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Il grande capo, le tribù e le false speranze: nuovi protagonisti per una storia già vecchia

Napoli, 4 Gennaio – Il grande capo era vecchio e stanco. Non ne aveva più. Per anni aveva combattuto contro la tribù avversa, e adesso per la prima volta sentiva il peso delle battaglie. Non ce la faceva più, non ce l’avrebbe fatta da solo, con i suoi adepti. E allora ci fu il colpo di scena quando la tribù nemica, da sempre schierata dall’altro lato, decise di aiutarlo nella sua ultima impresa. Andava fatta, a qualsiasi costo, per il bene di tutti. Per il bene proprio.

Così, dopo una serie di incontri segreti ma non troppo, tante trattative e molti compromessi, le due parti decisero di unire le forze, per il bene di tutti, nella convinzione che soltanto una sinergia tra tutte le tribù in campo avrebbe portato a risultati concreti. Una decisione maturata dopo venti anni di battaglie, meglio tardi che mai.

Fu proprio grazie a questa unione che il grande capo arrivò, ancora una volta, alla vittoria tanto sperata, nonostante le tribù che lo avevano appoggiato fossero molto diverse tra loro. Ognuna di queste, infatti, aveva le proprie usanze, le proprie abitudini, e difficilmente avrebbero potuto condividere lo stesso percorso se non ci fosse stato un uomo forte al comando, sceso direttamente dal Monte Somma.  Di conseguenza, sommando le forze sommessamente sottomesse al grande capo, arrivò il trionfo.

Ma dopo il trionfo, dopo la gioia, le celebrazioni e i banchetti di festeggiamento, non tutti erano rimasti contenti. Le tribù, nonostante avessero promesso di essere fedeli al grande capo, continuavano ad essere diffidenti l’una verso l’altra. Nonostante le formalità di facciata, ognuna delle tribù collegate al grande capo aveva un proprio credo, un interesse da difendere, un’autonomia da rivendicare.

C’erano i Soldati di Cristo, che tenevano in mano un rosario e recitavano preghiere verso il grande capo, ma nello stesso tempo annunciavano la possibilità di seguire strade diverse, quasi come se avessero il dono di poter pensare liberamente, ma in realtà non lo avevano affatto. I Soldati di Cristo si erano resi protagonisti con qualche battaglia dall’esito positivo, rivendicando la paternità di alcune vittorie. Nel contempo, però, la loro tanto decantata autonomia decisionale veniva oscurata dal fatto che erano completamente sottomessi al grande capo, e quando questi decideva che un consiglio non andava celebrato, i Soldati di Cristo assecondavano le sue richieste, ritirandosi in un religioso silenzio, che di religioso aveva soltanto l’aria di essersi pentiti di aver fatto quella scelta.

Poi c’erano i fedelissimi del grande capo, quelli del Monte Somma. Era una tribù molto variegata, perché tra i suoi componenti c’erano anche volti nuovi, alcuni nuovissimi. Alcuni provenivano dalle fila nemiche, avevano deciso di sposare il percorso del grande capo, venerandolo come l’unica vera ancora di salvezza nel mare dell’incertezza assoluta, ma soprattutto vedendo in lui l’unica possibilità di vittoria. Attirati dall’uomo forte, anche il più acerrimo nemico si era inchinato al fascino del grande capo. Altri poi, nella stessa tribù, avevano cercato di fare una sorta di doppio gioco prima della decisione definitiva: facevano capolino, nella speranza di trovare altre tribù alleate per battere il grande capo. Ma anche questi, alla fine, hanno deciso di inginocchiarsi, tornando nella tribù di origine.

A sostegno del grande capo anche gli Ultras, la tradizionale tribù nemica che per vent’anni aveva combattuto contro il signore più forte, qualche volta riuscendo nell’impresa di vincere. Ma stavolta era troppo complicato: le forze scarseggiavano, parte del proprio schieramento si era già dichiarata a favore del grande capo, e azzardare l’affronto sarebbe stato troppo difficile, perché sarebbero rimaste soltanto le briciole. E allora, proprio per non restare affamati, decisero di prendere parte al progetto del grande capo, sedendosi al tavolo, e partecipando al banchetto più grande di tutti i tempi. L’occasione era ghiotta, e ghiotti erano i commensali: vista l’impossibilità di fare en plein, gli Ultras si accontentarono della fetta di torta, ritagliandosi uno spazio importante all’interno del progetto, e illuminando i cuori di chi li aveva seguiti.

Tuttavia, nonostante la grande ammucchiata a sostegno del grande capo e l’eliminazione del nemico più agguerrito, poi diventato amico, per il grande capo i nemici non erano mica finiti. Tra le tribù avverse, infatti, c’erano ancora i Pan di Stelle, i Senza identità e anche i Meglio soli che male accompagnati.

Dopo la guerra si pensava all’inizio di una nuova stagione, di un periodo di splendore per tutta la comunità. Il grande capo, soddisfatto del risultato ottenuto, iniziò a non curare più i rapporti di forza tra le tribù che lo avevano sostenuto. Quelli del Monte Somma litigavano tra loro perché volevano lavorare, e ognuno voleva lavorare più dell’altro; i Soldati di Cristo si mostravano quasi indipendenti rispetto alle decisioni delle altre tribù e a quelle del grande capo, ma non appena venivano richiamati dal grande capo tornavano ad accucciarsi con la coda tra le gambe; poi c’erano gli Ultras, i nemici storici passati al servizio del grande capo: consapevoli della loro forza, cercavano soprattutto di splendere di luce propria, memori dei fasti del passato, ma già proiettati verso un futuro nel quale si immaginavano di nuovo padroni della scena.

Tra i nemici del grande capo alcuni si erano battuti con onore, altri con promesse, altri ancora avevano perso la propria identità nel corso della battaglia. C’erano i Pan di Stelle, che avevano promesso ai propri adepti mari e monti, finendo poi per scomparire del tutto, rendendosi invisibili e anche inutili dopo qualche tempo. Disperazione e sgomento, soprattutto tra i bambini, che non riuscirono più a trovare un solo Pan di Stelle nelle terre vicine. C’erano anche i Meglio soli che male accompagnati, che si erano battuti con onore, e che continuavano a dare battaglia nonostante fossero di gran lunga inferiori, quantitativamente, al grande esercito del grande capo. Ma non potevano tradire le promesse fatte, non potevano mettere da parte l’onore: continuarono, stoicamente, a perseguire i propri obiettivi e il proprio credo, noncuranti di tutto ciò che accadeva attorno: pochi ma buoni, era questa la loro filosofia.

 Poi c’erano anche i Senza identità, quelli che avevano lanciato la grande sfida al signore più forte, forti della propria storia, organizzazione e soprattutto della propria identità, simbolicamente sfoggiata in ogni occasione. Ma qualcosa all’interno della tribù, nel corso dei preparativi, non andò per il verso giusto, e per questo i Senza identità si ritrovarono senza una guida, senza un capo che potesse condurli alla vittoria. In un primo tempo, attraverso le tante preghiere, cercarono e ottennero l’appoggio della Dea Giusta, una divinità che accettò di guidarli soltanto se avessero mantenuto le promesse iniziali, in particolar modo quella di restare uniti. Ma la promessa non venne mantenuta, e per questo i Senza identità si ritrovarono completamente soli, abbandonati dalla Dea Giusta e da qualche altro che sarebbe poi diventato Soldato di Cristo. Alla fine, però, decisero di combattere con le poche forze rimaste, per lo più fanciulli. E i risultati furono tutt’altro che positivi.

Dopo la guerra ci fu la vittoria del grande capo, ma il tanto sperato periodo di benessere e di splendore non arrivò mai, per nessuno. I vinti si leccavano le ferite, i vincitori litigavano tra loro per decidere chi dovesse, in un certo senso, prevalere: il risultato, più scontato che mai, fu il raggiungimento di un equilibrio precario che rappresentava quel filo capace di mantenere in vita un po’ tutti, ma in realtà morivano tutti. Lentamente, in un’agonia che si protraeva da ben vent’anni e che era destinata a continuare a lungo. Perché nonostante gli stravolgimenti di schieramento e le nuove leve, non era cambiato niente.

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