Avevo letteralmente il terrore di essere sola a casa, ma la professoressa Melone mi promise che avrei potuto chiamarla in qualsiasi momento per qualsiasi problema, anche a casa,  e così è stato, l’ha fatto davvero. Lei mi ha dato la forza di andare avanti. Mi è sempre stata vicino e quando ero davvero disperata è venuta persino a casa per darmi indicazioni e supportarmi. Antonio ha vissuto con questa malattia per ben 23 anni e noi insieme a lui”.

Alba affronta tutto da sola, non chiede aiuto a nessuno: notte e giorno ad assistere Antonio, senza uscire di casa. Notti  lunghissime in cui suo figlio soffre, piega la schiena ad arco, suda anche d’inverno, si lamenta  e respira con difficoltà. Alba si inventa ogni cosa, lo culla con dolcezza, anche quando Antonio non è più un bimbo, ed a volte riesce a portargli sollievo.

Un giorno Alba, in tv, vede i coniugi Odone : sono diventati esperti mondiali della malattia  del suo Antonio, hanno creato persino una miscela di olii che ne rallenterebbe la progressione! Il loro figlio Lorenzo ne è affetto. E’ uno spiraglio. Li contatta e grazie a loro conosce un’altra mamma, Pompea, e suo figlio, il piccolo Giovanni. Vuole incontrarla, parlarle da vicino e conoscere gli effetti dell’assunzione dell’olio. Quindi un bel giorno monta in auto e parte alla volta di Formia, per raggiungerla.

La malattia di Antonio è troppo avanzata per assumere l’olio, ma Alba ha altri due figli! Anche Vincenzo, il secondogenito, ha la mutazione genetica e la malattia si esprime come adrenomieloneuropatia, una forma meno grave che coinvolge prevalentemente gli arti inferiori e lo condurrà a stare in sedia a rotelle. Per lui l’olio e la dietoterapia potrebbero fare la differenza, ma Vincenzo sente che è difficile, impossibile, accettare i cambiamenti profondi  che hanno letteralmente travolto la sua vita, i suoi progetti, i suoi orizzonti, le sue speranze.  L’ultima figlia di Alba, invece, che avrebbe potuto ereditare lo stato di portatrice, non ne è coinvolta. Ha fatto l’analisi genetica due volte: quando è arrivata la diagnosi per Antonio e quando ha deciso di sposarsi, con la prospettiva consapevole di diventare mamma.  

Oggi purtroppo Antonio  non c’è più, ma Alba non ha mai smesso di parlargli, neanche quando tutti le dicevano che era inutile, che era sordo e cieco e non poteva sentirla. Oggi, mentre cura una rosa in giardino, con il pensiero la porge al figlio, affinché, condividendola, possano sentirne finalmente  il profumo, vederne la bellezza e toccarne i petali delicati.

“Vorrei tanto – ribadisce Alba – che per il futuro e per gli altri le cose possano andare diversamente. Questa malattia coinvolge tutta la famiglia e distrugge tutto”.

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