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POVERO CAMILLO!

Napoli, 3 Aprile – I Napoletani ed i Baresi pronunciano erroneamente il nome della sua casata nobiliare, accettandolo sulla prima sillaba; gli adolescenti d’oggi ne notano spesso un’ipotetica somiglianza con il tenore Luciano Pavarotti, o talvolta lo deridono per via del suo peso. Nei riguardi dell’egregio operato di Camillo Benso, Conte di Cavour (si legge  [kaˈvur], non [‘kavur]!), non v’è al giorno d’oggi alcun segno di riconoscenza; eppure il suo contributo all’unificazione della Penisola Italiana, allora divisa in fette, al pari di una torta. 
A quell’epoca, però, la vita nel nostro territorio non poteva affatto definirsi “dolce”: al Sud, retto dalla dinastia dei Borbone, le campagne erano preda dei briganti – che spesso agivano impuniti – , la nobiltà godeva di una sfilza di privilegi, sicché i soggetti ad essa appartenenti (i “Baroni”) esercitavano  sui regnanti un’influenza che non di rado li costringeva, metaforicamente, a “capitolare”, quindi a decidere conformemente ai loro comodi.
Ma lontano dal Mezzogiorno….le cose non andavano certo meglio, in particolar modo in quelle regioni allora site in territorio pontificio: la concezione totalmente medievale ivi regnante – che con la cristianità non aveva nulla a che vedere, beninteso – rendeva il Papato una delle potenze maggiormente temibili di quel momento, anche perché gli “eretici” e le “streghe”  (o, ancor peggio, i presunti tali) cadevano vittima di una serie di angherie – tra cui la posizione di maggior spicco assumeva la tortura – oppure venivano condannati a morte, cosa che non ha nulla a che vedere con la cristianità. 
E che dire di Milano? Le condizioni di vita non erano certamente rosee come oggi, specialmente negli anni in cui gli Spagnoli dominavano l’agro Meneghino: celebre l’episodio de “I Promessi Sposi” in cui il Manzoni pone in evidenza l’indignazione del popolo verso una legislazione volta a favorire i commercianti, culminata con l’assalto alla casa del vicario e l’aggressione ai danni del capitano di giustizia.
L’ordinamento ivi vigente non dava alcuna garanzia al cittadino, la qual cosa permetteva ai signorotti di trovar terreno fertile per fare i propri comodi a discapito degli umili. 
A fronte degli episodi di violenza sopra descritti, cari Lettori, occorreva che qualcuno promuovesse un’iniziativa volta a permettere agli abitanti dello
Stivale di divenire finalmente un popolo: le divisioni all’epoca regnanti – di natura pressoché molteplice, specie sotto il profilo linguistico e giuridico – erano indubbiamente insostenibili. A far la prima mossa hanno pensato Mazzini, Garibaldi e Cavour, che gli storici han definito, rispettivamente, “la mente”, “il braccio” ed il “tessitore” di quella nazione che esitava a vedere i natali: come si può ben desumere, la tanto attesa svolta ebbe luogo. Ritengo dunque irriguardoso ed errato inneggiare ad ulteriori divisioni, od addirittura osannare i sovrani in carica a quell’epoca; ed invece di porre in evidenza le presunte “lacune” dei libri di storia, bisognerebbe darsi alla lettura della saggistica circa la situazione anteriore al Risorgimento e capire…..come si viveva prima che nelle menti di Cavour, Mazzini e Garibaldi si accendesse il lume dell’autentica fratellanza d’Italia.
Ciò che induce ad identificare nello smembramento di una popolazione la risoluzione ad ogni problema è…l’ignoranza: è quest’ultima a dover essere sconfitta ancor prima di ogni estremismo politico! 
Adriano Spagnuolo Vigorita 
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