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Caso Koulibaly, il calcio non ignori il fenomeno razzismo

Napoli, 20 Gennaio – Confermate le due giornate di squalifica al difensore Kalidou Koulibaly. Il giudice sportivo ha, infatti, respinto il ricorso avanzato dal Napoli, applicando alla lettera il regolamento e non ascoltando le richieste della società azzurra di tenere conto dello stato d’animo del calciatore senegalese, bersagliato, per l’intera partita, da insulti razzisti. Il presidente De Laurentiis dopo aver appreso la natura della sentenza ha dichiarato di vergognarsi di far parte di un sistema incapace di cambiare, anche di fronte al problema del razzismo. Il giudice federale Sandullo giustifica la decisione, affermando che le regole prevalgono sulla solidarietà, che egli stesso ha tenuto a mostrare al senegalese.

Tutto ha inizio il 26 dicembre 2018, ormai quasi un mese fa. Inter-Napoli è una partita tesa; le squadre si trovano l’una sopra l’altra in classifica e temono un passo falso che andrebbe a gravare la loro situazione. È l’80esimo minuto; il difensore napoletano Koulibaly strattona l’attaccante nerazzurro Politano, che lo aveva superato in velocità. L’arbitro fischia il fallo e sanziona l’intervento del calciatore azzurro con il cartellino giallo, costringendolo a lasciare il campo per somma di ammonizioni. L’uscita del difensore senegalese è accompagnata da cori e insulti di natura razzista. Il becero spettacolino, purtroppo, non è un caso isolato, in particolare nel nostro paese, ma stavolta l’impatto mediatico è stato devastante e gli esponenti più in vista, ma non solo, del movimento calcistico, non hanno esitato a schierarsi dalla parte di Koulibaly.

La posizione del Napoli, che già era andata in avanscoperta in occasione dei cori di discriminazione territoriale, chiedendo rispetto, è stata chiara sin dall’inizio; la società, infatti, vuole che si attui il protocollo UEFA secondo cui, in occasione di un episodio esplicito di razzismo, la partita deve essere temporaneamente sospesa. Se questo, dunque, non dovesse essere rispettato, la squadra azzurra si dice pronta a prendere l’iniziativa e abbandonare il campo. Inoltre, il club tiene a precisare che la battaglia contro il razzismo coinvolge tutti. Che si tratti di un “Milano in fiamme” cantato al San Paolo, o un “lavali col fuoco” a Torino, o ancora, un coro contro un calciatore nero a San Siro, bisogna intervenire, in ogni caso, comportandosi allo stesso modo con tutti.

Il problema in Italia è che il fanatismo per questo sport ci ha divorati; ci ha portato a confondere un semplice e sacrosanto “sfottò”, il sale del tifo calcistico, con un vero e proprio insulto, che a volte coinvolge contesti e situazioni molto più grandi di quello che si arriva ad immaginare. L’episodio di Koulibaly è qualcosa di estremamente serio, ma il risvolto più preoccupante della vicenda è il fatto che alcuni considerino l’accaduto come un qualcosa di normale, nient’altro che goliardia tipica di una certa tipologia di tifo. Come se la questione del razzismo sia qualcosa di poco conto; ma non è così, non può esserlo per un paese portato a generare odio verso un nemico Immaginario, che non esiste, ma che ci ostiniamo a voler cercare.

Matteo Ariola

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